“L’uomo di novembre”
Nell’ambito delle iniziative della rassegna Eurovisioni, Festival di Cinema e Televisione, giunta ormai alla sua ventunesima edizione (e da quest’anno collegata alla seconda edizione del “Cinema – Festa Internazionale di Roma”) è stato presentato in anteprima all’Auditorium del Goethe-Institut di Roma il film “Der Novembermann”, di Jobst Oetzmann, primo di altre cinque produzioni TV europee proposte in questa edizione. Presenti in sala il produttore per WDR (la maggiore televisione del colosso tedesco ARD), Michael Andre, e uno degli attori protagonisti, Burghart Klaussner, che hanno partecipato al dibattito introdotto dal vicepresidente di Eurovisioni, Luciana Castellina, e moderato dal giornalista Stefano Finesi. Va ricordato peraltro che nella stessa sede lo scorso anno è stato proposto il film “La vita degli altri”, vincitore poi dell’Oscar 2007 per il migliore film straniero, e di cui abbiamo già parlato su queste pagine.
Il tema, non proprio originale (si ripropone, a parti invertite, la scoperta da parte di un coniuge dell’ infedeltà dell’altro, come in “Avanti” di Billy Wilder) del segreto coltivato anche per anni all’interno di un rapporto apparentemente senza ombre, sembra riprendere in un certo senso, nella sfera del privato, la suggestione de “La vita degli altri”, dell’indagine condotta però questa volta non più sui comportamenti, a fini politici, bensì per frugare tra le pieghe del cuore della persona amata. Così il pastore Droemer, adagiato in una tranquilla consuetudine coniugale, in seguito alla morte della moglie Lena in un incidente stradale, scopre una parte assolutamente sconosciuta della vita di lei. Lena, infatti, era solita passare quattro settimane in vacanza nel mese di novembre, lasciando credere alla famiglia di recarsi presso un’amica in Toscana.
La sua morte, avvenuta invece sulla strada per Brema, apre una serie di interrogativi per il marito, che intraprende sulle sue tracce un viaggio verso Sylt, dove scoprirà ‘l’uomo di novembre’ di sua moglie, un cieco che vive dando lezioni di pianoforte. Proponendoglisi come allievo, il pastore cercherà di penetrare nella vita dell’uomo, alla scoperta dolorosa dell’altra vita della sua donna e, insieme, dei propri errori. Della distrazione e della superficialità, che minacciano anche il rapporto con la figlia, di cui non immagina l’infelicità coniugale, che invece l’altro uomo, pur cieco, riesce subito a cogliere, secondo il topos, piuttosto sfruttato, del cieco veggente.
Esile quindi la trama del film (tratto da un testo di Magnus Vattrodt), che vive invece tutto delle ‘coloriture’ che i due protagonisti sanno imprimergli: il pastore, nella sua modesta quotidianità di uomo qualunque, che a poco a poco, attraverso il proprio dolore,si apre a quello degli altri, incominciando finalmente a ‘vederli’; il cieco, spigoloso nel carattere come nella barba mal rasata, ma dalla sensibilità pronta e acuita dalla sofferenza.
Burghart Klaussner, con la sua calma arguta da berlinese doc e alle spalle una lunga esperienza teatrale e cinematografica, è assolutamente perfetto nel ruolo. La misura e l’equilibrio dei tempi e delle inquadrature rivelano la padronanza del mezzo da parte del regista.
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