L’Unione dei diritti
La fine della Seconda Guerra Mondiale costrinse gli Stati europei a confrontarsi con le immani distruzioni morali e materiali provocate dal conflitto. Non è un caso che i primi dieci fondatori del Consiglio d’Europa nel 1950 firmassero a Roma la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, cedu, che rendeva operativi i principi enunciati dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948.
È significativo che tra mille emergenze di ordine materiale i Paesi membri ponessero come priorità l’affermazione dei diritti umani. Questa vocazione alla tutela dell’individuo e alla cultura del diritto ha da allora caratterizzato tutta la normativa (protocolli, trattati) che si è aggiunta nel corso degli anni, a dimostrazione che principi quali pace, dignità, libertà, eguaglianza, solidarietà, ecc. sono fondamentali e su di essi non si può transigere. Fa riflettere la conferma della stretta relazione esistente tra diritti e doveri, cioè tra la facoltà che ciascuno ha di pretendere di essere tutelato in base a quelle norme e l’impegno di lottare perché di tali diritti possano godere tutti gli esseri umani, comprese le generazioni future.
L’importanza della CEDU risiede nel fatto di essere una Convenzione, cioè un documento che non si limita a fissare dei principi, ma crea gli strumenti in grado di darne concreta attuazione, sanzionandone le violazioni e impegnando gli Stati firmatari a una serie di adempimenti giuridici e organizzativi. Per entrare in vigore la Convenzione richiede la ratifica degli Stati membri, diventando quindi parte integrante della legislazione vigente nel singolo Stato nazionale.
Il principale strumento di attuazione previsto dalla CEDU è la Corte europea dei diritti dell’uomo, primo tribunale internazionale ad accogliere ricorsi di singoli individui contro un governo ritenuto responsabile di una violazione in materia dei diritti umani.
Ai dieci Paesi fondatori del Consiglio d’Europa se ne aggiunsero nel tempo molti altri. Oggi sono 47 e vanno ben oltre i confini dell’Unione Europea: tutti i Paesi europei (tranne la Bielorussia) e alcuni extraeuropei (Georgia, Armenia e Azerbaigian). Le garanzie della cedu si applicano a circa 800 milioni di cittadini.
Ma l’Unione Europea ha fatto di più: il Trattato di Lisbona, riformulando (fra l’altro) l’art. 6 del Trattato sull’Unione Europea, ha dato valore giuridico alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, proclamata a Nizza nel 2000, che dal 1° dicembre 2009 è direttamente applicabile in tutti i 28 Paesi dell’Unione (cioè a 500 milioni di persone). Significa che di fronte a una sospetta violazione dei diritti umani, verificatasi in uno Stato membro, qualsiasi cittadino può rivolgersi al tribunale del proprio Paese perché la Carta ha valore di legge a tutti gli effetti.
Si deve sottolineare come tratto qualificante del complesso della normativa europea il tentativo di unificare il diritto dell’intera Unione ai principi di democrazia e rispetto del cittadino, promuovendo nel contempo la nascita di un’identità culturale che ad essi si ispiri, nel rispetto della sua molteplicità.
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