Libertà dal conosciuto e spiritualità laica
Nel corso dei secoli e dei millenni la civiltà umana ha attraversato momenti di crescita e di decrescita. Nel tentativo di uniformare un codice di giustizia funzionale alla gestione della comunità sono sorte leggi e dettami religiosi utili a dare un indirizzo legittimo alla conduzione sociale.
I comandamenti ed i dettami, qualsiasi essi siano e di qualsiasi religione o governo, vanno bene per una attuazione etico-morale finalizzata all’ordinamento della società in cui si vive, quindi dal punto di vista della spiritualità laica sono “impedimenti” alla coscienza dell’unitarietà nella diversità della vita. Infatti nelle filosofie non duali, come il Taoismo, non esistono imposizioni categoriche ma il consiglio a muoversi in sintonia sincronicamente con la qualità del tempo… rispondendo alle necessità vitali, di volta in volta, seguendo l’ispirazione del momento.
Inconsciamente però ciò avviene anche volendo seguire gli ordinamenti civili e i dettami religiosi. Infatti leggendo la Bibbia, il Vangelo, il Corano, un codice legislativo, ecc. a seconda del livello intellettivo e delle propensioni del lettore, se ne ricava il significato e l’indirizzo che ad ognuno aggrada. Leggi una frase, analizzala, troverai dentro ciò che cerchi. Poiché nella miscellanea dei contenuti vi saranno sempre indicazioni per soddisfare o giustificare ogni propensione comportamentale ed ogni “interpretazione” adatta al proprio scopo. I libri cosiddetti sacri sono un compendio di contraddizioni che soddisfano così il “voler credere” e giustificano ogni azione. E ciò avviene sempre a livello del “conosciuto”, ovvero nell’ambito della memoria tesa al soddisfacimento delle intenzioni egoiche o della supremazia religiosa o ideologica.
Per queste ragioni la conoscenza “libresca” delle cosiddette “sacre scritture” non viene tenuta in gran conto nella spiritualità laica. Nell’advaita (non-dualismo) viene definita “artha wada”, che sta per: arricchimento letterario o materiale aggiunto, il cui scopo è semplicemente quello di soddisfare la curiosità mentale di chi non può accettare la verità assoluta e continua a crogiolarsi nel “divenire”. Infatti il dichiarare di “credere in qualcosa”, è solo un modo per qualificare l’oggetto in cui si crede. Ma usare il verbo “credere”, per descrivere il moto del divenire, è una limitazione alla conoscenza (basata sulla memoria). Si crede in ciò che si presume di conoscere, e che ci conviene, quindi il divenire viene compreso attraverso un processo fondato unicamente sul conosciuto.
Da qui il “crogiolarsi nel credere del divenire”. Ma la verà libertà è libertà dal conosciuto.
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