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Lo sfruttamento dei migranti non conviene ai lavoratori italiani

Lo sfruttamento dei migranti non conviene ai lavoratori italiani
Maggio 28
09:48 2013

Roma, sit-in di migranti. Foto Roberto CanòLe aziende che erodono i diritti dei lavoratori migranti minano le regole della concorrenza in Italia e rendono poco competitivi i lavoratori italiani, proprio adesso che il lavoro scarseggia. Questa erosione di diritti dei migranti stranieri nel nostro Paese si sta verificando soprattutto nell’agricoltura e nell’edilizia. Ci sono i migranti provenienti dall’Africa che vengono utilizzati nelle attività agricole in particolare nelle province di Latina e Caserta.

Il decreto flussi, previsto dal “pacchetto sicurezza”, stabilisce quote d’ingresso e rilascia permessi sulla base di un contratto scritto, ma in pratica questo decreto viene aggirato, in special modo da intermediari senza scrupoli che costringono i migranti ad acquistare contratti di soggiorno e nulla osta e li ingannano sulle reali condizioni che troveranno in Italia. Cioè paghe da fame per 9-10 ore al giorno nelle campagne anche solo per 3 euro l’ora. E poi precarietà, caporalato, riduzione o cancellazione dei compensi, il tutto senza possibilità di ribellarsi alle varie forme di sfruttamento. Infatti, la criminalizzazione dell’ingresso e il soggiorno illegale nel Paese impedisce loro di accedere alla giustizia e denunciare gli abusi. Quindi non hanno altra alternativa che restare sperando di essere regolarizzati, perché se dovessero andare alla polizia a denunciare si vedrebbero prendere le impronte digitali e dovrebbero lasciare l’Italia.
Ci sono poi i migranti dei Paesi dell’Est entrati nell’Unione Europea che vengono utilizzati soprattutto nel settore edilizio. L’export di questi lavoratori a costi bassissimi è in mano a migliaia di agenzie di intermediazione in piena regola per un giro di affari che ammonta a svariati milioni di euro. Queste società sfruttano sia la direttiva comunitaria del 1996 sul distacco dei lavoratori dell’Unione e sia l’assenza di regole certe nei Paesi membri per far approdare operai, muratori, camionisti e braccianti dell’Est. Con la regola del distacco comunitario sono arrivati in Italia nei due anni 2010-2011 ben 10mila lavoratori dalla Romania, oltre 800 dalla Bulgaria e più di 14mila da Lituania, Lettonia, Polonia e Slovenia. È chiaro che questo enorme travaso di risorse umane è dovuto al fatto che nei Paesi dell’UE non vigono uguali salari e stessi diritti. Come in pratica avvenga lo ha spiegato una agenzia romena al settimanale “L’Espresso”: «I lavoratori migranti vengono contrattualizzati garantendo sulla carta la stessa paga degli italiani, mentre i contributi vengono pagati in base alle tariffe romene di molto inferiori a quelle italiane. In realtà i romeni alla prima esperienza si accontentano di essere pagati molto meno (dagli 800 ai 1.200 euro) e non conoscono tredicesima e quattordicesima. Il viaggio in Italia dei lavoratori romeni viene organizzato dalle agenzie di intermediazione in autobus, mentre gli imprenditori italiani si impegnano a trovare loro un alloggio. La commissione viene trattenuta dalle retribuzioni». L’alloggio, va detto, può anche essere una delle baracche del cantiere. Davvero un bel risparmio per le imprese italiane! Ma sulla pelle dei lavoratori italiani costretti ad accettare minori diritti pur di lavorare. Afferma il direttore delle attività ispettive del ministero del Lavoro, Paolo Pennisi, che «è tutto paradossalmente legale, fatto con meccanismi che non permettono di verificare la congruità del salario». Ma la cosa grave è che «non ci sono strumenti adeguati per verificare se i contributi vengono pagati effettivamente nel paese d’origine. Nonostante avessimo stipulato convenzioni con i colleghi romeni e di altri Stati, nove volte su dieci non riceviamo risposta».
C’è da dire però che ogni mese una quindicina di società finiscono sotto la lente dell’Inps. Ma per le sanzioni ci vuole tempo, arrivano anche dopo tre anni. Il distacco comunitario viene usato spesse volte dalle imprese per presentarsi alle gare degli appalti pubblici con offerte di gran lunga più convenienti rispetto alle imprese concorrenti che assumono lavoratori, diversamente da loro, rispettando il contratto di categoria. Questo comportamento finisce per alterare totalmente le regole della concorrenza tra le aziende italiane. Possibile che l’UE non prenda provvedimenti adeguati? Perché la crescita dei Paesi neo comunitari non può passare attraverso questo strumento così discriminatorio per i lavoratori italiani!

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