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Lo strano caso delle gemelle Gibbons

Novembre 16
13:42 2010

La storia delle gemelle Gibbons ha inizio l’11 aprile 1963 a Steam Point, nel Galless. June Allison Gibbons vede la luce per prima, alle 8,10 del mattino e, dieci minuti più tardi, nasce la gemella Jennifer Lorraine. Durante i primi anni della loro vita nulla fa presagire quello che sarebbe accaduto più avanti nel tempo: le due sorelle sono sane, rubiconde e giocano tra loro.

All’età di tre anni June e Jennifer non parlano ancora; sono in grado di comporre semplici frasi di pochi vocaboli, ma non comunicano con nessuno dei loro familiari, se non per estrema necessità. Sono profondamente assorte l’una nell’altra e non consentono ad alcuno di scalfire il loro legame idilliaco e di penetrare nel loro isolamento. Con il passare degli anni la situazione non migliora e le gemelle, che frequentano la scuola primaria, vengono così descritte dagli insegnanti: «Le bambine hanno la tendenza ad accontentarsi di quel poco che fanno. Mostrano scarsissima iniziativa e immaginazione». In quel periodo vengono sottoposte a sedute di logoterapia senza, tuttavia, trarne molto giovamento. Al compimento del loro ottavo anno non parlano ancora con i membri della loro famiglia né con i compagni di scuola e gli insegnanti, così da essere tacciate di «insolente mutismo» e maltrattate dai coetanei a causa del loro rapporto simbiotico. I genitori, preoccupati della condizione nella quale versano le proprie figlie, le iscrivono alla scuola speciale di Estagate, dove le gemelle sono seguite da un equipe composta dallo psichiatra Evan Davies e dallo psicologo Tim Thomas,. In questo periodo, le due sorelle riescono a comunicare con gli altri per mezzo di un registratore – anche se per farlo necessitano di trovarsi in una stanza da sole – e vengono sottoposte al test dell’intelligenza Wechsler, nel quale entrambe ottengono un punteggio molto basso. Si evidenziano anche difficoltà nella conoscenza lessicale e matematica. Tuttavia, le due ragazze risultano essere molto abili nella comprensione del testo. Gli esperti preposti a seguire il “caso Gibbons” si accorgono che, quando vogliono, le due sorelle sono in grado di parlare senza problemi, seppur con qualche inceppo nella pronuncia. Amano soprattutto parlare con i bambini mentre rifuggono ogni contatto verbale con gli adulti. Si inizia ad ipotizzare che una delle due, Jennifer, abbia un influsso negativo sulla sorella June e ne limiti l’autonomia. Si decide allora di proporre una temporanea separazione e, in merito a questa prospettiva, il parere di entrambe le ragazze è positivo. Scrive Jennifer il 6 ottobre 1977: «Noi pensiamo che sia meglio separarci. Stiamo sempre ad aspettare che sia l’altra a cambiare e a parlare. Se ci separiamo non sapremo se l’altra l’avrà fatto per prima. Lottiamo tutte e due per avere il meglio. Vogliamo tutt’e due essere padrone della nostra vita, ma quando stiamo insieme dipendiamo troppo l’una dall’altra». Nonostante le buone intenzioni, il progetto di diventare autonome non va in porto: all’ultimo momento le ragazze si oppongono a questa decisione, terrorizzate al solo pensiero di separarsi.

Gli anni trascorrono, le sorelle Gibbons continuano a vivere l’una nell’ombra dell’altra, senza la possibilità di emanciparsi. Passano intere giornate nella loro stanza, evitando di interagire con il resto della famiglia. Iniziano a scrivere racconti e, successivamente, romanzi che inviano a varie case editrici; June riesce a pubblicare il romanzo Pepsi Cola Addict. Jennifer ha meno fortuna nel campo editoriale. Stanche del loro isolamento, desiderose di ampliare i propri orizzonti e di socializzare, iniziano a frequentare assiduamente casa Kennedy (la prima volta vi entrano di nascosto rovistando indebitamente tra le stanze), e conoscono i fratelli Carl, Jerry, Lance e Wayne Kennedy. Per aiutarsi nella socializzazione fanno uso di vodka e colla. In questo periodo entrambe hanno le prime esperienze sessuali con lo stesso ragazzo e se ne innamorano, contendendosi l’amore di Carl. Nonostante i ragazzi le trattino come oggetti e approfittino del loro bisogno d’amore, le gemelle continuano a frequentarli e a subire le loro percosse pur di ottenere in cambio un po’ d’affetto. Quando i fratelli Kennedy lasciano la città per trasferirsi altrove, le due adolescenti cadono in un profondo stato di prostrazione per riemergere dal quale iniziano a compiere atti vandalici e furti con scasso ai danni di diverse strutture, che incendiano nel cuore della notte. Le gemelle anelano ad essere arrestate, poiché i poliziotti rappresentano per loro delle figure protettive che possono aiutarle ad evadere dall’insostenibile situazione in cui si trovano. Il loro desiderio si esaudisce: dopo l’ennesimo atto vandalico, vengono arrestate e condotte presso la prigione di Pucklechurch, dove inizia una serie interminabile di tentativi di dividersi che si concludono sempre con il ricongiungimento delle sue inseparabili sorelle. «J. e io siamo come due innamorati. Un rapporto di amore-odio. Lei pensa che io sia debole. Non sa quanta paura ho di lei, e questo mi fa sentire ancora più debole. Voglio essere abbastanza forte da separarmi da lei». Durante il periodo della loro detenzione presso il carcere di Pucklechurch, June e Jennifer litigano spesso, talvolta ferocemente, manifestando un profondo odio l’una verso l’altra, ma finiscono sempre con il tornare insieme nella stessa cella, incapaci di stare lontane. Vengono infine trasferite all’ospedale psichiatrico di Broadmoore, dove June cerca di suicidarsi a causa di una prolungata separazione dalla gemella. Affinché imparino ad essere indipendenti, è necessario un lungo percorso e un programma di modificazione del comportamento. Nel suo diario June scrive: «Siamo dimenticate, sbiadite, nessuno ci vedrà più. Come sarà il giorno in cui me ne andrò di qui e sarò libera? Che tempo farà? Quanti anni avrò? A pensarci mi vengono i brividi. J. E io siamo due gemelle della storia; ragazze di colore. Fuori la vita andrà avanti, passerà. E un giorno ci faranno uscire, senza rumore, in segreto; donne mature. Tutte le cose devono finire. Altre cominciare». Con questa riflessione si conclude il libro scritto dalla giornalista Marjorie Wallace intitolato Le gemelle che non parlavano, nel quale è raccontata minuziosamente la storia di June e Jennifer Gibbons.

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