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L’ecologismo del consumo verde e dell’albero per sempre

L’ecologismo del consumo verde e dell’albero per sempre
Marzo 02
17:23 2019

(Serena Grizi) Anche se i numeri ci danno tra i primi in Europa per percorsi virtuosi riguardo il riciclo di materiali e re-immissione degli stessi nei circuiti produttivi (con rallentamento, però, negli ultimi anni, ma cosa non è rallentato ultimamente?), come popolo non abbiamo mai acquisito una vera coscienza ecologista. Riusciamo a capire l’ecologia solo se ci fornisce un prodotto immesso sul mercato al pari di tutti gli altri e quindi che consuma risorse ed energie, seppure in maniera diversa, come tutti gli altri prodotti. Non c’è stato partito o movimento capace di promuovere nella massa la formazione di una vera coscienza del consumare meno, per esempio, del non sprecare, del comprare le cose per necessità e non per sfizio, ma d’altronde questa ‘nuova mentalità’ configgerebbe troppo con l’odierno sistema liberista capitalista che ha bisogno solo di consumi. Tutto ciò al netto, per il vero, di associazioni e gruppi che fanno ambientalismo militante ideando campagne o azioni per niente scontate o banali, ma si tratta spesso di persone molto più preparate, e motivate, della media…

L’idea ecologista in Italia ha lasciato tracce irrisorie: puliamo i mondi da più di vent’anni continuando a pulirli perché non li abbiamo mai trovati meno sporchi anche dopo centinaia di campagne di sensibilizzazione (anzi!). Piangiamo accorati per un albero abbattuto: che sia ammalato o meno, o morente, non ce ne importa niente tanto è un pezzo di legno e infatti poi vogliamo la casa piena di cose fatte di legno – perché il legno è caldo – (e chissà se andiamo a verificare se quel legno di produzione viene da foreste certificate allo scopo) e abitiamo, molto spesso, in complessi residenziali dove prima c’era… un bosco. L’albero, nella fattispecie, è diventato il simbolo d’un testardo ‘non nel mio nome’ ecologico che va per la maggiore. Non con tutti i torti s’intende. Tartassati fin dagli anni ’50 del cosiddetto boom economico, dalla economia della ricostruzione infinita che ha mangiato intere fette di territorio risputando fuori comprensori d’asfalto e cemento privi di servizi e identità, o capannoni industriali chiusi subito dopo la fine della Cassa del Mezzogiorno (tristemente nota al centro sud), l’albero è diventato, ‘qualche cosa’, ‘un’ultima riserva indiana’, cui appigliarsi per esercitare le nostre povere volontà di cittadini che in questo stato hanno quasi sempre torto. A ragione, però, un albero è un essere vivente e non una cosa e, a ragione o a torto, per essere vivente è anche mortale e dopo aver completato il suo ciclo vitale va verso la morte per cancro, per attacchi fungini o d’insetti nei confronti dei quali non ha più la forza di difendersi etc. Proprio come le persone. Alcuni di questi alberi difesi senza motivo con incatenamenti e battaglie vane sono diventati, se li si va a guardare, poco più che tristi attaccapanni, capitozzati selvaggiamente negli anni, segnaposto nei parcheggi, appendini per striscioni, cavi e tutto quello che serve alla vita ‘civile’ dei cittadini. Oggi ce ne ricordiamo sovente perché a causa dei venti classificati ‘uragani’ che soffiano anche sul Bel Paese (tra i protagonisti dei famigerati ma sempre più ignorati cambiamenti climatici) questi alberi, senza più terreno sul quale radicare (quando vengono divelti dal vento presentano piatti radicali irrisori che sembrano duri come fili di ferro); senza più posto dove espandersi (un apparato radicale dovrebbe essere sviluppato quanto la chioma dell’albero ed oltre…), vengono sradicati senza pietà e s’abbattono su case, auto e drammaticamente, qualche volta, sulle persone di passaggio.

Mentre un albero nel bosco, nella foresta, ha una aspettativa di vita, a seconda della specie, anche di diverse centinaia di anni, l’albero urbano s’ammala e decade più velocemente perché le condizioni nelle quali vive sono meno favorevoli per lui anche se è capace di convivere con l’attività umana per molto tempo, regalando ossigeno, riparo dal sole e dalla calura, bellezza.

Oggi si comincia appena a parlare di sostituzione delle alberature, di taglio degli alberi pericolosi: oramai esistono strumenti di indagine sofisticati che leggono perfettamente le condizioni d’una pianta dalla corteccia al tronco alle radici, e professionisti esperti sanno valutare a cosa potrebbe andare incontro in futuro un certo individuo d’una certa specie: proprio come farebbe un bravo dottore con un paziente davanti, da quello che parla, al neonato che non lo fa, al cane e al gatto che non possono farlo. Anche qui senza accanimento perché, l’ecologista lo sa, anche l’eccesso di cure ricade tra i consumi senza senso… Visitare un albero, d’altronde, non è uno sfizio ma una necessità se questo convive con l’uomo, ben diverso il discorso se se ne sta fra i suoli simili nel bosco o nella foresta. Un albero è un essere vivente, dà tutto quello che può dare con grande generosità, ma proviamone pietà quando è malato. Se la sua irrimediabile vecchiezza ci fa piangere il cuore scattiamogli una foto e teniamola fra i nostri ricordi. La nostra coscienza ecologica rimasta bambina nei riguardi del nostro rapporto col pianeta e gli altri abitanti non umani, nei riguardi dei consumi, occorre che faccia un passo avanti diventando adulta. Per il resto esiste ancora la poesia…

«Ma nell’oscurità profumata intuisco ogni dolcezza

Con cui il mese propizio rende ricca

L’erba, il bosco e il selvaggio albero da frutta,

Il biancospino e l’arcadica eglantina,

Le viole, presto appassite, sepolte tra le foglie,

E la figlia più grande del maggio maturo:

La rosa in boccio, muschiata, piena di vino di rugiada,

Casa sussurrante d’insetti nelle sere estive».

Da: Ode a un Usignolo di J. Keats

Nella foto: alberi comunemente capitozzati (mutilati) come se ne vedono in tutta Italia – immagine web

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