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Libertà come una prostituta

Marzo 22
08:41 2010

Bulli, droga, adolescenti in affanno e adulti in preda al panico, comunicazione balbuziente e mala gestione dei conflitti che degenerano, insomma un effetto trascinamento che non assolve nessuno, anzi crea le basi per sempre nuove drammaticità. Siamo abituati a vedere e pensare agli effetti causati dalla droga, quella dei composti chimici, dei derivati, delle sostanze dai nomi bizzarri, e non ci accorgiamo di quanto sta accadendo e sbancando alle fondamenta la nostra società di primi della classe. Forse è il momento di affermare che l’alcol è una droga proprio come qualsiasi altra consorella, colpisce la mente, il cuore e il corpo, come ogni maledetta sostanza. Alle fermate degli autobus, al pub, in discoteca, stanno con la bottiglia in mano, con lo spinello in bocca, con la bustina negli slip, senza bisogno di coprirsi il volto, gli occhi arrossati, c’è libertà di mostrare quel che non si è, c’è libero suicidio e c’è libero omicidio, insomma c’è libertà come una prostituta. E’ una rappresentazione teatrale in cui gli attori recitano senza copione, il “regista” di turno non fa caso a questo andazzo collettivo, quando è un po’ allarmato, mette qualche paletto, regola, norma, così gli attori diventati improvvisamente bambini, perdono il controllo, bicchieri adolescenti e bottiglie adulte si scambiano di posto, ognuno veste i panni dell’altro, nessuno è capace di consigliare l’altro, quanto meno di accompagnarlo a casa, se non proprio al sicuro.
L’alcol non è considerato alla stregua di una vera e propria droga, non c’è consapevolezza dei guasti fisici e psichici che procura, delle scomparse numerose provocate dal suo uso e abuso, eppure si tratta di un problema urgente da prendere di petto, non solamente attraverso la solita cartellonistica virtuale, una sorta di pizzo da pagare al sul consumo, al suo commercio, alla sua vendita pressoché smisurata. La droga-alcol non si limita a consumare fino alle ossa le persone, nelle comunità terapeutiche piene di utenti alcolisti, nelle carceri stracolme di persone da doppia diagnosi, dalla devastazione psichica, alle depressioni dirompenti, ci sono i riscontri di questa vera e propria piaga sociale. Abbiamo cultura del rischio insito nella droga, ne abbiamo molto meno delle bevande alcoliche, slogan e coretti da stadio esaltano il buon vino, la buona birra, intrugli e altre composizioni, come a dire «bere e campare cent’anni».
E’ sufficiente varcare i cancelli di una comunità terapeutica, dedicare una visita agli spazi e i corridoi della Casa del Giovane ( per questo motivo insisto a dire che è importante continuare a invitare le scuole, dalle elementari, alle superiori, alle università ), per renderci conto di quale nemico stiamo parlando, di quale killer stiamo discutendo, a quale macabro gioco al massacro stiamo assistendo. Forse è giunto il momento di ritrovare un possibile equilibrio, cominciando da una corretta comunicazione, che non faccia abituare alle “circostanze critiche, agli eventi critici” declinazioni criptate, di non facile lettura, per non allarmare troppo l’opinione pubblica quando un giovanissimo entra in coma etilico oppure ci ha abbandonati per sempre.

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