L’economia che verrà
Viviamo tempi difficili. La guerra dei dazi, le politiche speculative, l’egoismo unilaterale che straccia gli accordi commerciali per inseguire guadagni a breve, minacciano la crescita economica mondiale. E al tempo stesso, il tentativo di rilanciare la corsa agli armamenti e il ritorno di politiche neocolonialiste per lo sfruttamento di popoli e territori, fanno temere un passo indietro nella civiltà e nella democrazia. Uno dei principali motivi di preoccupazione è che, a fronte di una crescita economica mondiale sempre più grande, lo squilibrio tra ricchi e poveri non solo non diminuisce ma si allarga. Nel 2018 i 26 individui più ricchi del mondo possedevano una ricchezza pari a quella di 3,8 miliardi di persone, cioè più di metà della popolazione mondiale. E non fa eccezione il nostro Paese dove, a metà 2018, il 20% più ricco degli italiani possedeva il 72% dell’intera ricchezza nazionale. Il dato che preoccupa è che la ricchezza si concentra, sempre più, in pochissime mani. Lo squilibrio paradossale tra ricchi e poveri è visibile anche nella misura delle retribuzioni. Negli Stati Uniti dal 1978 i dirigenti di impresa hanno visto aumentare i loro compensi del 940%, mentre nello stesso periodo la retribuzione dei lavoratori è cresciuta solo del 12%. E in molti Paesi sviluppati i salari sono stagnanti e la copertura sanitaria e quella pensionistica stanno subendo una progressiva erosione. Questi dati danno la misura dell’ingiustizia in atto. Ma come sempre accade nella storia, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. In più parti del mondo, infatti, stanno emergendo gruppi economici e di pensiero che cercano di reagire a questi fattori di crisi proponendo significativi cambiamenti del modello economico dominante. È accaduto così che duecento tra i maggiori imprenditori e dirigenti societari degli Stati Uniti hanno stilato un documento nel quale suggeriscono di riequilibrare l’attuale modello di crescita, limitando la speculazione e favorendo l’attenzione per le persone e l’ambiente. In un manifesto pubblicato dalla “Business Roundtable” – un’organizzazione che riunisce esponenti dei CdA di imprese come Jp Morgan, Amazon, BlackRock, General Motors – si sostiene infatti che è necessario superare il dogma del «profitto ad ogni costo». E che occorre considerare l’impatto sull’ambiente, il rispetto dei consumatori e le condizioni offerte ai lavoratori. Insomma, si ricomincia a parlare di un “capitalismo inclusivo” che non punti solo al profitto, ma consideri anche il tema delle ricadute sociali. La “Business Roundtable” ha affermato, tra l’altro, la necessità di «investire sulla forza lavoro, sostenere le comunità locali e offrire ai lavoratori formazione e istruzione affinché possano sviluppare nuove competenze per un mondo in rapido cambiamento». Fattori, questi ultimi, che non sono antitetici al profitto ma che, anzi, sono gli unici in grado di garantire «valore a lungo termine per gli azionisti». La proposta di un mondo più equo, con progetti innovativi sull’economia che verrà, è oggetto di dibattito anche all’interno della Chiesa cattolica. Stanno crescendo, infatti, le adesioni all’incontro internazionale “The Economy of Francesco” che si terrà ad Assisi dal 26 al 28 marzo 2020. Incontro incentrato sulle proposte di Papa Francesco per una nuova economia di condivisione. Hanno già confermato la loro presenza i Premi Nobel Muhammad Yunus e Amartya Sen, nonché gli economisti e attivisti per i diritti umani Bruno Frey, Tony Meloto, Carlo Petrini, Kate Raworth, Jeffrey Sachs, Vandana Shiva, Stefano Zamagni. La finalità dell’incontro di Assisi è quella di «stringere con i giovani, al di là delle differenze di credo e di nazionalità, un patto per cambiare l’attuale economia e dare un’anima a quella di domani perché sia più giusta, sostenibile e con un nuovo protagonismo di chi oggi è escluso».
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