L’impresentabilità della compassione impotente
Nel centro di raccolta a Lampedusa non sono più rinchiusi uomini sfiniti dagli occhi spenti, né donne e bambini, le strutture sono vuote e silenziose, messe a tacere le polemiche, le proteste, le tante storture degli sbarchi del dolore, degli ammazzamenti in mare aperto moltiplicati all’infinito. Un atto di giustizia per molti, di calcoli opportunistici per altri, in ogni caso non appaiono più all’orizzonte barconi di disperati, clandestini da mantenere, esclusi da contenere.Per il cittadino inferocito dalle rinunce cui è costretto quotidianamente, non udire più “uomini in mare”, è quanto meno di grande sollievo, dopo anni trascorsi a sopportare l’intollerabile, gli accadimenti inqualificabili, fino a sentirci responsabili di tante tragedie perpetrate là dove lo sguardo è tentato a perdersi. L’impresentabilità della compassione impotente è stata giustamente interrotta, a Lampedusa è ritornata la calma, ognuno al proprio ruolo, alla propria condizione, al proprio futuro di libertà, non c’è più un solo riflettore, una telecamera, una spiaggia circoncisa dal pianto delle donne e dei bambini alla deriva, carne umana e commercianti di vuoti a perdere rimangono al di là degli occhi socchiusi.
Una battaglia di umanità nei riguardi di chi riusciva ad arrivare vivo, ma rimaneva in ginocchio, una battaglia di giustizia per chi è stato obbligato ad accettare una vera e propria invasione, costretto a reagire riducendo e indurendo la propria pietà e solidarietà.
Ora il punto è che fine fanno gli uomini rimandati indietro, i derelitti, gli ultimi, i neri e gli sconfitti mille volte, a quale destino forse peggiore sono accompagnati. Questi quesiti non sono più percepiti come improcrastinabili, perché c’è l’esigenza di staccarsi da una reiterazione invasiva così dirompente, ora è il momento di pensare a essere finalmente più sicuri in casa propria, a fare quella sicurezza che forse è riuscita togliere dalle nostre rive, dai centri di permanenza, tanti uomini e donne stremati da una vita secolarmente nemica.
Forse l’unica via percorribile era, ed è, questo respingimento, forse abbiamo perso anche troppo tempo per questa necessarietà non più rinviabile.
Forse è così, ma ora occorre rifare il percorso a ritroso, andare a vedere, indagare, verificare, se magari si perpetuano ingiustizie anche peggiori di quelle da poco sanate nel nostro territorio, forse occorre ritornare a osservare al di là di quegli orizzonti, dove comunque stipuliamo accordi e interessi condivisi.
Forse ora che abbiamo risolto il nostro problema, può essere salutare quanto meno per il mantenimento di quei valori di riferimento alti, di quei principi morali che ci contraddistinguono, confermando che non sono prodotti da supermercato, né occasioni meritevoli del sangue degli altri.
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