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Leopardi e… i bestseller

Leopardi e… i bestseller
Luglio 27
05:50 2016

Un mio professore, ai tempi del liceo, si divertiva a chiamare Leopardi ‘Giacomino da Recanati’. Era un uomo non giovane, il professore, ma spesso còlto dal sano desiderio di canzonare amorevolmente qualche Autore del nostro programma: uno di quelli con la A maiuscola.
Ho scritto amorevolmente, perché in quel gesto c’era vero amore. Una consuetudine autentica, e diciamo navigata, alla lettura dell’opera del grande recanatese. Era come quando si dice il ‘nostro’ poeta, o cose del genere. Si ha a che fare con quel personaggio talmente spesso e da vicino, che con lui non ci si fan scrupoli, e si trascurano le formalità.
Certo è strano, penserete, fare questo con Leopardi. Nell’opinione comune (sulla scorta dei ricordi scolastici), egli fu il poeta dolente, il pessimista, il solitario… Quello che aveva caro l’ermo colle, e le vaghe stelle dell’Orsa. Un personaggio che certo ispira più serietà che voglia di scherzare.
Oltre a ciò – dal momento che elogiare il passato, dir che un tempo ‘tutto era meglio’, è forse lo sport più diffuso in Italia –, quante volte abbiamo ascoltato persone che rimarcavano la differenza che c’è tra Leopardi, o Dante, o Manzoni, e gli ‘scrittorucoli’ di oggi, autori di tanti supposti bestseller?
Oggi viviamo, secondo molti, in un mondo in cui tutto è stato banalizzato, e in fondo desacralizzato. Perciò, come stupirsi del gran numero di libri che – spinti anche dal clamore che fanno la stampa e i media – prima esplodono come fenomeni, diventan moda letteraria per la durata di una stagione, e poi vanno nel dimenticatoio? E tutto questo, nonostante i suddetti media ci garantiscano che siano opere imperdibili, da conoscere assolutamente, e già acquistate e lette da milioni d’italiani?
No, diranno in molti… I Leopardi, i Dante non c’entrano nulla con tutto questo: loro venivano da grandi Epoche! I nostri, oramai, sono tempi sciatti, consumistici. Dante, o Leopardi, avevano a che fare con ben altre cose!
Lo confesso: ho avuto anch’io per molto tempo la tendenza a pensarla in questo modo; finché un giorno dovetti ricredermi.

Ero da poco entrato nel mondo delle case editrici, e stavo lavorando alla correzione delle bozze di un libro di filosofia, il cui autore era ancora vivente. Era un testo piuttosto denso, con frequenti citazioni da grandi libri come il Dhammapada, l’Ecclesiaste, il De rerum natura; e appunto, anche lo Zibaldone di Leopardi.
Quello con cui collaboravo era un editore abbastanza di nicchia, le cui pubblicazioni non avevan grandi tirature. Per questo fui stupito quando, una mattina, ascoltai per caso la direttrice editoriale discutere con qualcuno, venuto lì a trovarla, di un altro libro dello stesso autore su cui stavo lavorando – uscito in precedenza sempre per i loro tipi. Tenendone in mano una copia, la direttrice diceva all’ospite: « Hai visto che bello? E sta avendo un bel successo ».
A esser sincero, fra me e me pensai che ‘bel successo’ fosse stata un’espressione sin troppo generosa! In fondo, conoscevo le vicende della casa editrice; il numero limitato di copie d’ogni libro che veniva movimentato e mandato nelle librerie. Sapevo, per di più, come non fosse sempre facile trovarne una, di libreria, in cui poter ordinare i volumi… Ciononostante, l’ospite della direttrice editoriale mi parve, in qualche modo, onestamente colpito dall’affermazione. E se è pur vero che forse – una volta uscito di lì – non sarebbe subito ‘corso’ a cercare quel libro, mi convinsi che tuttavia avrebbe tenuto in qualche conto il nome dell’autore, di cui gli avevan tessuto le lodi.
Non pensai più a quell’episodio. Ma giorni dopo, sempre impegnato su quel testo di filosofia, mi fu chiesto di ri-controllarne le citazioni tratte da Leopardi, così che – fortuitamente, mentre stavo cercando altro – m’imbattei in questi passaggi presenti nello Zibaldone:

« Il mezzo più efficace di ottener fama è quello di far credere al mondo di esser già famoso. » (Zib., 4154)
« Se un buon libro non fa fortuna, il vero mezzo è di dire che l’ha fatta; parlarne come di un libro famoso, noto all’Italia ec. Queste cose diventano vere a forza di affermarle. Molti che l’affermino o lo ripetano, lo rendono vero senz’alcun dubbio. » (Zib., 4329)

Dunque (ora lo capivo), anche riguardo alla letteratura o pseudo-letteratura, i fenomeni sociali che Leopardi aveva davanti non erano così dissimili da quelli che viviamo oggi. Era chiaro, di conseguenza, che nell’episodio che ho raccontato la mia direttrice editoriale – seppure nel suo piccolo – stava cercando di trarre profitto da simili verità. E chissà che non l’avesse apprese dallo stesso Zibaldone…
D’altronde, quando oggi dal pulpito dei media ci vien detto, all’interno di rubriche e spazi dedicati: « Andate a comprare il tal libro, è un nuovo ‘caso letterario’! », non avviene la stessa cosa, seppur su una scala diversa?
Qualunque editore che abbia importanza delega al proprio ‘ufficio stampa’ il compito di promuovere e anticipare l’uscita d’un testo tra gli addetti ai lavori – giornalisti, critici ecc. Più una casa editrice avrà prestigio e peso, più aumenterà la qualità dei suoi giornalisti e critici di riferimento.
Se un giornalista ha un nome autorevole, noi, gente comune, naturalmente gli daremo credito. Faremo nostro ciò che lui dice, ripetendolo magari anche a coloro che incontreremo una volta usciti di casa: « Hai visto? Quel libro è un bestseller, e il suo autore è ‘famoso’ ». Diciamocelo: in questi anni, quante persone abbiam visto acquistare romanzi come Gomorra o La solitudine dei numeri primi (in molti casi, senza che nemmeno venissero letti) soltanto in virtù di un siffatto passaparola?
Questo è il successo letterario; o meglio, lo è in molti casi. Lo si è ‘costruito’ in tal maniera, se non da sempre, almeno fin dalla nascita dei moderni mezzi d’informazione. Così accade, giacché come scriveva il nostro autore:

« Se tu fai nel cospetto di quanta gente tu vuoi, un’azione o una produzione ec. la più degna e la più lodevole che si possa immaginare, t’inganni a partito se credi che […] gli altri debbano aprir la bocca spontaneamente, e cominciare essi a dir bene di te. Guardano, e tacciono eternamente, se tu non rompi il silenzio, e se non hai l’arte o il coraggio d’essere il primo a far questo. » (Zib. 2429)

Non c’è che dire: una considerazione di natura vastissima, esistenziale. Perciò utile anche in questo caso.
Vedete allora come ‘Giacomino da Recanati’ (come lo chiamava il mio insegnante), in quell’Ottocento che ci sembra così lontano, avesse – sorprendentemente – già parlato anche di marketing… Sebbene tale espressione di sicuro non l’abbia mai usata.

Edoardo Monti

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