L’Esperanto: un mezzo di espressione umano
Conferenza di Humphrey Tonkin al 7° Congresso Iraniano di Esperanto , 18 aprile 2020
Per prima cosa vi dico quale grande piacere è stato avere l’occasione di parlare agli esperantisti iraniani. Ho seguito da molti anni l’attività dell’Esperanto in Iran – in pratica dalla metà degli anni ‘70. La mia unica visita in Iran, nel 1977, mi ha convinto non solo dell’efficace azione degli esperantisti iraniani per l’Esperanto ma anche per l’ospitalità e il progresso del paese. Ci troviamo ora in un periodo di crisi politica e sanitaria. Sarà possibile che l’attuale pandemia ci insegni di nuovo come è importante conservare la vita umana, come è essenziale che insieme lavoriamo per il bene dell’umanità? Che sia possibile che una crisi, questa per il coronavirus, possa convincerci a cancellare l’altra – quella per la divisione politica, l’odio e l’insensato dispendio di energia per le eterne dispute? E il messaggio dell’Esperanto potrebbe accelerare l’arrivo della pace? Possiamo almeno sperarlo.
Desidero parlare oggi di un argomento forse un po’ astratto ma comunque importante – l’esistenza dell’Esperanto e il suo ruolo nel nostro mondo moderno. Contemporaneamente questa è una conferenza, non un discorso ispirato. Spero che presterete attenzione e che vi possa raccontare qualcosa di nuovo …
Un po’ di storia
Ai tempi di Zamenhof, tre lingue avevano all’incirca la stessa influenza negli affari dell’Europa: il francese, il tedesco e l’inglese.
Gli intellettuali francesi dell’epoca collegavano la lingua francese alla tradizione classica, considerandosi gli eredi del grande Impero Romano e le glorie della lingua latina. Il francese godeva di un grande prestigio.
Anche gli intellettuali tedeschi si identificavano con la tradizione classica. Ma per loro si trattava di una più vasta tradizione: si identificavano non solo con quella latina ma anche con la greca: in pratica con le lingue indoeuropee in generale. La scoperta della “famiglia” indoeuropea è attribuibile ai funzionari britannici in India alla fine del diciottesimo secolo, ma è stata acquisita dai parlanti tedesco, che subito si sono identificati nell’integrazione del sanscrito e del persiano nella storia intellettuale e filologica. Inoltre i tedeschi iniziarono vaste esplorazioni archeologiche in Medioriente. Contemporaneamente e persino più decisamente, essi crearono il concetto della “università esplorativa” dove dominava non tanto l’istruzione dei giovani quanto l’esplorazione scientifica.
La lingua inglese guadagnava molti adepti a causa della crescita economica della Gran Bretagna e degli Stati Uniti e della contemporanea espansione delle colonie, soprattutto in Australia e in Canada, e di conseguenza del commercio mondiale. Anche la Francia si espandeva in modo simile, di meno gli stati tedeschi e in seguito la Germania unificata. Ma il tedesco, a sua volta, godeva di una posizione importante nelle scienze (compresa la medicina), e il francese nel mondo della diplomazia internazionale. Gli Stati Uniti presero subito dai tedeschi l’idea dell’università universale, contemporaneamente dedicata all’istruzione e all’esplorazione, con enfasi sugli studi dottorali. Anche questo quindi ha reso più forte la lingua inglese.
Non solo questo: la crescita dei movimenti in Europa insieme alla crescita dell’istruzione, ha creato problemi linguistici dove fino a quel momento esistevano a malapena: il tedesco comandava nell’Europa Centrale, il francese nell’Europa Occidentale. Nell’Asia Orientale, insieme all’industrializzazione del Giappone, cresceva l’influenza del giapponese. Una espansione simile si è avuta per l’arabo, ma ha riguardato essenzialmente l’espansione religiosa. L’espansione dell’arabo e del giapponese sono stati in gran parte fenomeni regionali, come per il turco, l’hindi e simili. Le principali lingue europee tuttavia aspiravano ad una influenza mondiale.
In questa confusione linguistica si è tuffato Zamenhof. Benché abbondino le radici germaniche in Esperanto, Zamenhof si è immedesimato in continuità con il latino, al quale a loro volta si appoggiavano gli intellettuali francesi: il sistema grammaticale dell’Esperanto, benché drasticamente semplificato, è simile a quello della lingue provenienti dal latino. Solo negli ultimi anni si è chiarito che ad un più profondo livello questa grammatica ha elementi simili ad esempio con il cinese.
Zamenhof ha estratto il lessico principalmente dalle lingue neolatine, la semantica dal corredo semantico generale delle lingue europee.
In altre parole, Zamenhof ha sfruttato la propria conoscenza delle lingue, ma con la propensione a legarsi (secondo la reputazione) alla intellettualmente e letteraturalmente superiore lingua francese – quindi non alla lingua tedesca e alle sue specializzazioni, malgrado che il padre fosse insegnante di tedesco. Si potrebbe persino argomentare che in un certo grado Zamenhof agisse contro il tedesco.
Non manca in Esperanto l’infuenza del russo e delle lingue derivanti dal russo, nella provvista delle parole, nella semantica e nell’uso abituale, ma a queste lingue mancava il prestigio identificabile con il francese – e Zamenhof molto consapevolmente aveva lo scopo di creare una lingua di prestigio, che superasse le solite critiche contro le lingue artificiali, che esse erano soltanto strumenti limitati di espressione, senza tradizioni letterarie e storiche. Solo così avrebbe avuto la possibilità di avere il sostegno degli opinionisti.
Evidentemente Zamenhof ha usato gli elementi linguistici che conosceva, e ha prestato attenzione ai grandi filoni della filologia e della liguistica del periodo. L’identificazione, alla fine del diciottesimo secolo, delle radici comuni tra le lingue neolatine e germaniche da una parte, e del sanscrito e del persiano dall’altra, e quindi la scoperta della “famiglia linguistica indoeuropea” ha soltanto rinforzato la decisione di Zamenhof di identificarsi con il francese, i cui intellettuali rintracciavano il passato della propria lingua nel latino di Virgilio ed Orazio attraverso i franchi della regione dell’attuale Francia orientale e Germania occidentale, fino ai cosiddetti “eredi autentici” della tradizione latina, esattamente i francesi.
Devo aggiungere che in un certo senso tutta questa tradizione classica era una fantasia: un viaggiatore spaziale in visita al nostro pianeta, diciamo, 2500 anni fa verosimilmente avrebbe scelto il persiano o il cinese per creare la sua lingua mondiale? …
Ma per ritornare al mio argomento centrale …
Ecco il paradosso principale dell’Esperanto: aveva lo scopo di un uso mondiale ma perseguiva questo obiettivo nel contesto dell’espansionismo europeo – e dell’espansione della sfera di influenza indiano-persiano-greco-romana.
Perfetto o utilizzabile?
Linguisticamente, quindi l’Esperanto non è neutrale. Di fatto, se si immagina una lingua neutrale come una lingua che contenga piccole particelle da ogni regione del mondo, il risultato sarebbe neutrale soltanto nel senso che questa lingua sarebbe egualmente difficile per tutti i popoli. E, d’altra parte, persino se questa “universalità” fosse possibile per la provvista delle parole, probabilmente non sarebbe possibile grammaticalmente, dove è necessario scegliere un sistema sugli altri. E semanticamente questa scelta neutrale creerebbe un vero caos.
Zamenhof non mirava all’universalità della lingua, ma alla facilità e alla capacità di espressione – non alla perfezione ma alla utilizzabilità. Dimostrerei che ha raggiunto lo scopo.
Il professore e scrittore italiano Umberto Eco ha dedicato un’attenzione importante all’Esperanto nel suo libro di venticinque anni fa “La ricerca della lingua perfetta”. Ma se perfino i poeti cercano una perfetta potenza espressiva nella creazione delle loro opere, e se in un certo senso perfino Zamenhof ha posseduto la passione creativa del poeta, il suo scopo nella creazione dell’Esperanto non era la perfezione ma l’utilità.
Non posso enfatizzare troppo questo aspetto dell’Esperanto: non è una lingua perfetta, né ha lo scopo di essere una lingua perfetta: è una lingua per la facile utilizzazione da parte di noi esseri imperfetti, che ci dibattiamo sempre con i problemi linguistici e con la disuguaglianza linguistica.
Non si impara facilmente nello stesso modo da parte dei parlanti di tutte le lingue. Mentre noi che parliamo inglese o persiano possiamo trovare elementi comuni nella grammatica dell’Esperanto, e mentre chi parla soprattutto inglese trova una quantità di radici che conoscono, gli esperantisti giapponesi non godono di questo aiuto. I loro problemi sono altri rispetto a quelli che affrontano i cinesi, ma anche loro trovano difficili i passi iniziali.
Ma l’Esperanto si studia molto più facilmente della cosiddetta lingua internazionale, l’inglese – e delle altre lingue europee.
Di fatto, nella battaglia delle lingue che Zamenhof ha affrontato negli ultimi anni del diciannovesimo secolo, è stato soprattutto l’inglese che in gran parte ha avuto successo. I britannici e gli statunitensi (insieme ai canadesi, agli australiani ecc.) si sono trovati dalla parte giusta nelle due guerre mondiali, mentre i tedeschi hanno perso entrambe le volte. Questo, in combinazione con la ricaduta del fascismo negli anni ‘30, ha sostanzialmente distrutto i vantaggi del tedesco nelle scienze. I francesi possedevano una vasta rete di colonie, ma soltanto i britannici sono riusciti a instaurare forti e autonomi stati principalmente di lingua inglese in Australia, Nuova Zelanda, Canada, India e Sudafrica. Mentre gli statunitensi hanno ampliato la loro egemonia economica in grandi parti del mondo e hanno accresciuto le proprie forze interne educative ed economiche.
In diplomazia la battaglia in un certo grado è continuata e continua. Decisiva è stata la scelta di due lingue ufficiali nella Lega delle Nazioni nel 1919-20: l’inglese e il francese. Dopo l’invenzione della traduzione simultanea e la fondazione delle Nazioni Unite, il numero delle lingue ufficialmente usate all’ONU è cresciuto fino a sei, ma fino ad oggi le due lingue di lavoro del Segretariato dell’ONU restano l’inglese e il francese. Sempre più prevale l’inglese. Lo stesso è accaduto nell’Unione Europea, dove si accumulano le lingue ufficiali ma l’inglese diventa sempre più forte.
Passato e futuro
Quindi, l’Esperanto ha delle possibilità? Questa lingua di Zamenhof, che non ha mai avuto il sostegno degli organi ufficiali né dei diversi stati, può giocare un ruolo nel futuro della vita internazionale?
Per prima cosa è necessario evidenziare che negli anni intorno al 1880, quando la battaglia delle lingue infiammava la vita internazionale, l’Esperanto appariva soltanto allora. I governanti dei grandi stati l’hanno sistematicamente contrastato con l’argomento che era una lingua di qualche strano individuo e che in ogni caso non aveva né la ricchezza né la storia delle cosiddette grandi lingue. La veloce crescita della lingua negli anni successivi alla Prima Guerra Mondiale è stata essenzialmente annullata non dai limiti stessi della lingua ma, al contrario, dalle sue potenzialità: il governo sovietico di Stalin, scoprendo che i cittadini sovietici comunicavano troppo efficacemente con l’estero, attraverso l’Esperanto, le mancanze dell’Unione Sovietica, fermò il movimento e perseguì i suoi sostenitori; e i fascisti dappertutto l’hanno contrastato. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, agli stati vincitori non è interessata una soluzione neutrale del problema della comunicazione internazionale, ma hanno preferito nelle migliori occasioni appoggiarsi ai nuovi sistemi della traduzione simultanea. L’Unione Sovietica ha sostenuto con forza la lingua russa, che ha guadagnato un po’ di influenza nelle scienze, ma con il collasso sovietico è collassata questa influenza.
E oggigiorno non mancano i parlanti e gli utilizzatori della Lingua Internazionale: probabilmente ci sono più discenti della lingua oggi che mai nella sua storia.
Contemporaneamente affrontiamo nuove sfide. L’avanzamento della tecnologia facilita drasticamente la traduzione e presto avrà un’efficacia simile alla interpretazione; la concorrenza fra gli stati si è rafforzata e il multilateralismo si è ridotto. Di fatto, si ha l’impressione che, almeno in politica, più si facilita la comunicazione interlinguistica, più si usa per insultarsi reciprocamente, per rinforzare la propria posizione a costo degli altri, per asserire la propria superiorità.
E tutto questo si fa in mezzo a una pandemia che minaccia tutta l’umanità, tutti i paesi e in una crisi climatica che può distruggere il pianeta. Se è così, quelli che condannano la lingua di Zamenhof come una pazzia sono essi stessi pazzi, e quelli che sostengono questa lingua comprendono saggiamente la verità fondamentale, cioè la necessità di seguire la via della pace, del comune aiuto reciproco e delle soluzioni universali dei problemi che minacciano il pianeta.
Nei centotrent’anni successivi alla creazione dell’Esperanto, questa lingua è diventata pienamente espressiva, pienamente capace come lingua. Zamenhof saggiamente ha trasferito l’evoluzione della lingua ai suoi utilizzatori: si ritirò dal suo ruolo di creatore della lingua e la lasciò coltivare agli esperantisti stessi. Quando qualche esperantista suggeriva che si poteva migliorare la lingua, la maggioranza degli utilizzatori della lingua tuttavia ne continuava l’uso che aveva già imparato – perché già nel 1907, l’anno dello scisma dell’Ido, la lingua, solo ventenne, già era diventata un sistema linguistico pienamente utilizzabile. I perfezionisti transitarono all’Ido e dopo verso altri sistemi linguistici più “perfetti”, e alla fine si sono dissolti nell’aria come una mera nuvola linguistica. I veri idealisti, che volevano risolvere il problema delle lingue, sono rimasti fedeli all’Esperanto.
Ho già suggerito che l’Esperanto ha oggi più discenti e utilizzatori che mai nella sua storia. Questo accade in parte per Internet, con cui si può con relativa facilità imparare la lingua – e utilizzarla molto facilmente. In rete abbonda il materiale in Esperanto come i metodi per collegarsi con gli altri utilizzatori della lingua, tanto che si crea una comunità linguistica virtuale davvero forte.
Il concetto di uguaglianza
Ma in questa situazione la perfezione è nemica del buono: si può così perfettamente usare la lingua, così bene goderne, così facilmente collegarsi con persone delle altri parti del mondo, che ci si dimentica che l’Esperanto è più di una lingua per mettersi in contatto personalmente con simpatizzanti di altri paesi. L’Esperanto è la risposta ad un più grande problema di questo – cioè alla disuguaglianza di base della comunicazione linguistica nel mondo. E’ bello che si pratica l’uguaglianza linguistica in questi contatti personali; è brutto che non si faccia sufficiente attenzione alla idea fondamentale dietro l’Esperanto – quella che si può chiamare l’idea dell’equiparazione.
Cosa intendo con questa nozione di “equiparazione”? Dovunque nel mondo si vedono esempi di discriminazione linguistica. Quelli che padroneggiano la lingua inglese non hanno solo i vantaggi negli affari internazionali a causa della loro conoscenza della lingua, ma possono usare questo sapere per svantaggiare gli altri. Facilmente vengono assunti per primi gli statunitensi al Segretariato dell’ONU, ma i cinesi, ad esempio, devono investire tutto nel sistema educativo per formare persone preparate linguisticamente per concorrere per quei posti di lavoro. E persino in più di una buona occasione un parlante inglese nativo gode dei vantaggi nelle interrelazioni, può esprimersi più facilmente, può persuadere più facilmente.
Purtroppo chi parla inglese fluentemente dalla nascita è così fiero della propria conoscenza che , coscientemente o meno, sbarra la strada ai parlanti della sua stessa lingua con la sua lealtà alla lingua inglese. L’inglese non è solo utile: è anche prestigioso – e il prestigio dipende dall’esistenza di persone e di lingue cui manca il prestigio.
Ho nominato le Nazioni Unite perché, come rappresentante dell’Associazione Universale dell’Esperanto – UEA presso l’ONU, le conosco meglio. Ma quello che sto dicendo si applica allo stesso modo in tutti gli aspetti del commercio, della diplomazia, della scienza: l’uso delle lingue nazionali nei contesti internazionali è essenzialmente ineguale.
Di fatto, la conoscenza linguistica e il prestigio o la mancanza di prestigio delle principali lingue ha la sua efficacia ad ogni livello della società umana. i parlanti delle lingue minoritarie soffrono la discriminazione e devono portare il carico dello studio della seconda lingua per avere un ruolo nella propria società nazionale. In molti casi, persino le loro lingue non sono usate nelle scuole e devono quindi acquisire una nuova lingua anche per istruirsi. Spesso il risultato è che saranno sempre in posizione di inferiorità. E i parlanti della lingua dominante operano per assicurarsi la loro posizione di superiorità, ignorando le creazioni artistiche di quelle minoranze, escludendoli dall’economia, sfruttandoli.
Questo avviene ovunque nel mondo. Le lingue sono uno dei principali fattori di discriminazione, di furto dei diritti umani, bagatelle per gli altri. Come ho detto prima: il prestigio dipende dall’esistenza del dispregio; l’uguaglianza di quelli nelle posizioni di superiorità dipende dalla disuguaglianza degli altri; il sopra suppone un sotto e un sotto suppone un sopra …
Purtroppo noi esperantisti, godendo del dono linguistico di Zamenhof, trascuriamo la diffusione delle idee implicite in esso. Non è sufficiente conoscere l’Esperanto: è necessario usarlo. Non è sufficiente usare l’Esperanto: è necessario diffonderlo. Non è sufficiente diffonderlo: è necessario diffonderne l’idea implicita fondamentale: quella dell’uguaglianza linguistica. Il problema delle lingue nel mondo non è solo il problema della comprensione, è anche il problema dell’ordine sociale: per creare l’armonia internazionale si ha bisogno di una lingua internazionale.
Queste sono idee grandi. Merita anche ammainarle al livello di noi persone semplici. Il mio messaggio è semplice: è necessario lavorare per il nostro ideale mediante tutti i sistemi possibili, perché è un elemento fondamentale nella strada ad un mondo più capace di affrontare i problemi che tutti noi abbiamo davanti – i problemi della salute, della guerra e della pace, dell’educazione, dell’uguaglianza, del clima in salute – problemi umani, risolvibili con soluzioni umane – risolvibili anche con l’utilizzo di una lingua internazionale egualitaria e che rende eguali.
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