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L’orizzonte lontano dei vaccini

L’orizzonte lontano dei vaccini
Novembre 17
15:49 2014

12-Lassistenza-in-AfricaÈ molto recente l’arrivo in Svizzera di uomini e materiali di un’Azienda di vaccini canadese che ha messo in cantiere lo studio di un preparato atto a prevenire l’infezione da virus Ebola. E risale a poche settimane fa l’annuncio della possibile produzione di ‘molte’ dosi di un vaccino anti-Ebola da parte di una Società operante a Pomezia. Sembrerebbero due notizie positive, adatte a rischiarare il quadro, altrimenti cupo e disperante, della lotta a questo temibile virus… se non che nessuna delle due prospetta in verità, né nel breve né nel medio periodo, la possibilità di avere davvero un vaccino contro l’Ebola. Il punto è che di un simile preparato nessuno ha ancora la minima conoscenza, oltre le poche basi utili a sapere come farlo.

Il problema è che prima di essere sicuri che un certo ‘candidato’ sia davvero un vaccino, cioè che riesca a prevenire la malattia infettiva contro cui è stato realizzato, occorre sperimentarlo, seguendo criteri ben precisi e soprattutto testandolo su un numero significativamente alto di persone (poiché gli esseri umani non sono tutti uguali, le differenze vengono attenuate ricorrendo alla statistica). Esistono però difficoltà di natura etica e altre di tipo ‘politico’ che ostacolano seriamente questo passaggio.
Semplificando molto, si può dire che quando si mette a punto un vaccino, dopo averne verificato l’innocuità o la tollerabilità, se ne deve comprovare l’efficacia, cioè la capacità di proteggere da una certa malattia. Questo si fa somministrandolo a un numero più o meno alto di persone, le quali vanno poi osservate proprio nella fase in cui entrano a contatto con l’organismo (virus o batterio) che causa quella data malattia. Solo se le persone vaccinate, a differenza delle non vaccinate, evitano la malattia o la manifestano in forma molto lieve si può dire di aver dimostrato la validità di quel vaccino.
Ebola non fa eccezione. Dopo aver dato a un congruo numero di ‘volontari’ il candidato vaccino, li si dovrebbe esporre al virus, per controllare che cosa succede. Ma chi sarebbe tanto folle da infettare delle persone sane esponendole intenzionalmente a un rischio che potrebbe invece risultare mortale qualora il vaccino non funzionasse? E d’altra parte, la via di tentare di immunizzare indiscriminatamente ‘le folle’ e lasciarle in balia di se stesse per vedere se, a distanza di tempo, i casi di contagio spontaneo diminuiscono o meno, è altrettanto impraticabile: quale popolazione accetterebbe di far da cavia a un vaccino di là da venire, invece di beneficiare subito delle terapie oggi disponibili, malgrado non siano specifiche e non possano garantire per tutti, e in tutti i casi, una guarigione sicura?

13-ebola-3La risorsa degli anticorpi
A osservare il tasso elevato di mortalità conseguente all’infezione da Ebola sembrerebbe che terapie in grado di contrastare la malattia non esistano proprio e che tutto l’impegno della medicina si riduca nell’aspettare l’evolversi degli eventi: o il paziente muore o, per qualche misteriosa ragione, finisce per guarire. Invece qualche arma a disposizione dei medici, e di fatto utilizzata, già c’è e altro, di difficoltà non eccessiva, grazie ai progressi della ricerca scientifica, sembra profilarsi nel prossimo futuro.
In prima fila tra gli strumenti terapeutici utili ci sono in primo luogo i farmaci che servono a contrastare i sintomi primari dell’infezione, come la febbre, la spossatezza generale dell’organismo, il vomito e la diarrea, che sono cause di grave disidratazione. Così come esistono risorse terapeutiche, almeno parzialmente efficaci, anche per limitare il sintomo peggiore dell’ebola, l’emorragia, che può essere talvolta avversata con nuove trasfusioni, talvolta combattuta con sostanze che agiscono sulla fluidità del sangue.
Ma ci sono poi, e in fase avanzata di studio, diversi preparati che sembrano in grado di esplicare una potente azione di contrasto contro quel virus. Sono quasi tutti a base di anticorpi, lo strumento idealmente più promettente per catturare le particelle di virus che circolano libere nell’organismo e si distribuiscono nei liquidi corporei (sangue, saliva, sudore etc.) rendendoli ‘infettanti’. Dopo la somministrazione di una miscela di anticorpi prodotti da una pianta di tabacco geneticamente modificata, un paziente americano è velocemente migliorato e poi guarito. E altrettanto è successo con il piccolo numero di pazienti africani cui è stato trasfuso sangue di malati guariti, e con una parte di quelli che hanno ricevuto soltanto frazioni di siero (cioè sangue privato delle cellule: globuli rossi, bianchi etc.). Non si sa quale fosse il componente attivo presente in quelle preparazioni, ma il fatto che tutte contenessero vari tipi di anticorpi appare un’indicazione non occasionale e sostanzialmente solida. Quasi certamente è da quella direzione che potrà venire una risposta concreta al problema di contrastare Ebola al letto del malato, una volta risolta la difficoltà di produrre quegli anticorpi in quantità sufficienti a rispondere alle esigenze poste da un’epidemia.
La speranza, ovviamente, è di non doversi trovare in futuro di nuovo alle prese con un fenomeno epidemico ma solo, al massimo, con qualche caso isolato e subito individuato. Anche perché l’esperienza attuale dovrebbe aver insegnato non solo come contenere i singoli casi, ma anche come attuare una prevenzione efficace basata su razionalità e informazione.

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