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Le nano-biotecnologie 5/9: Profili critici delle nano-biotecnologie – Usi terroristici e militari

Le nano-biotecnologie 5/9: Profili critici delle nano-biotecnologie – Usi terroristici e militari
Luglio 21
11:20 2012

s-damico-5Un nano-chip capace di operare dentro un corpo umano può essere programmato più facilmente per distruggere che per guarire. È legittimo pensare che la capacità di interferire con il metabolismo cellulare aprirebbe alla guerra batteriologica e/o al terrorismo, enormi possibilità distruttive: le misure ridottissime ne renderebbero estremamente semplice il trasporto e il rilascio nell’ambiente. In questo caso i rischi sarebbero aggravati dal fatto che le nano-particelle siano in grado di riprodursi e possano superare facilmente sia la barriera epidermica sia quella emato-cerebrale. Se si pensa che queste nano-macchine possano autoreplicarsi si ha uno strumento ancora più pericoloso della bomba atomica, ma più preciso, meno costoso, più semplice da fabbricare, da usare e più difficile da individuare.

La capacità d’interazione delle nano-particelle con le strutture sub-cellulari non è ancora del tutto conosciuta e la comunità scientifica è tutto altro che unanime nell’escluderne i pericoli potenziali. D’altra parte se è possibile ipotizzare il rafforzamento delle barriere immunitarie (mosquito nets) per ridurre l’incidenza delle malattie infettive, è altrettanto possibile ipotizzare l’elaborazione di sistemi opposti che inibiscano le difese immunitarie. I meccanismi bio-tecnologici delle due operazioni sono gli stessi. I terroristi potrebbero procurarsi facilmente forme relativamente innocue di tossine o di sostanze chimiche e con una minima manipolazione renderle strumenti mortali, attraverso la possibilità di farle interagire con l’organismo, alterando i processi metabolici. Si tratta di una tecnologia semplice, molto più semplice di quella necessaria per produrre le tradizionali armi chimiche o batteriologiche: è teoricamente possibile, attraverso una nano-macchina, fabbricare in grande quantità, molecola per molecola, la tossina dell’antrace senza aver accesso al Bacillus anthracis. La stessa tecnologia potrebbe essere utilizzata per attaccare sistemi meccanici o elettronici, bloccando centrali nucleari, centrali elettriche, aeroporti, sistemi di informazione. Le nano-particelle auto-replicanti potrebbero agire con lo stesso sistema di funzionamento del virus di un computer: attivarsi automaticamente e diffondersi fino a distruggere gli elementi basilari per il funzionamento. Il problema non è, certo, quello di bloccare la ricerca, ma di assumere la consapevolezza della profonda ambivalenza di certi sviluppi, alimentando l’informazione e la discussione pubblica. Minimizzare i rischi e accentuare i vantaggi potrebbe, nel breve periodo, avere un effetto rassicurante, ma finirebbe col creare un vuoto di conoscenza e quindi di democrazia. Nelle scelte etiche non è sempre possibile garantire il bene per tutti, ma è certamente importate che tutti partecipino ai processi decisionali
Si afferma che le nano-tecnologie, in combinazione con la biotecnologia, l’elettronica e la medicina, potranno consentire di intervenire radicalmente sul corpo umano per ripararlo o per potenziarne le capacità. È possibile pensare alla costruzione di organi o di tessuti per il trapianto, ma anche alla riparazione di funzioni sensoriali compromesse o al loro ampliamento, allargando, ad esempio, lo spettro elettromagnetico della percezione visiva. Sono già alla studio le connessioni tra elettronica e sistema nervoso, attraverso nanoelectronic neuro-implants (neurobionics), che consentirebbero di correggere difetti della vista o dell’udito. Se fosse possibile collegare l’attività cerebrale a sistemi di elaborazioni dei dati si aprirebbe lo scenario, tanto suggestivo quanto avveniristico, dell’uploading: estrarre le informazioni contenute in un cervello umano e replicarle in un calcolatore. Nano-macchine specializzate dovrebbero passare allo scanner, atomo per atomo, il tessuto cerebrale. Poi l’informazione dovrebbe essere digitalizzata e implementata attraverso appositi software che permettano di conservarla o di trasferirla. Guardando questo stesso problema, dalla parte non più dell’uomo ma delle macchine, sono da tempo avviati i tentativi di costruire ‘computer organici’ che utilizzano ‘flash memory chips‘ integrati con strutture cellulari oppure transistor assemblati con nano-tubi di carbonio e frammenti di DNA. La costruzione di questi ibridi biologici, dalle nano-macchine ai labs on a chip e fino ai computer a base organica, altera profondamente la distinzione tra biologia, chimica e fisica, ma anche quella tra materiale e immateriale, tra materiale e congegno. Oltre che di una nano-etica si è parlato anche di una nano-filosofia, per sottolineare l’esigenza di ripensare tutte le categorie concettuali dell’identità umana ‘bottom-up‘, a partire dall’idea che non esista l’uomo, ma la nano-particella, con tutti i suoi possibili assemblaggi. Anche senza spingersi tanto oltre, affrontando il problema, puramente ipotetico, di come qualificare, eticamente e giuridicamente, il contenuto del cervello scannerizzato e conservato in un nano-chip, è facile intuire quali profondi cambiamenti potrà subire la nozione di identità umana e di integrità personale. Ad esempio, il potenziamento delle capacità neurologiche, mnemoniche o visive potrà essere consentito indiscriminatamente? Chi sarà a decidere i limiti e le possibilità di utilizzazione? Il dominio tecnologico consentirà di ‘produrre’ esseri biologicamente superiori, alimentando nuove forme di razzismo? (segue…)

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