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Le “Parole della politica” – 5/8

Aprile 27
07:30 2011

Il terzo incontro su Le parole della politica è stato presieduto dal prof. Stefano Rodotà e dal prof. Vito Mancuso, relatori delle discussioni rispettivamente intitolate Vita e tecnica e Laicità. L’affermazione che il potere controlla il nostro corpo attraverso l’uso o l’abuso della tecnologia spiega il significato del binomio in riferimento alla prima delle due discussioni. Essendo la tecnica un «complesso di norme che regolano l’esercizio pratico e strumentale di una scienza», essa – ha sostenuto il relatore – ha consentito di andare oltre la biologia, ha fatto sì che la biologia non fosse più un destino e che l’uomo tornasse a essere faber suae quisque fortunae: ha cioè reso possibile l’autodeterminazione in riferimento alla fine della vita. Ciò che ne consegue è la capacità di esercitare liberamente il potere di governo della propria vita attraverso la «tecnologia della sopravvivenza». Tuttavia, se da un lato l’alleanza tra la vita e la tecnica si pone nel segno di una libera autodeterminazione, e dunque della possibilità di scegliere per la propria vita, dall’altro la determinazione, da parte della tecnica, tende ad espropriare l’uomo della sua libertà di scelta. Nel tempo gli attori del giudizio si sono invertiti. Il potere politico ha cercato di impadronirsi dei corpi e della vita delle persone negando ad esse il diritto di controllarne lo svolgimento tanto che sembra inutile opporvisi: «Ciò che viene imposto dall’alto, da un lato non lo si può (o non lo si vorrebbe) accettare, dall’altro non vi si può rinunciare». Il rischio è che la persona diventi «oggetto di disumanizzazione e assimilazione; non più soggetto, ma oggetto in movimento, espropriato della vitalità e della libertà». Un’interessante considerazione da parte del relatore è stata inerente all’immagine che l’uomo ha nella vita reale e che può essere ben diversa da quella fornita su internet: la tecnica ha portato alla creazione di un doppio virtuale e diverso, dal quale dipende il grado di visibilità. Le problematiche intorno all’uso e all’abuso di potere sul nostro corpo sono tante e Rodotà ne ha menzionate alcune, tra le quali la proposta di installare il body scanner in tutte le stazioni ferroviarie, a suo avviso ridicola sia perché prospetta situazioni grottesche sia perché, secondo l’ipotesi di introdurla solamente per i treni Frecciarossa, realizzerebbe una discriminazione fra vite umane. Si cerca di arginare l’abuso di potere esercitato attraverso l’invasione della tecnologia facendo leva sulle rivendicazioni della privacy; tenere fermo un riferimento eviterebbe la facile deresponsabilizzazione, ma la domanda verte su chi può mediare e legittimare. Rodotà ha inoltre giudicato negativamente la Legge del Testamento Biologico, il cui disegno di legge, presentato dalla Fondazione Umberto Veronesi in tema di dichiarazioni anticipate di trattamento, è ora quiescente alla Camera dei Deputati. Nel complesso il discorso della tecnica non può prescindere da quello della bioetica, che inerisce a problemi morali ed etici sollevati in campo medico e biologico e che, a sua volta, porta che con sé il discorso del biodiritto e della biopolitica come «l’insieme delle norme e delle pratiche adottate da uno stato per regolare la vita biologica»: se prima eravamo di fronte solo alla necessità e al destino ora è possibile interrompere una gravidanza grazie alla legittimazione giuridica dell’aborto, come è possibile evitarla grazie alla contraccezione o realizzarla attraverso le tecniche di procreazione assistita. La domanda su chi avrà diritto di accedere alle nuove tecniche porrà di nuovo un problema di uguaglianza: il moderno divario digitale distingue gli alfabetizzati digitalmente (e il loro grado di digitalizzazione) e i relativi analfabeti. Il Paleolitico fu l’epoca in cui si sviluppò la tecnologia umana con l’introduzione dei primi strumenti in pietra: la vita si schierò con la tecnica anche per addomesticare la natura e sottrarla al destino. Sin dalla sua nascita, tuttavia, l’alleanza non fu lineare dal momento che i due termini sono stati spesso percepiti in radicale opposizione. Il divario umano verte da sempre sulla costruzione di una società in qualche modo castale. Tuttavia, lungi dal voler prendere una posizione all’interno del dibattuto binomio, Rodotà ha designato i valori della libertà, dell’uguaglianza e della libertà come misura della tecnica, indicando nel loro rispetto il criterio per valutare e delimitare la tecnica, essendo questa intesa come idea positiva, possibilità di ricostruire se stessi attraverso le tecnologie, di utilizzare delle tecniche che liberino l’uomo dai condizionamenti della natura e aggiungano miglioramenti come il potenziamento della memoria e delle funzionalità cerebrali. Considerando che tali valori ci accompagnano dall’avvento della modernità e dunque dall’inizio del periodo rivoluzionario francese, Rodotà crede possibile avvalorare l’ipotesi di un’autodeterminazione di ciascuno di noi: «Dal momento che tali valori valgono per la vita, proprio essi devono essere il nostro scudo per far sì che non diventiamo succubi della tecnica». (Continua)

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