Libri di ieri, problemi di oggi
Cesare Lombroso (1835-1909) era sicuramente una personalità genialoide (celebre è la sua opera L’uomo di genio del 1894). Fra i suoi scritti è assai interessante una raccolta di saggi intitolata Il momento attuale[1]: sono saggi d’opinione su fatti di varia natura, relativi agli anni a cavallo fra Ottocento e Novecento, con particolare attenzione a quelli nazionali. Il genio, si sa, è spesso un precursore dei tempi, un chiaroveggente, in grado di vedere ben oltre rispetto a tutti gli altri, e sicuramente Lombroso aveva queste qualità, ma nel caso de Il momento attuale non era sua intenzione dar prova di chiaroveggenza, bensì voleva semplicemente fare la fotografia della società italiana di quegli anni, mettendone in evidenza storture e difetti, con la speranza che, prendendone coscienza, gli uomini potessero migliorare. Ahimé! Non sapeva, invece, che purtroppo molti dei mali che allora denunciava sono ancora attuali, al punto d’apparire oggi, suo malgrado, un chiaroveggente, ma soprattutto un precursore della celebre frase del Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”.
La fuga dei cervelli
Oggi si parla tanto (e poco si fa per rimediare) di fuga dei cervelli dal nostro Paese, con tutte le conseguenze negative cui i media danno risalto: offuscamento dell’immagine della nazione, depauperamento della nostra ‘intellighenzia’, e, nel caso più specifico delle discipline tecnico-scientifiche, perdita di capacità d’innovazione tecnologica e quindi anche di competitività industriale.
Fare un elenco dei ‘cervelli’ che l’Italia ‘matrigna’ ha regalato ad altre nazioni nel secolo appena trascorso (continuando a ‘perseverare nell’errore’ anche nel nuovo secolo) darebbe corpo ad un libro, quindi me n’astengo. La fuga dei cervelli dal Bel Paese è veramente un problema nuovo, dei nostri tempi? Vediamo cosa scriveva Cesare Lombroso nel suo saggio L’emigrazione degli ingegni italiani del luglio 1898: “… una nuova sventura…si è aggiunta alle molte altre di questi ultimi tempi, quella dell’emigrazione degli ingegni più forti che va dilagandosi e allargandosi sempre più. Pochi anni fa, ai tempi di Cavour, erano le Università italiane che attiravano dall’estero delle grandi notabilità …. Ora va accadendo l’inverso: sono le nazioni straniere che attirano i nostri migliori.” . E quali le cause? Le stesse d’oggi: “…l’effetto delle strettezze economiche, o delle gelosie individuali…”.
Ed è veramente una novità anche il farsesco rituale d’orgoglioso riconoscimento d’italianità che puntualmente si rinnova ogni volta che qualche italiano, divenuto illustre all’estero, ritorna in patria? Quando ciò accade: Federico Faggin, che nel 1971 inventò il microprocessore, si guarda bene dal tornare in Italia, malgrado gli inviti rivoltigli. La risposta è ancora nello stesso saggio di Lombroso: “Noi abbiamo avuto la gloria, in questi ultimi anni, di aver dato la vita a Pacinotti, a Guglielmo Marconi, a Galileo Ferraris; ora non è egli vergogna che i loro meriti non siano stati riconosciuti se non quando dai punti più lontani dell’America del Nord, dell’Inghilterra e della Germania, ci vennero segnalati, con nostra grande sorpresa, per non dire rammarico?…”. E non si è ripetuta tante volte anche oggi questa nefandezza? Bruno de Finetti, pur essendo sempre vissuto in Italia, non c’è stato forse segnalato come un grandissimo matematico e anche filosofo proprio dagli Stati Uniti d’America, dove la sua geniale e innovativa opera nel campo della probabilità fu diffusa, studiata e apprezzata per opera del matematico statunitense Leonard Jimmie Savage, che ne fu talmente entusiasta da voler imparare l’italiano per potere leggere in lingua originale le opere di de Finetti? E non stenta forse ancor oggi a ricevere in Italia gli appropriati riconoscimenti?
La meritocrazia
Il desiderio di essere ‘alla moda’, di sentirci inseriti in un contesto internazionale e, non ultimo, il vizio secolare dell’asservimento allo straniero ci hanno fatto dimenticare gran parte del lessico della nostra lingua nazionale, sostituendolo con forestierismi inglesi. Ma di peggio è accaduto ad alcuni importanti vocaboli della nostra bella lingua, che hanno subito l’ignominia dell’oblio, del silenzio, come per ‘meritocrazia’, di cui i media, e persino i politici, finalmente, hanno notato l’assenza nella società italiana. Oggi, improvvisamente, gli Italiani, e in testa il Capo dello Stato, chiedono che nel mondo lavorativo, pubblico e privato, sia riconosciuto e premiato il merito delle persone. Grande conquista della democrazia! Ma anche questo è veramente un fatto nuovo? Ancora Lombroso, nel saggio già citato, scriveva: “L’unica vera nostra materia di gloria è la produzione di grandi individualità; ebbene questa unica nostra messe gloriosa siamo noi i primi a misconoscerla, a soffocarla nel nascere…[…] Quale è la causa di tanto malanno? Chi vi studia bene la troverà nella mancanza di una vera libertà…[…] nell’intolleranza…. Chi non ricorda quanti anni ci vollero, perché un ministro audace, contro l’opinione pubblica, nominasse Ardigò [2] a professore, Ardigò che è il nostro Spencer, e che le commissioni esaminatrici dichiararono, bisogna dire con concorde unanimità, inelleggibile?”. La mancanza del riconoscimento del merito conduce alla depressione per chi rimane nel nostro Paese e, nel migliore dei casi, al problema precedente, la fuga dei cervelli, per chi trova il coraggio di emigrare.
Le istituzioni cristallizzate
“Il clericalismo, soprattutto quello cattolico, è una di codeste istituzioni cristallizzate. Esso si ostina e si attacca ancora tenacemente a un vecchio armamentario, confessione, prediche, astinenza, elemosina, ubbidienza cieca; non ha saputo rinsanguare con qualche stilla di sangue giovane il suo corpo decrepito, ed entrar nello spirito moderno delle cose e degli uomini, mettersi a paro di tutto l’enorme cambiamento avvenuto nel mondo. Così la sua filantropia resta una filantropia invecchiata, dal convento e dall’elemosina, eclissata da quella più ingegnosa e appassionata, laico-protestante. La promessa fantasmagorica del benessere nel mondo di là non illude più le folle che si allontanano dal prete e dalla Chiesa…”.
Non credevo ai miei occhi, distratto come sono talvolta, pensavo di aver cambiato libro, di stare leggendo parole scritte oggi, e invece no, era ancora Il momento attuale di Cesare Lombroso, ma un altro saggio, del maggio 1899: Le cristallizzazioni politiche.
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[1]Casa Editrice Moderna, Milano 1904.
[2]Roberto Ardigò (1828-1920) insigne filosofo positivista.
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