“Le cose che verranno”, la ragione dei sentimenti
(Serena Grizi) C’è un piccolo film che gira in questi giorni ritrasmesso dalla tv, è del 2016 ed è della giovane regista Mia Hansen-Løve, si intitola Le cose che verranno – L’avenir ed è posto sulle spalle d’una attrice tanto piccolina e gracile, quanto algida, in grado di farci dimenticare del tutto la sua fisicità e provenienza e consegnarci tante emozioni diverse, che risponde al nome (dell’inossidabile) Isabelle Huppert. Nathalie è una donna tutta sola, anzi no. Una donna con una famigliola felicemente ‘invecchiata’: il marito, insegnante di filosofia come lei, due figli adulti che hanno cominciato le loro esistenze. Una casa al mare. Progressivamente: viene lasciata dal marito per una donna più giovane; perde sua madre; perde la possibilità di pubblicare nelle prestigiose collane d’una casa editrice di filosofia perché i suoi testi sono soppiantati da quelli di studiosi più giovani. Perde la casa al mare perché non disposta a condividerla con la nuova coppia. I leitmotiv, i già visti, i già sentiti, sono tanti: il marito che vive la sua nuova vita s’è tenuto le chiavi di casa e passa di lì per caso per prendere qualche ultimo libro dalla fornita biblioteca comune; passa per caso anche la sera di Natale, forse per vedere se c’è un posto a tavola con figli e nipotino visto che la sua nuova compagna è andata dalla sua famiglia. Viene molestata da un uomo perché va al cinema da sola. È rabbiosa quando svuota gli armadi delle casa delle vacanze dove sta lasciando, con dolore, anche il magnifico giardino che ha piantato da sé.
Ma questo non è un filmetto di luoghi comuni. Mentre piange per la scomparsa di sua madre, donna bellissima, sola e inquieta che non ha saputo accettare il declino pur essendo ancora piacevole ma non presente a se stessa, piange anche per sé e per quel tantissimo, e poco, che è la vita. L’interno borghese della sua esistenza, ricco di piante, libri, qualche comodità, non è lo specchio preciso della sua interiorità fatta d’una vita intellettuale vivissima e ricca di curiosità e letture. Fatta di capacità di lasciare invece che di conservare.
Molti suoi allievi la visitano a più riprese circondandola di vero affetto e attenzioni. Il suo ex allievo più amato la invita nella sua nuova casa nel Vercors dove, pur cominciando ad essere un filosofo apprezzato, si è trasferito per vivere una vita da contadino e pastore, semplice e condivisa con altri amici europei, ricca di spazi esterni ed interiori. La loro è un’amicizia vera e Nathalie esclude subito, dichiarandolo più per lo spettatore ‘illuso’ d’aver capito che per i protagonisti, la possibilità di innamorarsi di un uomo molto più giovane. Nathalie è già innamorata della vita.
Seppure il film mostri una società civilizzata con la quale ci si confronterebbe volentieri, (il molestatore respinto con fermezza torna sui suoi passi buono buono; il marito le riconsegna le chiavi di casa quando gli vengono chieste poiché la protagonista non gradisce le sue visite ‘a sorpresa’) è la stessa società che non risparmia neppure uno schiaffo alla protagonista e le dice che è donna e che non è più giovane, senza mai gridarglielo in faccia, semplicemente sbarrandole il passo per gli universi che lei vorrebbe ancora frequentare: amare, pubblicare, passeggiare da sola… ma è una società che non risparmierebbe le sue dure crudeltà nemmeno agli immigrati poveri, ai malati di malattie considerate vergognose; agli uomini e alle donne che in età adulta non si sono almeno ‘travestiti’ da ricchi e distinti. Non è una società esclusiva con le donne, lo è con tutte le categorie che considera deboli e superate per i suoi fini di autoconservazione produttiva: che venga avanti la gioventù, la salute, la produttività che sia utile ai fini del rendimento economico (anche la cultura, certo, ma non ai fini della mera conoscenza e promozione umana…).
Come resiste Nathalie a tutto questo. Grazie alle relazioni davvero importanti, sincere, che ha instaurato coi suoi allievi dei corsi universitari, coi quali gestisce un rapporto da docente attenta e caparbia, e affettuosa; quella con l’ex allievo e la sua nuova famiglia allargata con compagna e amici e l’ambiente che questi abitano, scambiando persino il suo amato mare con gli altrettanto belli e selvatici paesaggi del Vercors, perché fra quelle mura e tra quei paesaggi si muovono per lei affetti veri che tratta con mille attenzioni e totale, estrema, franchezza. I suoi alunni che stanno fondando una rivista filosofica in internet la chiamano a collaborare con loro come supervisore ed editorialista: così Nathalie, affidandosi intelligentemente, si lascia alle spalle anche un mondo che, a ben guardare, come potrebbe non avvertirlo una pensatrice, comincia ad essere superato: condivisione è l’oggi dell’abitare borghese, la rete è l’oggi d’ogni casa editrice che voglia farsi conoscere…
Il domani che verrà potrà essere ricco di letture e persone; le piace ancora cucinare qualcosa di buono per la sua famiglia, cullerà suo nipote neonato (lo fa sulle note struggenti di Unchained melody), sarà di nuovo una donna che sulle proprie gambe affronterà l’avvenire. Ha di che pensare nella testa, ha cose da dare nel cuore. Il dolore resta tale ma non lotterà per mantenere le ‘vecchie’ posizioni conquistate: comprende quanto sarebbe una lotta impari, l’intelligenza non le manca, userà probabilmente quelle energie per raggiungere altri traguardi personali, per restare se stessa. La rabbia diventa azione costruttiva, la sottrazione delle certezze spinta per cercarne altre, senza dimenticare di non farsi piacere ciò che dovrebbe piacerle per ‘elezione’ (un grosso gatto avuto in eredità al cui pelo è allergica, il marito che ora la vorrebbe come mamma o un giovane spasimante per sentirsi ragazza…).
Nel film, volutamente crediamo, mancano la povertà d’una periferia metropolitana o la miseria dell’ignorare, altrimenti la regista si sarebbe dovuta confrontare con altri temi, ma la capacità di Nathalie di tenere coese l’aspettativa e il presente con tutte le sue difficoltà, è come un fiore che continua a sbocciare. Un messaggio di speranza per uomini e donne, la razionalità della mente che aiuta a gestire il fiorire generoso e disordinato dei sentimenti positivi e negativi, eppure sempre umani.
Filmografia: donne nel tempo…
Una moglie di John Cassavetes 1974
Una donna tutta sola di Paul Mazursky – 1978
Una notte d’estate (Gloria) di John Cassavetes – 1980
Gloria di Sidney Lumet – 1998
La pazza gioia di Paolo Virzì – 2016
Non conosci Papicha di Mounia Meddour – 2019
Immagine web
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