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L’Europa e gli Europei

L’Europa e gli Europei
Maggio 31
16:47 2014

13-europa-politicaOsservando una carta geografica politica si distinguono immediatamente i confini (frontiere) disegnati fra diverse aree rappresentate con colori diversi. Spesso corrispondono a elementi naturali (coste, fiumi, catene montuose, ecc.). Sembra quasi che quei confini li abbia messi lì la natura, come se fossero un termine invalicabile da non dover superare.
Il concetto di confine è nato dalla necessità di separare la proprietà privata di due individui ma, visto il “bisogno” ricorrente dell’uomo di una più intensa forma di comunione, si è poi esteso a rappresentare lo spazio riservato di comunità sempre più vaste.

Ma la natura non costruisce frontiere, non preordina divisioni di umanità da umanità. La cosiddetta “barriera naturale”, rappresentata da una linea, è elemento di separazione ma, al tempo stesso, anche di contatto. Un confine quindi non solo separa, ma unisce culture contigue. Ciò che è considerato un “elemento naturale di discontinuità” andrebbe visto come un elemento attraverso il quale si sono potuti sviluppare continuamente i rapporti di vicinanza e le contaminazioni tra culture diverse.
Non è vero che tra le due sponde di un fiume, o tra i due versanti opposti di un monte non ci sia una continuità. Gli stessi mari, seppur molto ampi rispetto alle dimensioni dell’uomo, hanno sempre rappresentato una sorta di legame fra le civiltà sviluppatesi sulle opposte sponde. È proprio navigando attraverso il Mediterraneo che, nel corso dei secoli, le civiltà che lo contornavano hanno potuto stabilire, più facilmente che in altre zone del mondo, relazioni culturali e intessere rapporti commerciali – una sorta di internet ante litteram – che hanno condotto i popoli mediterranei a tracciare una linea evolutiva culturale di fondamentale importanza per l’umanità.
Nel nostro tempo però, pur restando immutata la tendenza alla ricerca di una più intensa forma di comunione, si sta rafforzando l’idea della propria individualità, il che fa emergere la percezione che la comunione diffusa sia una sorta di vincolo soffocante. Nelle società si divarica sempre più la parte di cittadini che “sente” una migliore collocazione di sé in un’organizzazione “liberale individualista”, rispetto a quella basata su “comunione e solidarietà”.
Purtroppo non esiste una società organizzata in modo da dare contemporaneamente la più ampia libertà e la più ampia sicurezza di poter contare sulla solidarietà degli altri. E purtroppo il potere politico dei singoli Stati non riesce più a esercitare il doveroso controllo su un potere economico che ha superato i confini dell’ambito politico per diffondersi sull’intero mercato planetario; un potere economico che, pur dando accesso nel suo interno a una sempre maggiore porzione di umanità (che rimane comunque una minima parte del totale), sta scavando un profondissimo solco che divide i ricchi, sempre più ricchi, dai poveri, sempre più poveri.
Ecco perché per il futuro dell’Europa la cosa più importante da costruire è quella che ancora non è stata edificata, e cioè la politica comune. Ciò potrà avvenire solamente attraverso uno (sciaguratamente) lento processo culturale. Bisogna guardare al passato – in particolare a ciò che è accaduto nello scorso secolo – quando, durante il primo e il secondo conflitto mondiale, si ponevamo centinaia di migliaia di soldati a presidiare i propri confini e altre moltitudini di uomini a conquistare quelli altrui. La Seconda Guerra Mondiale, in particolare, è stato il conflitto fra Stati che maggiormente, in tutta la storia dell’umanità, ha messo quasi tutti i popoli d’Europa l’uno contro l’altro. Durante quel conflitto l’Europa ha espresso al massimo il proprio potenziale di nazionalismo, di odio, di predominanza della Ragion di Stato. Ne è derivata un’immensa carneficina, distribuita in tutto il continente. Quasi tutte le nazioni l’hanno subita e quasi tutte hanno contribuito a compierla.
Se questo è stato effettivamente “il male” da tutti riconosciuto, occorre ammettere anche che oggi la vera conquista da fare è superare davvero le frontiere e di integrare, per quanto è possibile, le culture affini dei popoli europei. A tale scopo i singoli Stati «che hanno promosso e sperimentato ogni tappa dell’integrazione, depositari degli ideali che l’hanno sospinta in avanti» (Carlo Azeglio Ciampi) stanno cercando di costruire la politica comune, ma è necessario attivare anche, e soprattutto, un processo naturale e culturale che parta dai singoli cittadini europei.
Dovremo operare per conoscere e accettare i rispettivi singoli cittadini degli altri Paesi; contribuire a migliorare le conoscenze sui contesti politici, sociali e culturali europei; rendere ben presenti i bisogni e i problemi del territorio, in modo da collocarli nel contesto di un’azione di coinvolgimento e di impegno comune per edificare un’Europa basata sulle tradizioni che valorizzi le autonomie e le identità. È solo attraverso la reciproca conoscenza che si potranno superare le diversità che separano. È solo con la creazione di autentici legami d’amicizia fra giovani di lingue e costumi diversi che si può rafforzare la comprensione e il reciproco rispetto.
Cerchiamo, tutti insieme, di navigare nel mare del primo secolo di questo nuovo millennio, da poco tempo dischiuso alla nostra vita, facendo gonfiare le vele con un po’ di necessaria utopia.

Parlo da utopista, lo so. Ma o essere utopisti o sparire.     P.P. Pasolini

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