Le interminabili opere fantasma
L’elenco delle opere pubbliche italiane iniziate e mai terminate è lungo. Ci sono opere monumentali ancora improntate sul modello di sviluppo proprio degli anni ’70/80. Eppure in un’intervista comparsa sulla Repubblica (luglio 2011), il sindaco di Torino Piero Fassino, riferendosi alla manifestazione nazionale No Tav del 3 luglio in Val di Susa, ha asserito che i manifestanti sarebbero persone contrarie a qualsiasi opera pubblica, quindi contro la modernità e a favore della regressione culturale. Definire “moderne” le opere di questo genere è infatti azzardato. Basti pensare che il progetto “Alta Velocità” è partito nel 1991, con una previsione di 15/20 anni di cantieri (in Val di Susa non sono mai iniziati i lavori) e una spesa di 15 miliardi di euro, per il 40% autofinanziati dallo Stato e per il restante 60% coperti da investitori privati. Allo stato attuale dei fatti, i miliardi necessari per l’ultimazione dell’opera sono diventanti 32, tutti soldi pubblici senza partecipazione di privati.
Il raddoppiamento dell’investimento iniziale è dovuto in parte al sistema del general contractor che ha permesso l’affidamento dei lavori senza contrattazione e in parte ai requisiti tecnici necessari per accogliere i treni merci, come la riduzione dei tracciati collinari e montagnosi, l’incremento di viadotti e gallerie e le onerose prescrizioni imposte dagli Enti locali attraversati per opere di compensazione territoriale. Ad esempio in Val di Susa, dove cresce il dissenso popolare nei confronti della Tav, il progetto prevede un’escavazione di un totale di circa 70 km dentro varie montagne in un’area limitata di una decina di km. I No Tav considerano l’opera non solo dannosa per l’ambiente ma inutile, infatti il flusso merci in transito attraverso la frontiera italo-francese dal ’97 è diminuito costantemente (è 1/5 della capacità della linea esistente), così come si è ridotto il numero di passeggeri e di treni – solo due convogli giornalieri – tra Torino e Lione-Parigi.
Un’altra opera pubblica mastodontica, il ponte di Messina, ha visto i suoi albori già dagli anni ’70 quando il Gruppo Ponte Messina S.p.A ha presentato un progetto sulla scia del quale sono partiti gli studi che hanno portato nel 2003 al progetto preliminare. Nel 2005, l’Associazione Temporanea di Imprese Eurolink S.C.p.A., con a capo la Impregilo S.p.A. ha vinto la gara d’appalto per la costruzione del ponte con un’offerta di 3,88 miliardi di euro ma in realtà le previsioni del costo del ponte sono molto più onerose e hanno tempi di ammortamento infiniti, così come i tempi di realizzazione che vanno dai 15 ai 20 anni e che mettono a rischio siti di alto valore ambientale e paesaggistico. La stessa Impregilo è stata condannata a risarcire 150 milioni di euro per presunti danni ambientali causati dai cantieri dell’alta velocità, per i quali hanno fatto incrementare vorticosamente le spese per i lavori. Inoltre è stata coinvolta nello scandalo dei rifiuti a Napoli (alcuni suoi ex amministratori delegati sono stati rinviati a giudizio) e in quello dell’inceneritore di Acerra, opera con ingenti problemi strutturali realizzata in tempi record. Per la Salerno-Reggio Calabria, invece, ha ottenuto un prolungamento della consegna dei lavori di altri tre anni, e insieme ulteriori fondi.
La modernità è portare avanti progetti che non hanno garanzie di riuscita e che continuano a presentare problemi ingegneristici, economici, ambientali, logistici, sociali e politici.
Il vero scopo appare quello di ottenere i finanziamenti pubblici (europei e non) a scapito persino dell’economia, e ancor peggio della salute e della volontà dei cittadini.
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