L’inglese al Politecnico di Milano
Il Politecnico di Milano ha recentemente annunciato di voler adottare, a partire dal 2014, l’uso della lingua inglese per i corsi specialistici e dottorali. Numerosi linguisti e uomini di cultura italiani – nonché istituzioni come la Dante Alighieri, l’Accademia della Crusca e la Federazione Esperantista Italiana – hanno espresso la loro forte disapprovazione per questa decisione. Dietro tale decisione ci può essere l’intento di attrarre le iscrizioni di studenti stranieri, ma ciò determinerebbe inevitabilmente la rinuncia, da parte degli studenti italiani, alla loro lingua madre in favore di quella della potenza economica che al momento è dominante.
La perdita culturale ed economica sarebbe enorme e si inizierebbe l’inevitabile trasformazione della lingua italiana al rango di lingua familiare non più in grado di essere usata per discorsi scientifici o tecnici. Inoltre, è veramente inaccettabile che questo processo sfavorevole venga stimolato con l’uso dei soldi pubblici. La Federazione Esperantista Italiana ha dichiarato che «il tipo di ‘globalizzazione’ sotteso a questa misura è quello di un provincialismo esasperato, che porta a volersi confondere del tutto con la potenza e la lingua dominante per una mancanza di fiducia in se stessi e nella possibilità di sopravvivenza del proprio Paese. L’internazionalizzazione auspicata dagli esperantisti è di tutt’altra natura. Tutte le lingue e tutte le culture hanno pari dignità e ciascuno può e deve sviluppare la propria lingua e la propria cultura in piena autonomia». Davvero si pensa che rinunciare alla propria lingua potrebbe rendere un popolo più competitivo e più ‘internazionale’?
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