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L’Unione Europea dal Tago all’Ussuri

L’Unione Europea dal Tago all’Ussuri
Giugno 01
09:18 2014

L'Europa e l'Orso Russo in una mappa satirica del 1914Se ad aprile sembrava di assistere a un allucinato film di Kusturica, con fiori e cibo offerti ai carristi di Kiev impantanati nelle campagne del Donbass, o a una riunione di bilancio di una cittadina dell’est ucraino approvato con i paramilitari filorussi fuori dalla porta, a maggio l’unico, probabile finale potrebbe essere la secessione di altri territori russofoni. Augurandoci di non rivivere lo scenario jugoslavo.

Eppure per la drammatica ma non imprevedibile crisi tra Russia e Ucraina, Europa e Stati Uniti non hanno esitato a riesumare le più ovvie banalità della Guerra Fredda, accomunati ancora una volta da un anacronistico e improbabile scontro di civiltà, e dalla cinica politica dei due pesi e delle due misure: il Kosovo sì, la Crimea no. Tanto da far pensare, anche al più sprovveduto uomo della strada, che all’Occidente, in fin dei conti e a 25 anni esatti dalla caduta del Muro, serva costantemente un nemico da combattere e possibilmente da umiliare. Che si chiami Iran, Libia o Siria non fa molta differenza. Come si dice: quando il gioco si fa duro…
Ma qui, in questa porzione di territorio, e più in là dove si dilata il continente russo, enorme cerniera tra Asia ed Europa, non c’è un raìs più o meno stravagante da eliminare, cavalcando la nobile onda delle “primavere arabe”. O un fastidioso burqa da strappare dalla faccia di donne distanti milioni di anni luce dai modelli occidentali. L’azzardo qui è più sottile e al tempo stesso più pericoloso. Con una mossa a dir poco avventata, o fin troppo calcolata, si è giunti anche stavolta a pizzicare corde profonde e messe già a dura prova da quella continua, irrefrenabile voglia di allargamento che l’Unione Europea e la Nato nutrono nei confronti dei Paesi dell’ex-Patto di Varsavia. Bonariamente definita “integrazione”, dal punto di vista della Russia altro non è che un minaccioso accerchiamento, neanche troppo mascherato.

L’inizio della crisi
È proprio dal fallimento di uno dei tanti, estenuanti colloqui di adesione intercorsi tra Ucraina, Europa e Fmi che ha inizio la crisi nel novembre scorso. Un’adesione che avrebbe comportato per Kiev l’associazione in un patto economico-militare, che avrebbe ridato temporaneo ossigeno alle proprie casse e sperimentato un considerevole aumento delle bollette del gas per uso domestico, con il consueto corollario dei compiti a casa che la Bce, la Commissione Europea e il Fondo Monetario non si stancano mai di impartire in questi casi ai Paesi membri, ovvero privatizzazioni selvagge e licenziamenti di massa. La controfferta russa avrebbe riguardato invece il taglio dei prezzi del gas e l’acquisto di bond governativi per quindici miliardi di dollari. Una mossa che avrebbe avuto l’effetto di agganciare l’Ucraina all’Unione eurasiatica, il progetto russo di partenariato che nel prossimo futuro darà vita a un’area strategica tra vicini, meno penetrabile ai richiami dell’Ovest.
Quello che viene dopo è risaputo e in parte comprensibile. Molto meno comprensibile, visto che di accordi economici si tratta, è tutto l’armamentario e la chincaglieria da Guerra Fredda che i media occidentali, i governi europei e la Nato hanno riesumato e ammannito con disinvoltura a mezzo mondo. Neanche la toccante icona dell’infermiera morente, poi effettivamente viva, si sono fatti mancare. La questione è stata così raccontata rasentando il ridicolo, con un lessico fuori dal tempo; un repertorio di luoghi comuni sull’eterna lotta tra il Bene e il Male, il classico scontro tra la matura civiltà occidentale e i barbari dell’Est che in altri tempi avrebbe sicuramente deliziato le orecchie di Kennedy e di Kruscev. Salvo “accorgersi” in seconda battuta che i soggetti che controllavano la piazza negli scontri di febbraio, e in seguito anche controllori del nuovo governo, non erano altro che la fotocopia in salsa ucraina di Alba Dorata.
Quella che era stata sbandierata come una gloriosa rivoluzione antimperialista, ma che alcuni giornali avevano già definito come una rivolta on demand grazie alla presenza in Piazza Majdan di contractors stranieri, agenti Cia, associazioni non governative (tutti in stretto contatto con l’ambasciata americana) e alla scomposta gaffe urbi et orbi dell’addetto diplomatico statunitense a Kiev Victoria Nuland («L’Unione Europea si fotta»), aveva già mostrato il suo vero volto e la sua vera natura. Un’esplosiva miscela di antisemitismo, di europeismo masticato male e digerito peggio, di nazionalismo anti-russo e anti-europeo, di vecchi e nuovi oligarchi pronti a saltare sul carro dei nuovi vincitori. Un uovo di serpente targato UE.

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