L’Umorismo, la comicità, la satira, l’arguzia…
Cos’è l’umorismo? Qualcosa che fa sorridere. Certamente, perché? Magari perché si mette in risalto qualcosa di buffo, di divertente, di comico, di paradossale… può essere espresso innanzitutto con le parole; con una gestualità mimica o eloquente dando spazio al linguaggio del corpo; con dialoghi che mettano in evidenza situazioni un po’ fuori dall’ordinario, o anche ovvietà delle quali si rimarca insistenza, insignificanza, inutilità, esagerazioni, iperboli…
Sottile l’umorismo che fa della satira una critica saliente a situazioni non condivise, ad atteggiamenti che evidenziano punti da sottoporre a critiche, riflessioni prese alla larga che terminano con una puntualizzazione decisa, imprevedibile o raffinata che colpisce o stupisce l’interlocutore…
Sottolineare con arguzia alcune situazioni talvolta paradossali, fuori dall’ordinario o che sono imbevute d’ovvietà scontata, denota un’intelligenza che mette in risalto l’acume dell’autore e se si strappa un sorriso o una bella risata se ne avvalora la capacità comica.
Le barzellette possono essere fonte di umorismo e ilarità: un comico eccellente ( non necessariamente personaggio famoso ) è quello che sa raccontarle in modo egregio, con un linguaggio ricercato, che magari fa anche qualche giro di parole in più tirandola per le lunghe e che alla fine con una battuta azzeccata fa esplodere la platea degli ascoltatori…
L’umorismo e la satira danno le ali alla critica contro quel che non si condivide: la politica, il governo, le tasse, l’economia, i pregiudizi, le superstizioni, le imposizioni… per esempio; oppure si argomenta o si approfondisce la motivazione su una decisione presa dall’alto, magari ritenuta ingiusta, opinabile… Pasquino criticava il governo papalino con lapidarie osservazioni; vignette e battute di ogni genere fanno in modo che quel ch’è criticabile o non condivisibile venga sottolineato con una curva anche impercettibile delle labbra.
Tanti i guitti, i comici, gli intrattenitori che in tv fanno sorridere ripercorrendo momenti della loro vita, generalizzata con quella del pubblico trascinato nei ricordi dell’infanzia, della scuola, del lavoro, degli amori… ma anche dell’attualità che presenta criticità e situazioni che si fa fatica ad accettare.
La comicità di un tempo si basava su ogni tipo di realtà che in certi momenti diventava buffa e se ne risaltava l’incongruenza, l’incoerenza, l’assurdità addirittura mimandola o, con l’avvento del sonoro creando gag e battute che sottolineavano situazioni fuori della normalità. Talvolta si fa umorismo amaro quando con iperboli si vanno a toccare tasti dolenti mettendo in evidenza atteggiamenti politicamente scorretti o coprendo di ridicolo il malcapitato bersaglio che soccombe impotente di fronte a ingiustizie o a sopraffazioni. Chi ride, amaramente condivide l’ingiustizia… raffinato linguaggio umoristico che ha il fine di far riflettere.
Il sonoro ha portato con sé, con la liberalizzazione dei costumi anche l’uso delle parolacce, del turpiloquio ch’è diventato sempre più d’uso comune e che non viene più censurato come una volta.
Nessuno si scandalizza più, si cerca di evitarlo in tv in certe fasce orarie protette, si sorride o ride ascoltandole quando non sono l’unica fonte di un improbabile tentativo di far divertire chi si ha di fronte.
Un Benigni, per esempio, ne ha ampiamente usate prima di recitare Dante ( pure Lui, il sommo poeta, ne ha fatto uso in alcuni versi…) o vincere l’Oscar attingendo da ogni spunto: dalla sessualità, ai defunti, a mestieri di diverso tipo, alle parti anatomiche o a sostanze organiche o meno, non ultime quelle che generalmente ciascuno produce quotidianamente in luoghi riservati. Come lui tanti altri interpreti cinematografici e televisivi…
D’uso consentito nel dialetto, la parolaccia è certamente una caratteristica che ne rimarca la provenienza popolare e si fa arma per protestare contro le ingiustizie o le sopraffazioni, così come pure per sfogare emozioni forti come la rabbia, il dolore, l’ingiustizia, per esempio. Il Belli docet, restando a un dialetto vicinissimo a noi romani. Trilussa, per esempio ne fa uso in rarissimi casi, eppure i suoi sonetti sono fonte di divertente umorismo e non solo… con le sue favole, le similitudini, i paragoni ha fatto una feroce critica contro la tendenza politica accentratrice del Ventennio. Con eleganza, raffinatezza, un passo al di sopra non le mandava a dire, le diceva! E’ quel substrato di intelligenza ed educazione che avvalora anche l’uso di un linguaggio a volte non proprio consono… mi viene in mente un Totò che in un famoso film risponde a tono a un ufficiale tedesco che lo minaccia dicendo di aver carta bianca… nessuno si scandalizza della sua reazione più che giustificata dal contesto e dalle finalità del suo non voler sparare sulla folla inerme. In questo caso non c’è umorismo, ma uno slancio di condivisa ammirazione nei confronti del personaggio interpretato dal comico partenopeo.
Un altro comico che del dialetto, delle macchiette e talvolta anche delle parole pesanti ha fatto uso, divertendo e facendo sorridere è stato Gigi Proietti. Un vero animale da palcoscenico, che sapeva gestire la comicità senza mai scadere nel volgare, perché le battute, i copioni, i testi teatrali avevano una solida impalcatura costruita con intelligenza e sottile sagacia, nella quale un invisibile messaggio veicolava tra le freddure, le spiritosaggini, le situazioni teatrali, le scene più o meno surreali e divertenti con un unico obiettivo: far sorridere e divertire con eleganza.
Troisi con la Smorfia e successivamente da unico protagonista aggiungeva la poesia al suo dialetto, un linguaggio poetico che veicolava anche attraverso una mimica gestualità che come pochi sapeva rendere vicino al pubblico il personaggio interpretato… molti altri i comici che meriterebbero di essere citati per la loro bravura.
Altra cosa distante anni luce è quel genere di “arte espressiva” che invece si riscontra in alcuni film o spettacoli televisivi, cinematografici e teatrali d’altro genere, nei quali talvolta, chi recita fa del turpiloquio un’improbabile spinta propulsiva finalizzata a far ridere e divertire i presenti, quale unica vera forza generatrice della comicità.
Ecco, direi che usare il turpiloquio “tanto per” sia diverso: la vera intelligenza e bravura di un comico e di un umorista con la maiuscola, forse consistono proprio in questo: rispettare chi si ha di fronte, evitando con grande abilità il rischio di scivolare sul volgare.
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