LE CONSULTE DEL COMUNE DI ALBANO E LA PARTECIPAZIONE DEI CITTADINI
Nei giorni scorsi sono state istituite ad Albano due consulte del Consiglio comunale: una sulle attività economiche, sociali, sindacali, del lavoro e, l’altra, su cultura, istruzione, sport, qualità della vita. Ottima notizia, anche se la decisione è stata presa dopo quasi dieci anni dall’adozione del Regolamento per la partecipazione dei cittadini (era il 2014) e dopo oltre venti dall’adozione dello Statuto comunale. Si potrebbe dire “meglio tardi che mai”.
Lo Statuto comunale prevede tutta una serie di modalità di partecipazione dei cittadini alla vita del Comune: l’interrogazione, la petizione, la proposta, il forum, l’assemblea cittadina, il consiglio comunale aperto, la conferenza di bilancio, la consulta, il referendum. Il dato di fatto è che, sebbene vi sia una così vasta gamma di possibilità, finora nessuno degli strumenti di partecipazione è stato attivato. Scarso interesse dei cittadini per la gestione della propria città, o scarsa propensione di chi detiene il potere a promuovere attivamente la partecipazione popolare in un genuino sistema democratico?
Nel Regolamento non sono disciplinati il Consiglio comunale aperto e la conferenza di bilancio, modalità che consentono un vero dialogo tra i cittadini e la propria amministrazione; ciò non è casuale ma è l’esito di una precisa volontà del precedente Consiglio comunale.
Nel Regolamento vi è un numero ricorrente: cinquecento. E’ il numero di firme di cittadini richiesto per attivare le istanze, le petizioni, le proposte, i referenda, numero non facile da raggiungere, che decisamente scoraggia la partecipazione attiva dei cittadini alla gestione della cosa pubblica.
Allargando il tema della partecipazione e della trasparenza, va ricordato che il precedente Consiglio comunale ha de-finanziato le attività statistiche Comune di Albano, così che non vengono più raccolti i dati e diffuse pubblicazioni come l’Annuario statistico. Si tratta di un passo indietro – nel passato il Comune di Albano veniva segnalato come uno dei casi di successo nell’ambito del Sistema Statistico Nazionale. L’attuale amministrazione sta seguendo la stessa linea politica di disinteresse per la fonte primaria di conoscenza che priva non solo i cittadini di informazioni quantitative sulla loro vita, ma la stessa amministrazione comunale di un elemento essenziale per la programmazione e la gestione. Un caso specifico è rappresentato dal Documento Unico di Programmazione (DUP) che dovrebbe illustrare ai cittadini le linee programmatiche a medio termine della città basate su analisi e dati, ma che fallisce sistematicamente, ogni anno, l’obiettivo non soltanto per l’assenza di programmazione, ma anche per la mancanza di una conoscenza quantitativa della vita e delle caratteristiche della comunità cittadina. Va aggiunto che una recente offerta di produzione e di elaborazione di statistiche sulla città di Albano non ha ricevuto neanche una formale risposta da parte dell’amministrazione.
Venendo al caso specifico delle due consulte, si può ragionevolmente argomentare che non produrranno gli effetti desiderati per vari motivi.
Primo. Per loro natura, le consulte, che coinvolgono persone e gruppi molto eterogenei, tendono inesorabilmente a essere un momento di discussione aperta, un happening, che ben raramente riesce a realizzare elaborazioni finalizzate alla soluzione di problemi specifici: ciascuno dice la sua, ma ben difficilmente si raggiunge una sintesi che possa essere utile per prendere decisioni. E chi si candida a far parte delle consulte può farsi avanti più per desiderio di protagonismo (“ho un incarico al Comune”) piuttosto che per la messa in campo di reali competenze.
Secondo. Lo Statuto prevede che possono far parte delle consulte soltanto le associazioni iscritte all’albo comunale e non singoli individui o esperti. Nel 2021 l’albo comunale conta 69 associazioni, di cui 18 aventi sede in altri Comuni; quest’ultime probabilmente non avranno né capacità né interesse ad essere coinvolte. Le 51 associazioni nostrane coprono essenzialmente attività nei campi del sociale, dell’assistenza alle persone, culturale, sportivo: mancano completamente le competenze nei settori economici, sindacali, dell’istruzione, della qualità della vita. Realtà come il commercio, l’artigianato (ben rappresentato ad Albano dalla CNA), i sindacati, le istituzioni culturali, gli apparati di sicurezza, la sanità, e tante altre che sono nell’ambito di competenza delle due consulte, non sono rappresentate. Nell’albo mancano quasi tutti i comitati di quartiere ed il loro coordinamento. Dunque l’albo delle associazioni di Albano mette a disposizione poche e inadeguate competenze e il Regolamento impedisce di coinvolgere singoli individui esperti: come potranno dunque funzionare le consulte con limitate e inadeguate risorse?
Terzo. La tempistica. Nel regolamento si legge che “Le consulte devono esprimere i pareri richiesti entro il termine stabilito dal Sindaco o dal Presidente del Consiglio Comunale nella nota di invio di atti e documenti da esaminare, di norma entro il limite massimo di trenta giorni”. Tempi ristretti, al di sotto dei trenta giorni, rendono molto complicato svolgere un’adeguata elaborazione dei pareri.
Quarto. Il regolamento dice: “Ogni singola Consulta viene istituita solo se vi sono almeno cinque associazioni iscritte all’albo di riferimento e di cui all’apposito regolamento.” Vedremo se vi saranno almeno cinque associazioni e un massimo di due rappresentanti per ciascuna di esse per cui, almeno in linea teorica, una o forse due consulte non verranno attivate per mancanza di partecipanti. Una precedente esperienza finanziata dal Comune sul tema della pianificazione territoriale, che ha visto il coinvolgimento di organizzazioni e cittadini in riunioni tematiche – esperienza analoga a quella delle consulte – ha prodotto in molti partecipanti un sentimento di frustrazione (pestare l’acqua nel mortaio) che probabilmente si ripercuoterà sull’avvio delle consulte.
Se il Consiglio comunale voleva dotarsi effettivamente di un efficace strumento a sostegno delle proprie attività deliberative, avrebbe potuto avvalersi dell’art. 24 dello Statuto in cui è previsto che “Il consiglio comunale può nominare, anche avvalendosi di persone esterne, commissioni speciali, per lo studio, la valutazione e l’impostazione di interventi, progetti e piani di particolare rilevanza, che non rientrano nella competenza ordinaria delle commissioni permanenti”. E, se voleva dare corpo al controllo dell’azione amministrativa da parte di un organismo indipendente, poteva dare attuazione alla creazione del Difensore civico, come previsto dagli articoli 47-50 dello Statuto, decisione che è rimasta per più di venti anni nel cassetto.
In conclusione. I rappresentanti politici e amministrativi della città di Albano non appaiono realmente interessati ad una vera partecipazione dei cittadini alla cosa pubblica – questo è un fenomeno di lunga durata che erode il tessuto democratico della città. Potrebbero dare vita a tutta una serie di modalità previste dal Regolamento di partecipazione e dallo Statuto, ma non lo fanno.
L’attivazione delle consulte appare un tentativo nella direzione giusta, ma non è così, è una falsa partenza. Come ben sanno coloro che l’hanno attivato, è deficitario da molti punti di vista ed è destinato a fallire (analoga esperienza fallimentare è stata, per esempio, quella del Consiglio comunale dei giovani attivato nel corso della passata legislatura). Ovviamente nessuno dispone della sfera di cristallo, il tempo è galantuomo e chi vivrà vedrà.
non c’ e’ peggior sordo di chi non vuol senture. Una ennesima lezione magistrale che forse servira’ a formare e promuovere un nuovo gruppo dirigente di carattere non solo locale per le future tornate elettorali, ma non a far maturare dal basso forme di potere locale che possono essere ritenute non all’o.d.g. da parte di un’opinione pubblica che come si sa in Italia e’ in massima parte moderata.