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L’immortalità dell’anima

Aprile 10
02:00 2008

Vissuto tra il VI e il V sec a.c., Pitagora sembra essere stato il primo filosofo a sostenere la dottrina della metempsicosi (dal greco metem = oltre), secondo la quale l’anima, per via di una colpa originaria, è costretta a reincarnarsi in esistenze corporee successive ovvero trasmigrare da un corpo all’altro per espiare quella colpa. Tuttavia, tale dottrina viene dall’Orfismo (dal mito di Orfeo), che a sua volta sviluppa la propria idea della metempsicosi a partire da una teoria già diffusa in Oriente e ancora oggi professata dal Buddismo, il quale esplora tecniche di liberazione dal ciclo delle nascite, e dall’Induismo: il termine avatar (dall’indiano “discesa” in riferimento all’incarnazione di un Dio) indica le varie incarnazioni dell’anima, secondo le teorie religiose indiane, e in senso figurato significa metamorfosi, mutamento. Il valore aggiunto dagli Orfici sta nell’individuazione delle caratteristiche sostanziali dell’anima, ipotesi basata su due questioni fondamentali: se essa sia una sostanza materiale o spirituale e se sia individuale o universale. L’anima consisterebbe in un elemento in qualche modo corporeo, una sostanza visibile agli uomini attraverso lo spirito vitale (pneuma) che entra nel corpo alla nascita e ne esce con l’ultimo respiro. Se gli Orfici propongono celebrazioni misteriche e pratiche religiose rimanendo legati a una mentalità magica, i Pitagorici fanno ancora un passo in avanti additando nella scienza, oltre che nella pratica morale, la via della purificazione e dando inizio alla “vita contemplativa”, trascorsa all’insegna della verità e del bene. Platone, a sua volta, è il primo ad affermare con prove la dottrina dell’immortalità personale facendo propria la dottrina orfica e le teorie di Pitagora. Se per Socrate era sufficiente capire che l’essenza dell’uomo è la sua anima, per Platone è necessario stabilire che questa sia immortale per poter confutare i Sofisti, i quali negavano ogni principio morale sulla base del sapere. Nel dialogo del platonico Fedone Socrate riespone la tesi secondo la quale apprendere significa ricordare (anàmnesis) e dal momento che la conoscenza è comunione con il divino, la più alta “purificazione”, l’anima umana può conoscere le cose immutabili ed eterne, sebbene ciò implichi necessariamente che essa abbia una natura a loro affine. La dimostrazione dell’immortalità dell’anima si fonda sulla dottrina delle idee. Il Fedone spiega in modo analitico la dottrina della metempsicosi, indicata anche come “palingenesi” (il connotato, estensivo, aggiunge al significato di reincarnazione quello di distruzione e fine del corpo, legittimando ancor più il senso del nascere di nuovo) o “metemsomatosi” (incarnazione successiva in diversi corpi). Se nella vita l’anima amò il corpo e si lasciò affascinare da esso e dalle sue passioni non riesce a diventare pura e a dipartirsi da esso; se in vita fuggì il corpo si diparte dal corpo pura e torna all’invisibile, al divino immortale, libera dalle passioni disordinate. Se l’anima è per Platone una realtà individuale unita al corpo che la ospita, ma da essa separabile, per il Cristianesimo essa è immortale, ma legata indissolubilmente a un singolo individuo; d’altro canto, quest’ultimo ha infine accettato la dottrina del “pneuma” finendo per utilizzare l’espressione “corpo pneumatico” per indicare l’anima: principio che dà la vita, la parte più nobile del corpo, capace di compiere operazioni cognitive cogliendo i significati veri delle cose.

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