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Le ragioni del No al referendum costituzionale

Novembre 18
17:49 2016

Cosa cambia con la riforma? La democrazia partecipativa (governo del popolo) viene trasformata in oligarchia (governo di pochi), in quanto gli strumenti per decidere cambiano: si riducono quelli in mano al popolo e vengono aumentati quelli in mano al Governo del Paese, che diventa soverchiante rispetto al Parlamento e agli enti territoriali nelle decisioni riguardanti la vita delle persone. Con questa trasformazione vengono meno anche i principi e i valori sanciti nella prima parte della Costituzione. Già oggi il Parlamento è subalterno al Governo, ma con la riforma sarà svuotato il principio de “la sovranità appartiene al popolo che la esercita attraverso i suoi rappresentanti eletti”, visto che il Governo legifera su ricatto delle istituzioni europee con lo slogan “non c’è alternativa”.
Questa riforma costituzionale accentra il potere nelle mani di un premier perché: a) con il combinato disposto dell’Italicum il partito più votato otterrà il 54% dei membri della Camera (cioè 340 membri su 630) mentre l’opposizione diventerà minoranza nel Parlamento anche se è maggioranza nel Paese. Con tali numeri il partito vincente potrà scegliersi il Presidente della Repubblica con 220 voti su 366 (quorum), i membri di nomina parlamentare della Corte costituzionale (che dovrà decidere sulla costituzionalità delle leggi), del Consiglio Superiore della Magistratura (che dovrà pronunciarsi sulla correttezza dei magistrati), delle Autorità indipendenti, l’amministratore delegato e il Cda della Rai; b) toglie potere decisionale in molte materie ai territori e ai loro rappresentanti locali con la modifica del Titolo V (art. 117). Il Governo, se passa il sì alla riforma, per Costituzione potrà rilasciare le autorizzazioni su: porti, aeroporti, autostrade, infrastrutture per energia ed inceneritori, il tutto a scapito dei governatori regionali, che non potranno più opporsi, come per la Tav Torino-Lione, il Terzo Valico, le trivelle in mare e sulla terra e il Ponte sullo Stretto. Il Governo avrà competenza esclusiva su: tutela della salute, politiche sociali e sicurezza alimentare, ambiente, turismo, togliendo in tal modo autonomia alle regioni. Questa modifica del Titolo V è una ratifica dello Sblocca Italia per cui si può disporre del territorio senza vincoli, vendere i bene pubblici, privatizzare, mani libere per il cemento e bavaglio alle comunità locali; c) riduce gli strumenti di partecipazione popolare (art. 71 per presentare leggi di iniziativa popolare occorreranno ben 150mila firme e non più 50mila, e art.75 per chiedere i referendum abrogativi di leggi occorreranno 800mila firme e non più 500mila).
Le autorità europee (Bce e Fondo Monetario Internazionale), le grandi banche d’affari, le multinazionali, le agenzie di rating, la Confindustria hanno chiesto e ottenuto questa riforma perché vogliono governabilità, cioè vogliono Governi decidenti (e quindi forti) e Parlamenti deboli per trattare i loro affari soltanto con il capo del Governo. E’ il neoliberismo che chiede riforme per esistere. Per tali poteri forti non ci debbono essere Soprintendenze che facciano rispettare vincoli archeologici, idrogeologici, paesaggistici ecc.., non si debbono stare a sentire i Sindacati che chiedono il rispetto dei diritti dei lavoratori, e tanto meno i comitati ambientalisti che difendono la vita e la salute dei cittadini, e discutono di salvaguardia dell’ambiente: via tutto, via tutta questa burocrazia che fa perdere tempo. Via gli strumenti di difesa dei diritti del popolo che costituiscono un ostacolo alla capacità di agire velocemente del Governo.
Ai poteri forti disturbano idee, programmi alternativi a quelli di Governo, elezioni, dialettica fra maggioranza e opposizione, pesi e contrappesi, regole da rispettare, dove le decisioni sono il risultato di tutto questo, legittimato dal popolo sovrano. I poteri forti sono stanchi di trattare con una pluralità di persone e chiedono di comandare a una persona sola che esegua i loro diktat. Così si avrà più velocità nelle decisioni. Oggi il Pd, dopo aver tolto la partecipazione diretta dei cittadini alle Province che non sono più elettive, la toglie anche al Senato. La Camera, già depotenziata da anni senza più il metodo proporzionale per eleggere i suoi membri, viene trasformata da rappresentativa dei cittadini a governabile, dove governabile sta per “potenzialmente asservita” alle politiche decise dai piani alti. Ci saranno ancora le elezioni per dare una parvenza di democrazia e illudere i cittadini che non sono diventati sudditi da governare, ma il Parlamento sarà quasi tutto nominato da un paio di capi-partito (di destra o di sinistra poco cambia), entrambi con programmi quasi simili, come si è potuto vedere dalle leggi approvate insieme in questi ultimi anni.
La governabilità è massima nelle dittature. Avremo più governabilità con un premierato forte. Che cosa si intende per governabilità? Non far emergere proposte alternative a quelle di governo. Più governabilità meno democrazia. La governabilità non può essere un valore in sé: è un valore la rappresentatività. Da qui il rischio che si stiano gettando le basi per il ritorno di una futura dittatura. Non sarà facile tornare indietro se passerà il sì alla riforma costituzionale. Perché se domani fosse già in vigore la riforma, una modifica della Costituzione dovrà essere cambiata dalle due Camere ma con una diversa composizione politica e una Camera potrà bloccare l’altra. Se domani dovesse vincere le elezioni politiche la coalizione di destra, oppure il M5S, non potranno fare nulla con un Senato nominato dai consigli regionali in mano al Pd in percentuale altissima.
La riforma è la cornice di un disegno autoritario che Renzi sta perseguendo con il combinato disposto, non solo della legge elettorale Italicum, ma anche di altra legislazione ordinaria, come Sblocca Italia, Jobs Act, abolizione dell’art. 18, Buona Scuola e anche con il potere che il capo del Governo si è attribuito di nominare l’amministratore delegato del servizio pubblico radiotelevisivo. Ormai le istituzioni statali non garantiscono più il bene pubblico e si verifica un asservimento della politica agli affari delle multinazionali. Gli effetti della riduzione della partecipazione popolare e dell’autonomia territoriale si vedono già con la legge Madia, lo Sblocca Italia e il referendum sulle trivelle: 1) La legge Madia promuove il rafforzamento della presenza privata nei servizi pubblici. Con ciò ignora il risultato del referendum sull’acqua pubblica del 2011 che ha visto vincere quelli che si oppongono alla privatizzazione dell’acqua. La legge Madia favorisce la gestione del servizio idrico da parte delle società per azioni, dando incentivi solo agli enti locali che scelgono tale opzione privata. 2) Già il decreto Sblocca Italia aveva previsto una riduzione della tutela dei territori e del diritto alla partecipazione. Poi, detto decreto era stato dichiarato in parte incostituzionale dalla Consulta là dove violava il Titolo V – art. 117 della Costituzione, ed ora la riforma costituzionale ha finito per inglobarlo. E abbiamo visto che Renzi nel corso del mese di ottobre si è avvantaggiato sui tempi rilasciando diverse nuove concessioni ai petrolieri di trivellare il mare Adriatico, da Venezia alla Puglia, nonostante il parere contrario delle popolazioni e dei governatori regionali. 3) Il governo Renzi prima ha chiesto agli elettori l’astensione al referendum sulle trivelle, svilendo lo strumento di partecipazione referendario, e poi ha rilasciato svariate concessioni per trivellare il mar Adriatico. Ci sono 135 piattaforme in funzione, ma il vantaggio delle trivelle è minimo in rapporto al danno ambientale e paesaggistico, in quanto il quantitativo estratto non copre neanche l’1% dei consumi. Poiché Renzi ha accorpato le Soprintendenze e le ha sottomesse ai prefetti, toccherà a questi decidere quanto resta della tutela.
Dobbiamo chiederci perché oggi il partito democratico non sta con l’Anpi, la Cgil, l’Arci, Libera contro le mafie di don Ciotti, Libertà e Giustizia e una miriade di associazioni civiche in giro per l’Italia che non vogliono cambiare la Costituzione? Come mai il partito democratico ha assorbito il discorso antidemocratico delle élite ultraliberiste, oligarchiche e globalizzate? Perché il Pd si è messo dalla parte dei poteri forti?
Scrive l’economista americano Joseph Stiglitz che i consulenti delle banche d’affari avvicinano i politici che contano per promuovere le politiche indicate dalle banche e oliare gli ingranaggi della politica. Ha rivelato il Fatto Quotidiano che Renzi prima di diventare capo del Governo ha avuto un paio di incontri con il responsabile in Italia della banca americana IP Morgan.
Questa riforma attua in modo pedissequo e servile le indicazioni esplicite della più importante banca d’affari americana JP Morgan, che in un suo famoso documento del 2013 ha scritto che l’Italia (come pure altri Stati del Sud Europa) debba liberarsi di alcuni “problemi” dovuti al fatto che la sua Costituzione è troppo socialista. Per detta banca d’affari costituiscono un problema: la tutela costituzionale dei diritti dei lavoratori; il diritto di protestare da parte dei cittadini a fronte di decisioni del governo in materia di grandi opere inutili, dannose e costose; il diritto delle Regioni di difendere i territori dal punto di vista della salute, dell’agricoltura e del turismo. A chiedere questa riforma non è il popolo sovrano ma grandi affaristi che necessitano di Governi forti e Parlamenti deboli in condizione di non nuocere ai loro affari economici e finanziari.
Se da un lato la JP Morgan nel 2013 ha scritto un memorandum su ciò che debbono fare gli Stati, dall’altro lato la riforma costituzionale del Governo Renzi risponde alla richiesta di cambiare la Costituzione per legittimare una repubblica capitalista e neoliberista, guerrafondaia ed autoritaria. E dopo l’Italia la dovranno cambiare anche gli altri Stati del Sud Europa come la Spagna, la Grecia, il Portogallo.
Ricordiamo che la JP Morgan è una banca poco raccomandabile anche perché ha patteggiato una multa di 13 miliardi di dollari per i mutui subprime che innescarono la crisi mondiale. Ricordiamo pure che questa banca trova l’appoggio di Renzi nel prendersi il Monte dei Paschi di Siena, dove ha già piazzato come amministratore delegato Marco Morelli (proveniente proprio da JP Morgan) a sua volta multato da Bankitalia per le spericolatezze finanziarie quando lavorava al MPS, con Mussari presidente, che portarono la banca al disastro.
Come mai questi potenti nel mondo si sono appassionati alla riforma Boschi? Come mail l’ambasciatore americano in Italia si è espresso a favore del sì al referendum? E’ interessato che consiglieri regionali e sindaci vengano nominati senatori con immunità parlamentare anche per le attività svolte in Comune e in Regione? Oppure si sono entusiasmati per una ridicola riduzione dei costi della politica? Chiediamoci: non sarà che vogliono spingere l’Italia ad essere avamposto mediterraneo di avventure militari e vederci sempre più succubi del pensiero liberista?
Con questa riforma tutto diventa più veloce se si vuole fare la guerra o si vogliono aiutare le banche o i petrolieri. Si fa come vuole il premier. Se il premier vuole salvare le banche dai crediti in sofferenza, cioè crediti non più esigibili, lo fa con il bail-in, così pagano i risparmiatori. Non ci si chiede: dei 200 miliardi di sofferenze quanti soldi ci sono dentro concessi da banche indulgenti a debitori amici? La riforma Boschi taglia tutti i controlli e concede all’esecutivo un potere mai visto accentrando il comando tutto nelle mani di una persona.
Con questa riforma costituzionale per deliberare lo stato di guerra basterà la maggioranza assoluta della Camera dei deputati, sarà quindi più facile per un governo dichiarare una guerra insensata, magari con la scusa di combattere il terrorismo, e ripetere gli errori di Blair e Bush di cui paghiamo ancora le tragiche conseguenze.
Renzi ha mandato le forze speciali in Libia conducendo una guerra in gran segreto, contro il divieto sancito dall’art. 11 della Costituzione.
Agli USA fa comodo un parlamento italiano debole e un governo forte che obbedisca. Perché i giornali anglo-americani lanciano allarmi catastrofistici se dovesse vincere il no, quando negli Stati Uniti esiste un bicameralismo paritario? Cosa direbbero loro se il Senato americano venisse ridotto ad una specie di dopolavoro degli Stati federati? E passasse da Camera legislativa a Camera di suggerimenti persino su materie che riguardano gli interessi locali? E cosa direbbero se una forza politica avesse un premio di maggioranza che nel ballottaggio andasse ben oltre l’attuale 15% del Porcellum? E se la maggior parte dei parlamentari venisse nominata dai segretari dei partiti?
Perché gli USA hanno ordinato al presidente del Consiglio italiano di inviare in Libia i soldati camuffati da pacifici addestratori? Le azioni militari che l’Italia conduce in segreto non hanno avuto l’o.k. del Parlamento. I droni che partono da Sigonella sono dichiarazioni di guerra che contraddicono il divieto imposto dall’art. 11 della Costituzione. In tal modo si sta limitando la sovranità popolare e si aumenta il potere del governo che obbedisce a poteri internazionali. L’art. 87 della Costituzione dice che il presidente della Repubblica ha il comando delle Forze armate, presiede il Consiglio supremo di difesa e dichiara lo stato di guerra. Il provvedimento di legge art. 7 bis 2015 non ha superato l’art. 87 della Costituzione, perché dice che il primo ministro può ordinare operazioni d’intelligence (spionaggio e controspionaggio) atte a coinvolgere forze speciali della Difesa, Carabinieri e Marina militare autorizzate ad agire in casi estremi di grave pericolo per la sicurezza nazionale o per la protezione dei cittadini italiani all’estero. Mancano elementi concreti di attacco o di allarme ai nostri confini.
Più stabilità? L’instabilità resta uguale perché i deputati non avranno comunque il vincolo di mandato. Finora in 70 anni i governi sono stati rovesciati fuori dal Parlamento per manovre di Palazzo, come è avvenuto per il Governo Letta che è stato rovesciato da Renzi. Solo i due governi Prodi sono caduti per mancanza del voto di fiducia in Senato. Il nuovo Senato sarà ancora più instabile, avrà maggioranze del tutto imprevedibili visto che ogni Regione e ogni Comune votano in date diverse. I procedimenti legislativi si moltiplicano a seconda delle materie trattate. Se contempla più materie si complica la procedura legislativa. Perché allora 60 governi in 70 anni? Perché la società italiana è frammentata in diversi partiti politici. Ma se vince il no l’Italia non viene destabilizzata”. Questo scrive il giornale anglosassone. Dunque 60 governi in 70 anni non sono colpa della Costituzione, ma perché ci sono troppo partiti politici.
Più modernità? La riforma Boschi non rende più moderna la Costituzione, ma la rende a rischio di autoritarismo, perché il Governo potrà decidere tutto da solo per Costituzione. Ci sarebbe stato un ammodernamento della Costituzione se la riforma costituzionale avesse sancito il principio della sostenibilità ambientale e della lotta al cambiamento climatico e quindi il diritto di ciascuno a godere di un ambiente sano e adeguato per lo sviluppo della persona. L’Italia avrebbe dovuto fare come la Spagna, la Germania e la Francia, che in Costituzione hanno messo il principio che le politiche pubbliche debbono promuovere uno sviluppo sostenibile. Invece sta andando in senso contrario.
Il Senato non sarà più eletto dai cittadini e sarà composto da 21 sindaci (probabilmente del partito che ha vinto) e 74 consiglieri regionali tutti nominati dai consigli regionali. Ci saranno inoltre 5 senatori nominati dal Presidente della Repubblica. Ogni Consiglio regionale elegge uno o due consiglieri-senatori (art. 57), ma non c’è una tecnica di scelta, quindi saranno scelti dalle segreterie di partito tra quei sindaci e consiglieri regionali che si offriranno a fare i senatori, visto che non possono essere obbligati a spostarsi ogni settimana a Roma, senza avere una doppia indennità, per svolgere un doppio lavoro. Con quale legittimazione, poi, i senatori debbono andare in Senato a lavorare visto che sono pagati dai territori per svolgere altre funzioni? Poiché è previsto che il Senato lavori in maniera paritaria con la Camera su materie vaste e importanti, come si fa a credere che si possa fare il sindaco di una città o il consigliere regionale e contemporaneamente il senatore partecipando obbligatoriamente alle sedute delle Commissioni (come prescritto dall’art.64)?
I compiti del Senato sono descritti all’art. 55: concorre all’esercizio di funzioni di raccordo tra lo Stato, gli enti locali e l’Unione Europea; valuta le politiche pubbliche e l’attività della Pubbliche Amministrazioni; verifica l’impatto delle politiche dell’Unione Europea sui territori; partecipa alle decisioni dirette alla formazione e all’attuazione degli atti normativi e delle politiche dell’UE; partecipa alla revisione costituzionale e nomina da solo due giudici della Consulta. Il Senato può emendare il testo delle leggi già approvate alla Camera dei deputati, che però può riproporre il testo così com’è già stato approvato. Il Senato che ha origine locale avrà competenza illimitata in materia europea come pure in materia di revisione costituzionale. Negli artt. 55 e 70 si dà al Senato competenza legislativa concorrente con lo Stato. Nell’art. 87 si dispone che il Presidente della Repubblica ratifica i trattati relativi all’appartenenza dell’Italia all’Unione europea previa autorizzazione di entrambe le Camere.
Dal bicameralismo paritario in tutte le materie su cui si legifera si passa al bicameralismo in materia costituzionale e sui trattati internazionali. Per quanto concerne la materia regionale e locale si passa, invece, al monocameralismo della Camera dei deputati (il Senato viene escluso proprio dalle materie regionali). Per le altre materie è facile fare molta confusione perché il procedimento legislativo si diversifica. Sono ben 22 le categorie di norme che vengono trattate con procedure di approvazione diverse a seconda della materia che trattano. Solo l’abolizione del Senato avrebbe potuto abolire il bicameralismo perfetto, quello che resta è un bicameralismo complesso e articolato per materie.
In caso di disaccordo tra Camera e Senato, nelle materie in cui il Senato conserva potestà legislativa primaria insieme alla Camera, il procedimento legislativo rischia di impantanarsi, perché al Senato il Governo non può mettere la fiducia. I tempi dell’iter legislativo si possono allungare e complicare. La confusione e il dissenso tra le Camere aumenterà, rispetto alla situazione attuale, perché nell’art. 70 è previsto che ogni legge approvata dalla Camera deve passare al Senato, che può proporre modifiche. Poiché capita che una legge tocchi più materie ciò porterà a conflitti di attribuzione fra le due Camere sul procedimento legislativo da seguire, conflitti che dovranno essere risolti dai presidenti delle due Camere in accordo tra loro. Ma se non c’è l’accordo si deve immaginare che una Camera si rivolgerà alla Consulta. Infatti su richiesta di un terzo dei deputati ogni legge approvata può essere inviata alla Corte costituzionale per un suo parere, annullando una funzione fondamentale del Presidente della repubblica che deve promulgare la legge valutando la costituzionalità di essa.
Ai consiglieri e sindaci nominati senatori si riconosceranno le stesse prerogative dei deputati: immunità parlamentare e divieto quanto ad arresti, perquisizioni, intercettazioni. Un’inchiesta penale nei confronti dei senatori sull’operato in regione o nel Comune diventerà molto difficile. Il nuovo senatore nella sua segreteria in Senato potrà svolgere riunioni che riguardano gli interessi locali del Comune o della regione. Non ci sarà una doppia indennità, ma solo il rimborso spese di viaggio e soggiorno da effettuarsi ogni settimana. Ci sarà pure il rimborso per le spese di una sua segreteria in Senato. Possiamo prevedere che tra i sindaci e i consiglieri regionali ci sarà chi vorrà restare a fare il sindaco nel proprio Comune o il consigliere nella propria regione, mentre chi vorrà evitare controlli e intercettazioni si candiderà per essere scelto dal proprio Consiglio regionale e dal proprio partito come senatore.
La legge elettorale Italicum completa lo scopo della riforma che è quello di accentrare i poteri del Governo. Con l’Italicum: 1) La Camera dei deputati sarà composta da parlamentari nominati dalle segreterie di partito, con il sistema dei capi-lista bloccati e le candidature plurime, per un numero che arriva a 390, cioè al 62% dei deputati complessivi pari a 630; 2) La differenza di 240 parlamentari viene scelta dagli elettori; 3) Il premio di maggioranza previsto assegna ben 340 seggi al partito che vince le elezioni, che pertanto avrà il 54% dei seggi. Questa Camera così composta darà il voto di fiducia al Governo.
Con l’Italicum il rischio è che i partiti si trasformino in macchine elettorali. I politici si preoccuperanno più dei premi di maggioranza per conseguire una presunta governabilità che di rappresentare l’elettorato, che è il loro dovere principale. Essendoci un combinato disposto tra l’Italicum e la riforma Boschi se i cittadini andranno a votare per dire no alla riforma costituzionale diranno no anche all’Italicum, perché la riforma funziona solo con l’Italicum che prevede che la scheda elettorale per eleggere i senatori non ci sia più. Con l’accentramento dei poteri la rappresentanza degli elettori è sacrificata. La rappresentatività del Parlamento è un valore superiore a quello della governabilità che comunque non è mai stata a rischio.
Questo quadro trasforma in chiave autoritaria la democrazia. Sulla legge elettorale Italicum il Governo Renzi ha messo la fiducia, come accadde nel ’23 con la legge Acerbo e nel ’53 con la legge truffa (ma almeno con la legge truffa il premio di maggioranza scattava per la coalizione che raggiungeva il 50% dei voti validi).
Il governo può utilizzare il voto a data certa o la corsia preferenziale. Con questo nuovo strumento, rimesso alla discrezionalità dell’esecutivo, non ci sarà più bisogno di ricorrere massicciamente ai decreti legge da parte del governo. Tuttavia questo strumento, senza idonei contrappesi a favore del Parlamento e delle opposizioni, rende il ruolo del Governo rispetto al Parlamento più accentuato, e questo cambia la forma di governo.
C’è un risparmio con la riforma? Con la riforma i costi del Senato si abbassano di pochissimo. I senatori non saranno più 315 ma 100. La Ragioneria dello Stato valuta il risparmio in 50 milioni di euro. Il Senato dunque costerà 490 milioni di euro, anziché i 540 di oggi. Il Senato costerà ancora per la gestione dell’immobile, per i servizi e per il personale dipendente. E ancora costerà per le spese di trasferta a Roma, di soggiorno dei senatori, oltre che per l’esercizio della funzione: segreteria, assistente parlamentare, ecc.
I cittadini hanno sempre chiesto che venissero ridotti i costi della politica ma si è sempre proceduto ad aumentare le indennità parlamentari le più alte d’Europa. Tra Camera e Senato resteranno 730 parlamentari. Potevano essere ridotti ulteriormente nel numero e nelle indennità.
Anche la riforma delle Province si disse che era fatta per risparmiare. Si disse che sarebbero state abolite, invece esistono ancora, spendono ugualmente denaro pubblico, solo che oggi sono in mano a persone nominate dalla politica, mentre prima erano elette dal popolo. Per fare un esempio, l’ente Provincia di Roma costa sempre 900 milioni di euro l’anno.
Il Governo ha cambiato ben 47 articoli della Carta solo per risparmiare 50 milioni l’anno. Ma poco più di 40 milioni è quanto gettiamo ogni giorno in spesa militare. Si sarebbe risparmiato molto di più facendo una legge contro la corruzione, l’evasione fiscale, e con una legge sulla prescrizione che ogni giorno manda all’aria centinaia di processi contro i colletti bianchi. La vera posta in gioco non è il risparmio ma l’accentramento del potere.
Secondo Fraccaro del Pd con l’art. 40 della riforma è previsto il ruolo unico dei dipendenti di Camera e Senato. Nel testo relativo al ruolo unico dei dipendenti è previsto un aumento dei costi.
Che cosa è la Carta costituzionale e chi la deve cambiare? La Carta Costituzionale è un patto solenne che vincola tutti i cittadini di un popolo sovrano. Quella oggi in vigore è stata scritta da un’Assemblea costituente votata nel 1946, con il metodo proporzionale, con lo scopo specifico di scrivere la Costituzione. Detta Carta, che si vuole riformare, non fu scritta dal Governo De Gasperi allora in carica, così come sta facendo il Governo Renzi. Allora la DC si astenne dall’esprimere giudizi sulla Costituzione. Ricordiamo, infatti, che il padre costituente Calamandrei disse che quando in aula si discute della Costituzione i banchi del governo debbono essere vuoti, perché si debbono decidere le regole della convivenza civile tra persone che la pensano in modo diverso. Cambiare una Costituzione non è una questione che riguarda unicamente persone che fanno riferimento ad uno o due partiti al governo, ma riguarda tutto un popolo.
E’ giusto che un Governo scriva la Costituzione senza aver avuto il mandato del popolo sovrano a questo? Oggi il Governo Renzi e un Parlamento scaturito da una legge elettorale incostituzionale, in quanto dà un enorme premio di maggioranza a chi vince le elezioni, sono arrivati a cambiare 47 articoli della seconda parte della Costituzione.
Occorre tener presente che oggi: 1) a scrivere la revisione della Costituzione non sono stati i rappresentanti di tutto il popolo, ma è stato un Governo che fa riferimento al Pd e a due partitini come Ala di Denis Verdini e Nuovo Centro Destra di Alfano, anche se nella campagna elettorale del Pd non si era parlato assolutamente di modificare la Carta costituzionale; 2) questo Parlamento, approvando la riforma scritta dal Governo Renzi, ha ignorato che, se non ci fosse stato l’incostituzionale premio di maggioranza, che ha dato 148 parlamentari in più alla coalizione vincente, sarebbero mancati i numeri per approvare la riforma del Governo. Questo Parlamento non ha tenuto conto che la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale la legge elettorale Porcellum in quanto ha “rotto il rapporto di rappresentanza”, aggiungendo che, per l’esigenza di continuità istituzionale, le Camere così elette non sarebbero decadute immediatamente. Ma il fatto che questo Parlamento sia rimasto in carica, attribuendosi il potere costituente di approvare una revisione della Costituzione, ha finito per compromettere la serietà della Corte Costituzionale, le cui sentenze si faranno passare come fatte per pura teoria, senza obbligo di rispettarle. Invece, si sarebbe dovuto procedere tempestivamente ad approvare una nuova legge elettorale conforme alla Costituzione e procedere a nuove elezioni per ristabilire il rapporto di rappresentanza”.
La Camera non l’hanno toccata perché non ha mai dato problemi di maggioranza (è nominata per i 2/3 dai capipartito) con i capilista bloccati, mentre il Senato ha sempre avuto maggioranze più risicate e in questo modo hanno tolto il problema.
Per funzionare occorrerà che il Senato faccia un buon lavoro di mediazione tra lo Stato e le Regioni. Dice Ceccanti che si è voluto ridurre il conflitto Stato-Regioni che ha occupato quasi il 50% del lavoro della Corte Costituzionale. Ma il conflitto, ammesso che si riduca, avverrà attraverso un accentramento dei poteri in mano al premier.
Nei rapporti tra Stato e Regioni la legislazione concorrente viene spacchettata e distribuita tra centro e periferia. Questa di fatto era già ridimensionata perché sinora era sufficiente che il Governo dichiarasse un’opera strategica che già gli enti locali non potevano più avere voce in capitolo. Com’è successo in Sicilia con il caso delle trivelle di Tempa Rossa.
Velocità e tempi certi nell’approvazione delle leggi e per esaminare le leggi di iniziativa popolare? Nell’ultima legislatura le leggi sono state approvate in media 4 mesi ( 116 giorni), per le leggi di conversione, invece, ci sono voluti 38 giorni, e 26 giorni per convertire i decreti in materia finanziaria. Per approvare la legge Fornero ci sono voluti 19 giorni, per la legge Alfano 20 giorni. Il Financial Time scrive che”Non c’è un problema di lentezza nell’approvazione delle leggi, il parlamento italiano approva più leggi ogni anno che quelli di Francia, Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti. Nella legislatura 2008-2013 sono state approvate in tutto 391 leggi, di cui ben 298 di iniziativa governativa. Mentre nella legislatura successiva marzo 2013- agosto 2016 sono state approvate 241 leggi di cui 196 di iniziativa governativa. Del solo governo Renzi le leggi di iniziativa governativa sono state 109, per ben 56 volte approvate con il voto di fiducia, dovuto più alla volontà di mettere a tacere le difficoltà politiche all’interno del Parlamento che alla fretta. Si trattava, tra l’altro, di leggi di forte impatto, dal Jobs Act alla riforma Madia, dalla riforma Rai alla Buona Scuola, leggi fatte in base alla lettera programmatica della Bce dell’estate 2011 inviata a Berlusconi (precarizzazione del lavoro, flessibilità anche nella P. A., tagli alla spesa pubblica, privatizzazioni), leggi che non hanno di certo prodotto miglioramenti nel sistema economico del Paese.
Il premier ha scelto bene il titolo della legge che ha utilizzato per il quesito referendario: “Approvate il testo della legge costituzionale concernente “disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta ufficiale n.88 del 15 aprile 2016?”. Dice l’ex presidente della Corte costituzionale Giovanni Maria Flick (guardasigilli del primo governo Prodi) che la riforma è da bocciare soprattutto perché: in un unico quesito confluiscono problemi, interrogativi, e soluzioni tra loro assai diversi da accettare o rifiutare in blocco; il risparmio di spesa, poi, è estraneo al contesto e alla logica costituzionale; le lacune della riforma sono macroscopiche e sarà impossibile emendarli ex post.
Dossetti, padre costituente, disse tra il ‘94 e il ’95,: “La mia preoccupazione è che si addivenga ad un referendum abilmente manipolato, con più proposte congiunte, alcune accettabili, altre del tutto inaccettabili, e che la gente totalmente impreparata e per giunta ingannata dai media non possa distinguere e finisca per dare un voto favorevole complessivo sull’onda del consenso indiscriminato a un grande seduttore, il che trasformerebbe un mezzo di democrazia in un mezzo emotivo e irresponsabile di plebiscito”. Insomma le garanzie e i bilanciamenti dovevano servire ad arginare le dittature delle maggioranze.
Il quesito referendario è uno spot propagandistico del Pd? C’è un clima di intimidazione verso chi si pronuncia per il no? Sul sito del PD nella sezione Bastaunsì si legge che la riforma costituzionale è molto simile a quella proposta dal Pdl nella campagna elettorale del 2013. Lo scopo è quello di mettere in evidenza la contraddizione di Forza Italia che oggi si dichiara contraria a questa riforma. Quel programma di Berlusconi era in effetti meno peggio di quello voluto dal governo Renzi perché prevedeva: 1) revisione dei regolamenti parlamentari e snellimento delle procedure legislative, con tempi certi per l’approvazione delle leggi. Ma i suoi regolamenti il Parlamento non è riuscito a riformarli; 2) riforma del bicameralismo, Senato federale, dimezzamento del numero dei parlamentari e delle altre rappresentanze elettive; 3) Abolizione delle Province tramite modifiche costituzionali. Oggi con le legge Delrio del 2014 le Province non sono più elette dal popolo ma nominate dai Consigli comunali. Dovranno essere le Regioni a decidere se fare a meno dei cosiddetti enti vasti.

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