L’uomo senza virtù
Il confine tra laico e religioso non è stato mai così labile come in questo periodo.
Il compito di fare politica sembra affidato al Papa, mentre il capo del Governo infonde la fede (in lui) nei suoi discepoli. Le virtù, che sono una cosa seria, spesso vengono declinate in forma secolare e con accenti singolari o stravolgenti. Secondo il cristianesimo le virtù cardine dell’uomo sono prudenza, giustizia, fortezza, e temperanza. Le virtù teologali, che lasciano intravedere un canale diretto tra divino e umano, sono fede, speranza, carità.
L’apostolo Paolo nelle sue Lettere indica la carità, da cui discende la misericordia, come la virtù più grande e la identifica, tra l’altro, come paziente, che non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non gode dell’ingiustizia, si compiace della verità.
Sembra che molti uomini politici, graduati e colonnelli, e il capo generale, non siano proprio la fotografia di molte delle virtù citate e soprattutto di alcune delle definizioni paoline. Vengono invece alla mente altre ‘virtù’: furbizia, spregiudicatezza, prevaricazione, convenienza. Tutte sono accompagnate da un particolare horror silentii, tanto che si narra della diffusione di una grave forma di psicosi: il timore dell’aggressione da tweet politico, in particolare nell’esiziale mutazione renziana. E il Parlamento è fatto a ‘immagine e somiglianza’ di un mondo governato dalla convenienza, nel quale la giustizia latita e sono sempre i più forti a comandare. Il contratto sociale e la misericordia (l’attenzione ai più deboli) sono bypassati dal relativismo morale, la ‘retta via’ difficilmente viene imboccata spontaneamente, ma solo con l’ausilio dei gendarmi. Anche le buone azioni sembrano dettate da valutazioni da bocciofila: infatti abbiamo scoperto il voto ‘per affetto verso il capo’. Fortezza, prudenza e temperanza sono rimaste sull’uscio in attesa del ‘passi’ che non arriverà.
Ma la più bistrattata è la speranza: la natura dei provvedimenti emessi la disattende spesso; il ragionare in termini di quantità nella corsa all’iper-riformismo annulla, per assurdo, ogni speranza futura, fosse pure illusoria. Contraltare a questa situazione è il comportamento del papa Francesco. Se predicasse soltanto di virtù ‘farebbe il suo’, come si dice; invece appare realmente rivoluzionario. La rivoluzione consiste nell’aver incardinato le virtù religiose nel tessuto umano. Ogni sua azione è significativa; sembra che la parola segua. Pure le sue presunte gaffe (ma è in buona compagnia del Gesù che non ci andava leggero con i vari ‘scandali’, la cacciata dal Tempio…) sono un modo di rapportare al terreno la prudenza e la temperanza. La sua rivoluzione morale è applicata nei fatti, a partire dal suo vissuto e dall’energica ‘raddrizzata’ delle istituzioni vaticane.
L’unica affinità con Renzi sembra essere un certo compiacimento mediatico, ma è niente rispetto al doppiopesismo e all’opportunismo del fiorentino. La sfida dell’Anno Santo della Misericordia (senza implicazioni commerciali) pare, pur nell’apparente religiosità dell’evento, più di sinistra di tante riforme gattopardesche del finto ghibellino.
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