Le recensioni di Natale Sciara: “Il dissidente italiano” di Rosario Giocondo
Questo romanzo di Rosario Giocondo dal titolo Il dissidente italiano, pubblicato di recente da Book Sprint Edizioni, è essenzialmente autobiografico. Un’opera che cerca di rappresentare aspetti di una Italia che dopo il Ventennio fascista e la Seconda guerra mondiale si è andata leccando le ferite portando con sé anche il peso di un passato storico ricco di vicende tormentate con vari tipi di potere in un Paese come il nostro che ha subito invasioni di popoli stranieri. Una nazione ben rappresentata nel suo sottosviluppo ed arretratezza contadina, con vicende varie, da scrittori quali Corrado Alvaro, Ignazio Silone, Francesco Jovine e Carlo Levi, ma prima ancora da Alessandro Manzoni, Ippolito Nievo, Massimo d’Azeglio, Giovanni Verga, Luigi Capuana e Federico de Roberto, tanto per non andare troppo indietro nei secoli. Una Italia in ritardo nei confronti di altre nazioni europee per l’Unità raggiunta e l’industrializzazione. Ma dalla riflessione del Nostro di carattere socio-storico viene fuori anche quella sulla condizione umana in rapporto alla democrazia e al suo sistema partitico, come pure sulla corruzione e corruttela e le aspirazioni etiche, senza trascurare la vita in generale legata alle vicende personali con i condizionamenti deterministici di ordine vario.
Il dissidente italiano è un libro che non trascura neppure la malattia, sofferenza e morte, come pure il mistero del vivere in rapporto all’inconoscibile con le sue luci ed ombre. È un grido, mi pare di poter dire, quello che il Nostro innalza verso il cielo con richiesta di giustizia ed adeguatezza umana in generale alla difficoltà del vivere.
La vicenda raccontata è quella di un uomo che, da una zona arretrata e periferica di una regione sottosviluppate come la Calabria, dopo aver vissuto con difficoltà in famiglia nel luogo d’origine, sogna il riscatto attraverso lo studio cercando di migliorare le proprie condizioni di vita prima a Messina, poi a Bologna, città che lo ospitano e quest’ultima gli dà la possibilità di trovare anche un impiego potendo così continuare gli studi universitari fino all’ottenimento della laurea. Ne viene fuori il ritratto di un uomo integro, una persona dalla vena moralistica che vorrebbe che tutti fossero come lui, ed in conseguenza di ciò vive con disagio la realtà di un’Italia che si è andata trasformando all’insegna del nepotismo e il malcostume, anche se con l’industrializzazione avanzata ha migliorato le condizioni di vita. Egli nel suo atto d’accusa non risparmia nessuno, dalla politica alla magistratura, dai dirigenti ai sindacati e perfino i religiosi, tutto un sistema di compromessi che porta ad un malcostume generalizzato. A mio parere, da ciò, emerge una riflessione amara sulla natura umana e in generale sul piano del secolarismo.
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