Lungo l’Ottocento
In mostra alle Scuderie del Quirinale fino a giugno con 130 opere di 72 artisti il Grand siècle si dipana in tutto il suo splendore figurativo, abilmente antologizzato secondo un filo cronologico e non di genere, al fine di restituire, nella rassegna contemporanea di esperienze diverse, l’immagine della complessità e ricchezza creativa di un secolo generoso, vigile nel cogliere le suggestioni di una realtà in veloce trasformazione, come pronto nella sperimentazione. Significativamente le opere scelte sono comprese nell’abbraccio metaforico di capolavori di grande formato, dai Pugilatori del Canova, in apertura, al Quarto stato di Pellizza da Volpedo, a chiudere la grande stagione della passione civile e della responsabilità di fronte alla società e alla storia. Tra questi due poli si snoda la vicenda contemplata, dall’olimpica serenità delle dee dell’Appiani, che sembrano dare forma ai miti foscoliani, ai nitidi ritratti degli eroi, come lo stesso Bonaparte, proiettati anch’essi nell’eternità della leggenda. Ma accanto agli immortali incombono gli scheletri dei Macabri di Bonomini, vestiti delle loro ‘uniformi’ di buoni borghesi e perfino di quella di Tamburino della guardia nazionale. Intanto la Storia accelera. Dopo la Restaurazione si fanno sentire più forti gli aneliti di libertà e, nel clima del Conciliatore e dei primi moti, dall’eterna illusione del mito ci si rivolge alla escursione di luoghi e vicende del passato nella prospettiva di una storia finalmente nazionale (come nella Congiura dei Lampugnani di Hayez),o si ripropone il ritratto, non più però in funzione encomiastica, bensì per esaltare una dimensione emozionale e affettiva (come nel Gruppo della famiglia Belgiojoso del Molteni) . Il fervore creativo romantico trova però la sua espressione più congeniale nella rappresentazione partecipe della natura. E qui la solennità remota dei paesaggi classici con rovine, espressione della cultura settecentesca del Grand Tour, viene abbandonata per paesaggi vivi e presenti, dalle marine della scuola di Posillipo alle atmosfere e colori della natura lombarda. Il nudo intanto riprende vigore negli anni ’30, nel tradizionale travestimento mitico o biblico, da Hayez al Piccio, artista sorprendentemente moderno nei contorni sfumati e nel tocco quasi impressionistico. E’ con questi autori che negli anni ’40 e ’50 riprende vigore la pittura storica, mentre il repertorio biblico trova sostegno nei temi proposti dal melodramma. Il Bacio di Hayez sembra suggellare simbolicamente l’unione tra ideale e realtà nel momento in cui l’illusione si avvia a diventare storia, l’ideale risorgimentale sta per tradursi nell’Unità. Il fervore e il sentimento collettivo di quegli anni si traduce ora nella solennità corale e celebrativa di espressioni come l’Imbarco di Garibaldi a Quarto di Induno, che presto si troverà però ad aprire gli occhi su una realtà fatta di politica e compromessi. La diplomatizzazione del processo risorgimentale segna la sconfitta dello slancio più genuinamente popolare, come lo stesso Induno registrerà di lì a poco ne Il bollettino del 1862. Da questo momento l’attenzione figurativa si trasferisce lentamente alla concretezza di un reale che il supporto positivistico indirizza verso modalità naturalistiche, ponendo l’accento anche sulla funzione sociale dell’artista. In contrapposizione alla dimensione soffocante delle accademie, la ricerca dei Macchiaioli, che già dagli anni ’50 si era appuntata in direzione del paesaggio e della luce, si concentra alla scoperta del vero, restituendo, pur nelle diversità regionali, uno scenario di vita familiare e domestica (come nel Canto di uno stornello di Silvestro Lega), ma anche quello di un paesaggio sociale popolato dagli umili e dai gesti quotidiani del lavoro, come ne Le macchiaiole del Fattori, da un ‘vero’ cioè che in ambito soprattutto meridionale (vedi Gemito ad esempio, rappresentato qui con il Pescatore) continua ad attirare l’interesse. Del resto anche nei decenni successivi il gusto dell’indagine oggettiva non accenna a diminuire e si concretizza in esperienze diverse. Accanto al vedutismo toscano fioriscono le raffinate ‘impressioni’ di vita parigina di De Nittis (Ritorno dal Bois de Boulogne), la ritrattistica di Giovanni Boldini, fino alla registrazione degli aspetti più dolorosi o crudi del vero come ne Gli ultimi momenti di Mazzini morente), e agli eccessi della Scapigliatura lombarda. E perfino la cronaca irrompe sulla tela, come in Asfissia di Morbelli, fredda istantanea sul suicidio di due amanti, a denunzia dell’ipocrisia di soffocanti atmosfere borghesi. Perché se da una parte la solida, pacata realtà borghese che ci appare ancora nella Colazione in giardino di De Nittis suggerisce quasi la nostalgia di un mondo, dall’altra nell’ultimo decennio del secolo cominciano ad emergere segnali di inquietudine e di una nuova ricerca nella dimensioni inesplorate dell’interiorità e dell’inconscio. Nella prima Triennale di Brera del ’91, insieme alle estreme propaggini dell’esperienza verista e all’estetismo dannunziano, si fanno strada i risultati delle teorie divisioniste basate sulla scomposizione della luce e del colore su tematiche ‘universali’ trattate con sensibilità simbolista (dal Ghiacciaio del Longoni alla Maternità del Previati), insieme al farsi strada ormai evidente di temi sociali e umanitari come ne Il quarto stato o Il saltimbanco o Riflessioni di un affamato del Longoni.
Non ci sono commenti, vuoi farlo tu?
Scrivi un commento