L’evoluzione del contadino
Forse è bene diffidare delle leggende metropolitane, anche quando sono campagnole. La normale evoluzione tecnico-scientifica, accompagnata da quella legislativa, ci fa scoprire che ‘il vino del contadino’ e magari ‘il formaggio del pastore’ non sono poi così buoni come si dice, anzi; quando addirittura non nascondono la truffa di smerciare, come genuini, prodotti commerciali di bassa qualità.
Oggi invece i progressi della ricerca e della pratica enologica consentono a tutti gli operatori del settore vitivinicolo, grandi e piccoli, di realizzare vendemmie e vini di ottimo livello, quasi perfetti dal punto di vista organolettico.
Il discorso sarebbe lungo, ma sinteticamente si può dire che ciò è possibile essenzialmente per due procedure specifiche: la fermentazione del mosto a bassa temperatura costante (o in particolari casi la criomacerazione, a temperature bassissime) e l’utilizzo di lieviti selezionati. Si tratta di una vera rivoluzione, che da qualche decennio ha sostituito la più invasiva e grossolana pastorizzazione, con due risultati fondamentali: abbassare drasticamente l’uso di prodotti chimici, e conservare ed esaltare le qualità organolettiche del prodotto. Rapidamente e ‘in soldoni’ diciamo che i lieviti (cosiddetti indigeni) sono insiti in ogni processo di fermentazione, ma, come si ricava dall’esperienza comune, spesso prevalgono quelli cattivi facendo virare il tutto verso l’acido e il tossico.
Nelle vinificazioni ‘antiche’ si operava con una fermentazione libera (il mosto bolliva) e con l’uso eccessivo di solfiti. Ne risultava molto spesso un vino morto e pesante, che procurava il famoso ‘cerchio alla testa’ durante lo smaltimento metabolico del solfito in eccesso. I lieviti selezionati, diciamo quelli ‘buoni’, combattono quelli cattivi ed esaltano profumi, sapori e altri componenti (vitamine, polifenoli e antocianine), in quanto è possibile trattenere più a lungo nel mosto (anche con frequenti ‘rimontaggi’) le bucce, dove si trova la maggior parte dei componenti organici.
Bisogna dire, anche a vanto locale, che la scienza enologica ha selezionato alcune decine di lieviti specifici per tipologie di vini, uno dei quali, universalmente adoperato, è quello denominato S6U, scoperto circa venti anni fa dalla Cantina Sperimentale di Velletri. Ovviamente deve esserci una combinazione tra l’uso dei lieviti selezionati e la fermentazione controllata a temperature tra i 16 e i 18 gradi in vasche d’acciaio refrigerate da serpentine. Anche dopo la svinatura il ciclo del freddo prosegue con la cosiddetta stabilizzazione tartarica, che favorisce la precipitazione naturale delle impurità.
Alla fine il vino, che è rimasto vivo e profumato, può riposare in cantina, magari nobilitandosi in botti di rovere, o allietare la tavola ancora giovane. In entrambi i casi, un uso accorto di questa bevanda sarà salutare per corpo e spirito.
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