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L’Italia colorata, le vigilie dell’immobilità

L’Italia colorata, le vigilie dell’immobilità
Gennaio 17
16:20 2021

‘L’italia colorata’, i politici e i tecnici ne saranno a conoscenza, va creando ‘colli di bottiglia’ che sfociano in incontrollabili uscite di massa totale nelle quali, sì, sembra ci si sia dati appuntamento per non restare nessuno a casa. Alla vigilia d’una zona arancione si esce tutti di casa dalla mattina presto alla sera tardi, perché ci sono mille incombenze da sbrigare diverse dai motivi di necessità grave, di salute, lavoro. Capita di dover percorrere pochi chilometri, come capita qua ai Castelli Romani, per arrivare in un altro comune dove, magari, abbiamo la tintoria, i parrucchieri, qualcosa da restituire agli amici; o percorrere pochi chilometri anche per arrivare nella Capitale dove magari c’è il mobilificio, l’agenzia tal dei tali e tale altra. Tutte cose che se non ricadono nella necessità impellente oggi, presto o tardi diventeranno necessarie, come quel pezzo di ricambio da acquistare, quel documento utile ad una certa transazione, dove non è possibile dare per scontato che ogni cosa possa essere fatta per via tecnologica, smaterializzando qualsiasi contatto.

Così sembra essere trascorsa la giornata di sabato 16, la mattina e il pomeriggio tra una faccenda e l’altra, un ‘freddo becco’, tutti con le mascherine, anche molti da soli in auto (che la mascherina diventa una seconda pelle così che è già capitato di vedere che qualcuno ci abbia rovesciato sopra il caffè caldo portandoselo alle labbra), tutti distanziati per carità ma tutti in strada. Ma anche a passeggiare, seduti distanziati in riva al lago, a guardare lo specchio d’acqua che il sole se n’era già andato, per i sentieri dei boschi attorno ai paesi. Poi è scesa la sera. Le attività chiudevano, i bar e i ristoranti avevano chiuso alle 18, quasi tutti, perché in una serata così dove c’è da pulire attrezzature, cucine, sale, laboratori, perché poi si lavorerà la metà senza asporto serale, molti avrebbero dovuto lavorare il triplo per realizzare l’asporto. Tanti ragazzi, dove possibile, facevano una fila all’inglese, per due, ordinati, vicino alle pizzerie al taglio e con la pizza fumante tra le mani guantate continuavano a chiacchierare a gruppetti di tre o quattro; altri, sempre in fila ordinata vicino ai distributori automatici di caffè, cioccolato, birra, continuavano a stare vicini il consentito,  a ridere e scherzare perché se a marzo pensavano ancora di tornare presto in classe, e forse allora credevano ancora che l’esistenza si svolgesse molto oltre la scuola, a gennaio dell’anno dopo, visto il tempo trascorso in DAD che doveva essere solo un rimedio temporaneo, hanno anche capito che senza la scuola, senza l’incontro quotidiano, oltre lo schermo del pc, rischiano di sfilacciarsi anche i rapporti d’amicizia, d’amore e l’essere compagni di qualche cosa. Che altrimenti oltre la famiglia resta il vuoto. E la famiglia non è per sempre. Vicino a questi esigui gruppetti, resi sparuti e fragili dal freddo dell’inverno, dalla lontananza, discutono spesso di chi non vedono più, molto spesso dei nonni che sentono al telefono, su questo si scambiano opinioni, confrontandosi sui sentimenti provati. Sperimentare cosa significhi restare soli: non come prima che, quando stavano soli in una stanza davanti ad uno schermo era solo il ‘riassunto’ delle giornate passate assieme a scuola, in palestra, che credevano si sarebbero ripetute sempre; ora che non ci sono più queste occasioni, è diventata una esperienza dura.

Il pensiero va anche a chi dopo una vita di lavoro, impegno, durezze d’altro tipo, affronta la malattia in solitudine col conforto qualche volta d’una parola da lontano, qualche volta nemmeno di quella. Altre solitudini, altro sentire forse, eppure non dissimile dai ragazzi, anche se molti, per fortuna spesso crediamo, è possibile che abbiano una vita piena di bei ricordi e la pazienza allenata a lasciar andare le cose. Sentimento a volte utile davanti alla fragilità.

Chi prima frequentava poco i locali pubblici, oggi li frequenta, sperando di incontrare qualcuno, per sorridersi, almeno, quando si sorseggia una bevanda calda, alla vigilia d’una zona arancione di sicuro, ormai da mesi senza più cinema, teatri, auditorium musicali. Le poche ore che bar e ristoranti restano aperti sono sempre pieni i tavoli esterni, dalla mattina alla sera. Anche questa, anche se non ci si crede, anche se non sembra, è una forma di resistenza. Perché dove si credeva di avere tutto, ed è ancora così, si sperimenta quanto conti meno di quello che si credeva. Non pensiamo, come si sente dire da più parti, che ci sono tante persone che non comprendono bene cosa sta accadendo (la pandemia, le mutazioni virali) ma è certo molto chiaro che senza gli altri, senza le relazioni, si muore lo stesso un po’. Insomma, anche se non colpiti al momento dalla malattia,  si fa una vita insana, in ogni caso. (Serena Grizi)

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