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Le antichissime chiese di Ariccia (1/2)

Aprile 04
23:00 2009

Quando si parla di un monumento antico, sia esso una chiesa o un edificio, di solito si ha anche il modo di ammirarlo nella sua bellezza stilistica e architettonica. Ma quando si apprende, da antiche memorie, di monumenti esistiti ed ora non più presenti nasce in noi quella curiosità di sapere come erano e perché non esistano più, specialmente oggi in cui si tende a difendere, restaurare e valorizzare ogni cosa che richiami ad un passato più o meno lontano nel tempo si trattasse anche solo di rovine.
È questo il caso di Ariccia. Leggendo il volume Memorie storiche dell’antichissimo Municipio ora terra dell’Ariccia e delle sue colonie Genzano e Nemi, scritto dallo storico ariccino Emmanuele Lucidi nel 1796, si viene a sapere dell’esistenza di due antichissime chiese edificate agli albori del Cristianesimo e fatte demolire all’epoca dell’acquisto del feudo castellano da parte della famiglia Chigi, nel 1661. Vale la pena citarle per il loro valore storico-architettonico risalente tra la fine dell’Impero Romano e la costituzione dei primi regni barbarici e perché da ciò si desume l’edificazione del borgo sul colle attuale da dove era più facile difendersi dalle continue incursioni dei barbari rispetto alla valle sottostante sulla Via Appia Antica.
Risale al 1473 l’acquisto di tutto il territorio ariccino da parte dei Savelli, prima appartenente al Monastero di Grottaferrata. Dall’istrumento si legge che il castro è completamente distrutto e abbandonato a causa delle continue lotte baronali, tranne le due chiese, e che quindi i Savelli si impegnano a ricostruirlo e ripopolarlo. Tale possedimento rimane in loro possesso fino al 1661 quando, oberati dai debiti, sono costretti a vendere Ariccia e tutto il territorio ai Chigi mediante atto stipulato dalla Camera dei Baroni.
I Chigi iniziano subito l’opera di ricostruzione del borgo risanando le mura di cinta e dando facoltà, a coloro che vogliano stabilirsi ad Ariccia, di costruirvi le proprie abitazioni. Rimanevano in stato fatiscente soltanto le due chiese di cui si tratterà.

Della Chiesa di S. Pietro. Era questa chiesa di grandezza simile a quella ora sconsacrata di S. Nicola. Era coperta di solo tetto a forma di casa romana presumibilmente di epoca paleocristiana. Era dotata di un solo altare verso Roma sopra il quale si vedeva l’effige di S. Pietro Apostolo, non sappiamo se dipinta o a mosaico. Vicino all’altare vi era una torre o campanile di forma antichissima con mura spesse e di altezza uguale a quello della Rotonda di Albano. Si passava dal campanile dentro un cortile ove si entrava in chiesa. Il campanile restò devastato dai fulmini e, rimanendo pericolante, se ne decise la demolizione unitamente alla chiesa per ordine del Pontefice Alessandro VII il 28 aprile 1665 e al suo posto fu edificato, nel 1672, l’allora forno oggi edificio di civile abitazione posto a fianco di Porta Romana in Via Laziale (dietro l’attuale caserma dei Carabinieri).
«Erano stati da tempo immemorabile donati alla chiesa di S. Pietro molti terreni nel territorio dell’Ariccia i quali si concedevano a titolo di beneficio semplice ad un sacerdote, e che rendevano annui scudi duecento sessanta col peso di dovervi celebrare in tutti i dì festivi di precetto la messa».
Il cardinale Bonelli, vescovo di Albano in vigore di un breve del pontefice Clemente VIII, nel 1590 soppresse questo beneficio e lo unì agli altri benefici della Diocesi istituendo il Capitolo della Chiesa Cattedrale di Albano come risulta dalla Bolla di erezione pubblicata il 21 aprile 1594 sempre con l’obbligo di celebrarvi la messa nei suddetti giorni festivi. «Ma distrutta la chiesa di S. Pietro, fu con Moto Proprio del papa Alessandro VII dei 9 marzo 1667 trasferito questo peso all’altare di S. Agostino nella Chiesa Collegiata dell’Ariccia».
Circa la demolizione di questa chiesa il cardinale Carlo Bartolomeo Piazza della Gerarchia Cardinalizia della Diocesi di Albano, qualche anno dopo, così si espresse: «Qui da’ fedeli fu anticamente fabbricata una chiesa, dedicata in onore del S. Apostolo, con un alto campanile, quasi per trofeo del di lui segnalato benefizio fatto alla Chiesa nascente per le sue orazioni, in così pericoloso cimento della religione; la quale era degna da sostenersi con puntelli d’oro, per così grata memoria; e da pubblicarsi da’ bronzi a tutti i secoli. La torre per grande ingiuria della venerabile antichità, fu demolita, per farne pubblica piazza; e ciò seguì nel tempo stesso, che fu demolita l’antica colleggiata; con le cui sagre memorie eransi cambiate le favolose superstizioni de’ gentili.
Non possiamo lasciare di non dolerci, che avendo i primi fedeli della Chiesa, per testimonio di così segnalato miracolo, il quale in Roma diede così gran credito alla nostra santa religione cristiana, in congiunture tanto pericolose, eretta in questo luogo una chiesa assai magnifica in onore del suddetto Santo Apostolo, e del suo memorabile trionfo sopra Simon Mago, sia stata pochi anni sono, perché minacciava rovina, demolita, senza essersene rimessa verun’altra memoria; non senza grave ingiuria dell’ecclesiastica, e venerabile antichità, tanto più grave, quanto che questa medesima allora città, o popolata colonia, riconosce i primi splendori del Vangelo dal Santo Apostolo, con le vicine terre, e castelli, come sopra si è detto». (Continua)

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