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Le parole della politica – 9

Dicembre 17
00:00 2011

Il termine “globale” si è inserito nel dibattito ideologico- politico da non più di trent’anni attraverso la porta del business management e le scuole di gestione d’impresa, in un panorama che ha visto il mercato essere sempre più deregolamentato. La globalizzazione è la tendenza dell’economia ad assumere una dimensione mondiale, superando i confini nazionali. Se il primo ambito a essere toccato dopo il business è stato l’economia, il secondo è stato quello della politica. Nel tempo il concetto si è andato estendendo anche al di fuori del contesto politico. Il concetto di “democrazia cosmopolitica” contempla la stessa estensione dei diritti umani che è inclusa nel principio della globalizzazione e sebbene sia una bella idea nel contesto delle relazioni internazionali, ad avviso di Alessandro Campi, docente di Storia delle dottrine politiche, non si capisce a quali logiche risponda. Il volume Né stato né nazione. Italiani senza meta (2010) dello storico italiano Emilio Gentile illustra lo stato confusionario in cui si trova il nostro paese.

Le previsioni sul mondo di domani sarebbero quelle di un villaggio globale. Gli stati nazionali chiusi conterebbero sempre meno e la democrazia verrebbe sostituita da altri sistemi di governo. I termini utilizzati sarebbero quelli di “mondializzazione”, “universalismo” e “glocalismo”. Il termine “glocalismo” nasce dall’unione tra globalismo e localismo, o meglio dalla presa di coscienza che i due termini coincidono e pertanto possono essere fusi in un unico termine. Il termine “globalismo” va inteso sia come principio fondato sulla globalizzazione che come vero e proprio pensiero economico di ispirazione liberista, connesso al processo di unificazione dei mercati. Ancor più che “nazionale e globale”, il binomio “locale e globale” è divenuto un titolo alla moda, dal momento che il globalismo comprende il localismo: il contatto virtuale nel momento in cui si è in rete fa sì che oggi si possa essere cittadini del mondo anche vivendo in una piccola città. Se questa è la globalizzazione vista dal basso, ovvero in senso positivo, la globalizzazione vista dall’alto è negativa: uno stato troppo grande non può interloquire con uno piccolo. Campi considera le comunità intermedie migliori rispetto a quelle settoriali “di villaggio”. Per i teorici della globalizzazione i confini tra paesi e territori sono fluidi, reversibili, convenzionali e contingenti: la globalizzazione non negherebbe dunque l’esistenza di stili nazionali o locali e dunque la dimensione localistica. Tuttavia, se da un lato il concetto di “identità nazionale” rischia di venire associato a qualcosa di aggressivo e patologico, dall’altro l’enfatizzazione della dimensione globale agisce da scusante per la dimensione nazionale nel senso di una deresponsabilizzazione: quando c’è una classe di governo che non funziona si attribuisce la colpa alla congiuntura internazionale. Nel suo libro Nazione, Campi ricorda inoltre il movimento anti-globalizzazione, un insieme internazionale di associazioni e singoli individui accomunati dalla critica all’attuale sistema economico neoliberista. Più conosciuto come No Global, esso contesta la globalizzazione sebbene in realtà, ne auspichi, a suo avviso, una di segno diverso con fini e obiettivi ultimi diversi.

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