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Le opere valide spesso ignorate dalla grande editoria

Gennaio 09
21:29 2013

Erano alcuni anni che il prof. Giorgio Bàrberi Squarotti, uno dei vertici della critica letteraria italiana del Novecento, non veniva ai Castelli Romani. L’occasione è sorta dalla pubblicazione del suo saggio su Pascoli nel centenario della morte del poeta: Pascoli, il libro e la bicicletta (Edilet, Roma).
Il testo è stato presentato – in un tour de force – al Liceo “Joyce” di Ariccia, all’Università Tor Vergata di Roma, al Liceo scientifico “Newton” di Roma. Il primo giorno della sua venuta, Barberi Squarotti è stato salutato dal Premio nazionale “Terzo Millennio” al teatro dei Dioscuri nella Capitale per la sua recente opera, dal poeta Giulio Panzani. I suoi presentatori agli incontri con gli studenti nelle tre sedi citate, sono stati gli scrittori Marco Onofrio, Aldo Onorati, la poetessa Ivana Uras e lo storico della Letteratura Fabio Pierangeli.
Nonostante gli impegni, il prof. Bàrberi Squarotti mi ha rilasciato la seguente intervista per “Controluce”.

D.- Professore, coi mezzi telematici, il libro di carta sembra lasciare il posto a quello sul computer. Finiranno le biblioteche, per entrare tutte in un dischetto che contiene migliaia di testi?

R.- Credo che si tratti di un falso problema, legato con l’ideologia della modernità e con l’altrettanto ideologica mania della tecnologia sempre più raffinata e sempre più volta non a soddisfare i valori fondamentali della vita, ma i piaceri effimeri e per lo più inutili che portano enormi guadagni ai produttori e impoveriscono disastrosamente la gente comune. Come si può leggere un libro in treno o su un autobus o su una spiaggia o in mezzo a un bosco o a un giardino, o anche camminando sì in luoghi solitari, ma perfino in città, se non tenendo in mano un libro fatto di carta e di lettere stampate? In video e nelle biblioteche telematiche si possono ricavare spunti e particolari specifici, sempre alquanto brevi, ma più in là non ha senso andare. E poi la lettura comporta la rilettura, il ritorno indietro di un episodio o di un concetto o di una vicenda. I mezzi di comunicazione di massa sono sempre molto ingombranti, a differenza del libro. Bisogna diffidare almeno un poco di chi offre magnifiche sorti a danno e cancellazione di tutto il passato: si vuole soltanto farci spendere denaro per sempre più offensivi guadagni

D.- Professore, dicono certe statistiche: in Italia sono calati di 700.000 unità i lettori. I libri che reggono alle vendite sono quelli dei mezzi busti televisivi e degli attori…

R.- Molte librerie stanno chiudendo, ma molte altre, almeno a Torino, se ne aprono, specializzate in generi di libri, e non più “generici”. Al Salone del libro di Torino i visitatori e gli acquirenti sono aumentati notevolmente. Non sarà che i librai non sono capaci di “vendere” i libri che veramente interessano e propongono soltanto, mettendo sul banco quelli di moda, e non quelli che altri vorrebbero? Quanto dici dei 700.000 lettori in meno non sarà un’altra astuzia dei tecnocrati? Le statistiche rimangono sempre la non-scienza degli imbonitori. Quanto agli scrittori improvvisati (cantanti, attori e attrici, politici, presentatori televisivi) hanno lo stesso pubblico, quando pubblichino un libro scritto da loro o da qualche “negro”, delle mode. Le loro opere durano sì e no una stagione; e il danno è che quello che dentro quei libri si trova, è preso per “verità”, come infinite “notizie” di internet. Gli scandali, poi, piacciono. Tanti altri autori pubblicano romanzi e poesie che vivono meno di una stagione. È un ulteriore aspetto della produzione di massa. Il guaio è che, invece, opere validissime non vengano prese in considerazione dall’editoria più attiva e nota. Non si può fare altro che scegliere, giudicare, buttare via quanto non vale nulla anche se ne sono state vendute centomila copie (come l’Ariosto e il Marino raccontano, vedendo passare via verso il nulla nel fiume del tempo la fama usurpata).

D.- Che ricordo ha dei Castelli Romani?

R.- È il ricordo di una grande felicità.

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