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L’Uomo del Lago. Racconto Breve di Stefano Murè

Novembre 04
17:55 2021

Viveva in riva ad un lago, si era costruito una piccola capanna di legno, giusto lo spazio
per una branda, un tavolino ed un fornelletto da campo; l’aveva costruita sotto gli alberi
nascosta agli occhi indiscreti dei passanti sul lungo lago, con una piccola finestrella per
fare un po’ di luce.
Si prendeva cura di quel piccolissimo tratto di lago, come fosse casa sua, del resto lo era;
ne curava le piante, gli alberi, ne piantava di nuovi, metteva piante floreali; era
indubbiamente lo spazio più bello del lago, semplice e tenuto in modo naturale.
Manteneva il terreno pulito, dov’era un pezzetto di prato lo curava con una falce a mano,
quelle di una volta che affilava con una pietra, lo innaffiava regolarmente con i secchi di
acqua che prendeva dal lago; dov’era la sabbia la puliva da sassi e tutto ciò che poteva
essere portato dal vento o da qualche avventore distratto o incivile, con i sassi faceva
sentieri e delimitava spazi, con alcune pietre aveva anche fatto delle sculture astratte.
Anche il fondale dello specchio di lago di quel tratto di spiaggia, veniva tenuto pulito da
sassi, alghe, tronchi, rami, foglie, aveva per tutto una attenzione maniacale, curava ogni
cosa come fosse il giardino d’Eden e lui ne fosse il custode messo lì da Dio.
Non parlava mai, nessuno lo aveva mai sentito parlare, era sempre calmo sorridente
nessuno sapeva il suo nome, quando veniva interrogato ti guardava senza rispondere e
sorrideva; qualcuno diceva che era sordomuto, qualcun altro che doveva essere ritardato,
altri che era una specie di monaco che aveva fatto il voto del silenzio, altri ancora che era
un barbone, straniero, non capiva la lingua e ne avevano paura. Le storie su di lui erano
molte e la fantasia della gente e la malignità gliene attribuivano tante altre e di tanto in
tanto tanto ne usciva una nuova. Una raccontava che era un uomo ricco con una bella
famiglia e che un giorno si era stancato ed aveva abbandonato tutto, un’altra che era stato
un delinquente, forse un rapinatore o un omicida e che uscito dal carcere non era riuscito
a rientrare in società; la verità era che nessuno conosceva la verità.
Aveva un aspetto dignitoso, direi nobile, un nobile decaduto, era stempiato con i capelli e
la barba lunga sale e pepe, alto, magro, spalle larghe in sostanza un bell’uomo, poteva
avere tra i 50 anni portati male o i 70 portati bene, insomma uno di quelli a cui non sai mai
dare un’età.
Quando arrivava la stagione balneare, il posto si riempiva di famiglie, bambini, ragazzi,
coppiette, comitive e lui osservava discretamente tutto e tutti. Spesso giocava con i
bambini, aveva realizzato delle zattere ancorate ad un pontile di legno con delle funi in
modo che non si allontanassero troppo, pontile che lui stesso aveva costruito durante
l’inverno con le gambe immerse nell’acqua gelida.
C’erano dei genitori che non volevano che i figli giocassero con lui, non si fidavano, un
adulto che gioca con i bambini, li insospettiva, eppure quando vediamo un cucciolo siamo
trasportati da un sentimento di tenerezza a giocare, a carezzarlo, che so un cucciolo di
cane, un gattino, un coniglietto, un puledrino, persino un elefantino o un leoncino, mentre
verso un bambino, la malizia ci fa subito sospettare il male.
Altri genitori, invece, ormai si fidavano di lui, anzi, erano contenti e sicuri proprio quando i
bambini stavano con lui.
Nel passato alcuni bagnanti andando via gli avevano offerto soldi, ma lui niente, metteva
le mani avanti sorridendo in segno di rifiuto, poi portava la mano sul cuore e chinava la
testa in segno di ringraziamento, finché un giorno una mamma, gli portò una borsa con
pasta, passata di pomodoro e del parmigiano che lui, commosso, prese e sempre nello
stesso modo ringraziò, da quel giorno tutti si prodigarono per portargli generi alimentari dai
più semplici ai più fantasiosi che lui sempre con lo stesso gesto e la stessa commozione,
come fosse la prima volta, prendeva e ringraziava.
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A parte poche persone, più per presa di posizione che per altro, che continuavano a non
fidarsi di quell’uomo e a tenerlo a distanza, lui era amato da tutti, ma proprio tutti, bambini,
ragazzi, adulti e vecchi. Spesso qualcuno si fermava a parlare con lui, lui ti ascoltava e
mentre ti ascoltava scrutava l’orizzonte, se gli raccontavi storie belle e felici della tua vita il
suo volto era felice e raggiante, se gli raccontavi le tue sofferenze le lacrime gli rigavano il
volto, forse anche per questo a molti sembrava ritardato.
Ai bambini mostrava giochi di prestigio, pagliacciate, mimava il vento, un albero, imitava
una donna, un bambino, un cane, una gallina, raccontava storie solo con il corpo come
fosse un mimo, faceva facce strane assurde il suo volto diventava una maschera e loro si
divertivano moltissimo, e lui ne era felicissimo proprio come un bambino, molti dicevano
che forse aveva lavorato in un circo nel passato o in teatro e continuavano a immaginare
storie sul suo conto.
Ma nessuno sapeva nulla del suo passato e nessuno conosceva il suo nome.
C’erano dei ragazzi di un’associazione che gli avevano portato un fornelletto da
campeggio per cucinare ed una lampada a gas per illuminare la notte, periodicamente
andavano a a trovarlo e gli cambiavano le bombolette del gas, così che non rimanesse
mai senza. Per l’inverno avevano provveduto per lui una stufetta di quelle di sicurezza e
anche per quella provvedevano loro al combustibile. Lui li ringraziava sempre commosso,
gli stringeva le mani e li guardava con le lacrime agli occhi e loro gli dicevano sempre:
“non ringraziarci, lo facciamo con piacere!”. Anche loro lo avevano più volte interrogato
sulla sua vita, sul suo passato, su chi fosse; una volta gli dissero: “Ma dicci almeno come ti
chiami?” e lui con un gesto chiese carta e penna, quella richiesta li sorprese, pensarono
che fosse veramente muto, così si spicciarono a dargli la penna un pezzo di carta e
attesero con trepidazione che finalmente lui scrivesse il suo nome, scrisse e restituì loro il
foglio. Lessero ed ecco cosa c’era scritto: “Voi come mi chiamate”? Lo guardarono e
dissero: “Noi? Noi non sappiamo il tuo nome e ti chiamiamo: l’Uomo del Lago!” Li fissò, i
suoi occhi divennero lucidi per la commozione, riprese il foglio di carta e la penna dalle
loro mani e scrisse; restituì loro il foglio con le lacrime agli occhi colmi di felicità, i ragazzi
lo presero stupiti e lo lessero: “E’ un nome bellissimo, grazie, così mi chiamo, si, così mi
chiamo: L’Uomo del Lago! Un nome più bello non avreste mai potuto trovarlo per me,
grazie di cuore!” Alzarono gli occhi dal foglio e videro il suo volto raggiante, così gli
dissero: “Si, va bene, sarai per sempre l’Uomo del Lago per noi”. Nei suoi occhi c’era la
commozione, la felicità e l’umile fierezza di chi avesse ricevuto l’investitura di Re.
Così per tutti lui divenne l’Uomo del Lago.
Erano ormai anni che l’Uomo del Lago viveva lì, molti pensavano che ci fosse sempre
stato, custode immortale di quel tratto di lago.
Era il quarto giorno di ottobre in una tipica fresca giornata autunnale ed era intento ad
osservare le increspature del lago, le nuvole trasformiste giocare a rincorrersi sospinte dal
vento, raggrupparsi, aprirsi, dare colpi di coda lasciando finestre cangianti di cielo azzurro,
con il sole che faceva capolino a tratti, mulinelli di foglie secche danzanti e mentre
contemplava tutto questo, lasciando penetrare lentamente dalle narici la fresca e pulita
aria del mattino, lo raggiunsero due vigili urbani, un uomo e una donna, e gli dissero che
c’era un ordinanza che avrebbero buttato giù la capannina abusiva e che lui se ne
sarebbe dovuto andare non poteva rimanere li, aveva una settimana di tempo per
organizzarsi e andarsene, e gliela consegnarono a brevi mano, ma lui non la prese.
L’Uomo del Lago rimase in silenzio, continuava a guardare le increspature del lago. Uno
dei vigili, l’uomo, gli disse: “Ehi, hai capito quello che abbiamo detto?” Senza distogliere lo
sguardo dal lago, l’uomo annuì con un cenno del capo. La vigilessa intenerita gli disse con
dolcezza: “Se, vai al comune a parlare con l’assistente sociale, vedrai ti troverà una
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sistemazione, ti aiuterà!” Lo esortò con insistenza a recarsi dall’assistente sociale, ma lui
rimase immobile con lo sguardo sulle increspature del lago, i due lo salutarono e se ne
andarono.
Più tardi lo raggiunsero i ragazzi dell’associazione che avevano saputo dell’ordinanza, lo
trovarono ancora li che guardava il lago, anche loro fecero di tutto per persuaderlo ad
andare dall’assistente sociale, gli proposero anche ospitalità presso la sede della loro
associazione, ma lui non rispondeva continuava a guardare il lago. Alla fine se ne
andarono incoraggiandolo a riflettere sulle varie proposte dicendogli che sarebbero tornati
il giorno seguente per sapere cosa avesse deciso.
Verso il tramonto l’uomo del lago si alzò andò verso la capannina entrò e ne usci con il suo
flauto di pan, contemplò il giardino di cui lui era stato fatto custode da Dio, poi si
incamminò verso il lago, si sedette su di un masso e guardando lo specchio d’acqua iniziò
a soffiare nel flauto, uscivano note sfiatate lunghe sembravano lamenti strazianti pianti,
emetteva una nota lunga che moriva insieme al suo fiato e ne partiva un’altra a volte più
acuta altre più grave, non era una melodia, piuttosto un lamento, uno straziante lamento.
Appena calò il sole pose il flauto in terra, si alzò e s’incamminò lentamente verso il lago e
un passo dopo l’altro nel silenzio crepuscolare, interrotto solo dal suono dell’acqua creato
dai suoi passi strascicati, l’uomo avanzò, un passo dopo l’altro, un passo dopo l’altro,
finché inghiottito dal ventre del lago scomparve.
I ragazzi dell’associazione tornarono il giorno dopo ma lui non c’era più, però trovarono il
suo flauto di pan in terra, in loro salì il sospetto che si fosse lasciato annegare nel lago,
che fosse andato a morire lì dove aveva vissuto: nel lago.
Poi si dissero che forse se ne era semplicemente andato, in fondo perché pensare al
peggio, forse l’avrebbero rivisto, forse sarebbe tornato, ma la verità ancora una volta è che
non sapevano quale fosse la verità, del suo passato non sapevano nulla ed ora neppure di
dove fosse e cosa avesse fatto. L’Uomo del Lago rimaneva un mistero!
La lettera uccide, lo spirito vivifica, già, quando la legge viene applicata alla lettera senza
tenere conto dello spirito che l’anima: l’umanità, l’amore, allora la legge diventa disumana.
Quel tratto di lago durante l’inverno s’inaridì gli alberi si ammalarono, tutta la vegetazione
morì, la spiaggia si riempì di spine, rami, foglie secche non c’era più nessuno ad averne
cura, non c’era più la cura e l’amore dell’Uomo del Lago.
Quando arrivò la stagione balneare arrivarono i bagnanti e rimasero attoniti alla vista di
quel disastro, dov’era finito quel tratto di lago incantato, dov’era finito l’uomo del lago e la
sua capannina? Tutti credettero fosse morto e se ne dispiacquero.
Poi qualcuno raccontò l’accaduto e tutti pensarono che forse costretto dalla situazione se
ne fosse andato e si rincuorarono credendolo da qualche parte ancora vivo.
Alcuni non si fermarono cercarono altri tratti di lago, migliori di quello, sempre stato il più
bello ma che ora era diventato il più brutto. I più fedeli rimasero c’era ancora il pontile e le
zattere e i bambini continuavano a utilizzarli ma nessuno ne faceva la manutenzione.
Un giorno una zattera con sopra un bambino e una bambina si sganciò dalla fune e venne
portata via dalla corrente i poverini spaventati gridarono, accorsero i genitori ed altri
bagnanti ma la corrente li portava verso il centro del lago velocemente e non riuscivano a
raggiungerli a nuoto. I genitori cercarono di tranquillizzarli gridavano loro: “Non vi muovete,
rimanete fermi sulla zattera, ora troviamo qualcuno che viene a riprendervi”, ma loro
piangevano e gridavano: “Ho paura, mamma! ho paura!”
L’agitazione era tanta, molti uscirono in cerca di aiuto, il padre della bambina staccò una
zattera dal pontile con lui salì anche il padre del bambino ed insieme remando con le mani
partirono per raggiungere i loro figli.
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Nel mentre la zattera raggiunto il centro del lago si rovesciò e i bambini scomparvero
inghiottiti dal lago.
Remavano e gridavano forte i due padri sulla zattera, dalla spiaggia tutti gridavano
disperatamente, in lontananza si vedeva una barca a remi cercare di raggiungere il punto
dove erano scomparsi.
Ormai tutti avevano perso le speranze di trovarli vivi, le mamme sulla riva piangevano
disperatamente, chiamando a squarciagola i figli, i due padri sulla zattera anch’essi
gridavano il nome dei figli e piangevano mentre con le braccia e la forza della disperazione
remavano cercando di raggiungere il punto dove erano scomparsi i loro figli.
Si stava consumando un dramma, una storia che nessuno dei presenti avrebbe mai più
dimenticato.
Ad un tratto nello stupore generale riaffiorarono i corpi dei due bambini dall’acqua, la luce
del sole si rifletteva accecante sulle acque, non si riusciva a vedere in modo chiaro,
sembravano essere sorretti da due mani che li portavano come se fossero due vassoi,
solcavano velocemente le acque, come fosse un pesce a trasportarli, quando raggiunsero
l’acqua bassa, in questa luce accecante, furono adagiati con dolcezza in terra le due mani
carezzarono teneramente il capo dei due bambini, loro si girarono sorrisero e dissero:
“Ciao Uomo del Lago, grazie!” e salutarono con la mano chi li aveva sottratti alle acque e
nello stupore generale le due mani scomparvero nei riflessi di luce dell’anima del lago.
I due bambini dissero che era stato l’Uomo del Lago a salvarli, lo avevano ben
riconosciuto, tutti erano sconvolti e increduli.
La noiosissima, presuntuosa e arrogante razionalità cercava una ragione molto più
complicata e irrazionale della semplice accettazione del mistero, ma per i bambini e i loro
genitori si era trattato essenzialmente di un miracolo.
Si, nessuno dei presenti avrebbe mai più dimenticato quel giorno, quell’accadimento; il
dramma che si stava consumando si trasformò in una gioia festosa!
Ancora una volta iniziarono racconti sull’Uomo del lago e il mistero che lo circondava.
“…la malvagità del mondo lo ha cacciato ma il lago lo ha accolto…ora vive in fondo al
lago… forse c’è una caverna e lui vive lì e lui…e poi…e poi lui…ma forse…”!
La verità è che nessuno conosceva la verità, solo un’infinità di supposizioni.
Dopo quel giorno miracoloso, il tratto di lago tornò all’antico splendore, gli alberi le piante
tornarono rigogliosi, la spiaggia tornò ad essere pulita, la riva del tratto di lago, il fondale
tutto tornò a vivere e fiorire come quando c’era l’Uomo del Lago a custodirlo.
Si diceva che la notte usciva dal lago e se ne prendeva cura.
Così nacque la leggenda che L’Uomo del Lago fatto custode di quel giardino d’Eden da
Dio ne avrebbe avuto cura per l’eternità.
La verità è che la verità rimaneva avvolta dal mistero, perché se la Verità non rivela se
stessa la povera ragione non la può conoscere.

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