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Le navi di Nemi, leggenda, recupero e distruzione

Le navi di Nemi, leggenda, recupero e distruzione
Giugno 09
21:37 2021

Una nuova pubblicazione delle Edizioni Controluce.
Le navi di Nemi, leggenda, recupero e distruzione
di Massimo e Marina Medici
a cura di Armando Guidoni
Collana Storia, pagine 128, formato 15 x 21 cm


Nel 1999-2000 i nostri collaboratori e soci Marina e Massimo Medici proposero di pubblicare nelle pagine dello storico periodico cartaceo “Controluce” una serie di articoli mirati a descrivere la leggenda della Diana nemorense legata alla storia complessa delle vestigia antiche che il Lago di Nemi celava sotto le proprie acque. Questa storia si è rivelata complessa poiché, nei secoli, nessuno riusciva a narrare una descrizione verosimile perché i manufatti erano nascosti e, contemporaneamente, cancellati dalla memoria storica perché sottoposti alla damnatio memoriae relativa a tutto ciò che si riferiva all’imperatore Caligola.
Questo bellissimo progetto fu accolto e la collaborazione durò per ben dodici puntate che sono state proposte in poco più di un anno nelle pagine della nostra rivista culturale..
Ora, a distanza di oltre venti anni, visto che la ricerca storica di Marina e Massimo non ha perduto lo smalto con il passare del tempo, abbiamo deciso di riproporre questo lavoro in una veste editoriale classica: un libro della nostra collana “Storia”.
A tal fine è stata fatta una ulteriore ricerca corredando il testo originario di nuovi testi e di numerose immagini storiche rendendo, crediamo, la lettura più ricca di particolari e più scorrevole.
Armando Guidoni


Che strano destino quello delle due navi romane: per poco tempo hanno galleggiato sul lago di Nemi. Per due millenni hanno dormito in fondo al lago e, se vi fossero rimaste ancora per qualche anno, non sarebbero state divorate dalle fiamme.
Nessun autore dell’antica Roma ne ha mai parlato. Se ne conosceva (anzi se ne supponeva) l’esistenza solo perché i pescatori, già dal Medioevo, di tanto in tanto, oltre ai pesci, portavano alla superficie numerosi reperti archeologici che provavano come qualcosa d’antico e di bello giacesse in fondo al lago. Ma di che cosa si trattasse esattamente, nessuno lo sapeva; così la fantasia poteva correre a briglia sciolta e si cominciò a pensare, a sperare in tesori nascosti, mentre ogni volta che le reti strappavano dal fondo qualche cosa era la prova che… qualcosa vi fosse.
Passarono i secoli e di tanto in tanto qualcuno provava a carpire, alle acque, il loro segreto; ma i tentativi erano volti solo ad assicurarsi cimeli e a strappare quelle opere d’arte che potevano impigliarsi nelle reti, senza quindi quello spirito di ricerca scientifica che deve caratterizzare una campagna di recupero archeologico. Peraltro va detto che nei secoli passati non esisteva quello spirito, ma solo l’iniziativa dei singoli che, nella più completa libertà d’azione e senza nessun controllo da parte dello Stato di quel tempo, poteva prelevare (ma sarebbe meglio dire saccheggiare) tutto ciò che apparteneva al passato.
Questo, che a noi moderni sembra assurdo, è accaduto non solo in tutto il Medioevo, ma in tempi quasi contemporanei. Basti pensare che i Papi, molte volte, smantellavano meravigliose opere dell’antica Roma per farne mattoni. Lo stesso Colosseo, il più grande monumento di Roma, non sfuggì a questa sorte. Gli furono tolti i marmi che ne ricoprivano le pareti, e oggi possiamo ammirare solo i fori che li sorreggevano. Se ne cominciò la demolizione per costruire, con le sue pietre, altri monumenti e chiese che potessero sostituirsi a quelle erette in onore degli dèi “falsi e bugiardi”.
E pensare che Roma, nella sua grandezza, accoglieva e onorava tutti gli dèi che erano venerati presso tutti i popoli con i quali veniva in contatto. Basti menzionare il Pantheon nel quale ogni divinità aveva il suo altare. Ma Roma era grande; abbracciava col suo spirito tutto il mondo allora conosciuto e il suo orizzonte era degno del suo spirito.
Questo breve tuffo nei secoli passati che non si curavano dell’antica grandezza di Roma, è stato necessario per sottolineare come, per tanto tempo, delle Navi di Nemi non ci si fosse occupati per nulla. Ad onor del vero, va anche detto che non c’erano, allora, i mezzi tecnici per raggiungere quelle imbarcazioni che riposavano sul fondo del lago. Qualche raro tentativo si fece, anche se non si aveva la certezza di cosa vi fosse esattamente nelle profondità delle acque, mentre i racconti delle genti che vivevano intorno a quello specchio d’acqua continuavano a mantener vivo l’interesse sui segreti custoditi dal lago.
E venne il tempo in cui alcuni spiriti colti e amanti dell’arte ascoltarono con interesse quei racconti, esaminarono con attenzione gli oggetti che tornavano alla luce del sole dopo tanti secoli d’oblio e si adoperarono a restituire a tale luce quelli che ne erano privi.
Nel libro parleremo del motivo per il quale quelle navi furono costruite, dell’uso che se ne fece e di chi le volle. Parleremo del perché, dopo pochi anni, andarono perdute e di cosa vi fosse su di loro e perché fossero collegate al santuario di Diana Nemorense. Dei tentativi di recupero che furono fatti nei secoli da eminenti personaggi fino a quello definitivo, raggiunto con mezzi d’avanguardia, seguito purtroppo, a brevissimo tempo, dalla loro distruzione. Esaminando quei ritrovati tecnici connessi all’arte nautica che, conosciuti dai romani, dimenticati per tutto il Medioevo, riscoperti ai nostri tempi e usati con orgoglio dalle marine moderne, ci si avvede come già facessero parte del bagaglio culturale e tecnico di Roma. Parleremo delle moderne àncore di duemila anni fa; delle piattaforme rotanti su cuscinetti a sfere conosciute e usate, poi dimenticate e… riscoperte; della tecnica nella costruzione dello scafo, del suo calafataggio ottenuto usando speciali materiali tipici delle navi marine e adoperati per le navi lacustri che hanno esigenze diverse. Diremo dei diversi tipi di chiodi e della particolare tecnica del loro uso marinaro. Per ultimo, del Museo delle Navi, di ciò che contiene, di quello che è stato portato altrove in vari musei e anche in case patrizie; e ancora di quello che ci si sta proponendo di fare per trasmettere alle future generazioni la nozione e il ricordo degli sforzi che sono stati fatti nel recupero che fu definito l’avventura archeologica più entusiasmante di tutti i tempi.
Marina e Massimo Medici

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