L’attacco israeliano alle navi pacifiste
All’alba del 31 maggio scorso, mentre la flotta navale Freedom flotilla stava procedendo verso la costa di Gaza per portare aiuti umanitari alla popolazione palestinese nei territori occupati della Striscia, un commando militare israeliano ha sferrato un violento attacco in acque internazionali alla nave più grande, la turca Mavi Marmara.
Per Israele si è trattato di “legittima rappresaglia“, in quanto a bordo si sarebbero trovati terroristi che hanno aggredito i soldati israeliani mentre procedevano ai dovuti controlli. Le sei navi della flotta erano state messe a disposizione dell’iniziativa umanitaria (chiamata Free Gaza) consistente nel portare rifornimenti alla popolazione della Striscia di Gaza, imprigionata nei campi profughi dalle forze di occupazione israeliane e sottoposta ad embargo di generi di primissima necessità. La campagna europea Free Gaza era stata promossa subito dopo l’operazione militare israeliana Piombo Fuso a cavallo tra il 2008 e il 2009, che aveva provocato l’uccisione di circa 1.400 palestinesi civili e il ferimento di oltre 5.000 persone. Dopo “Piombo Fuso” il governo israeliano aveva posto l’embargo alla popolazione già stremata dalla guerra. Il mondo pacifista e per il rispetto dei diritti umani allora si era mobilitato per portare solidarietà concreta alla popolazione palestinese. La flotta era composta da 4 imbarcazioni passeggeri con circa 800 persone a bordo, in rappresentanza di 40 Paesi, e due cargo con circa 10mila tonnellate di aiuti umanitari. Sulla nave irlandese Rachel Corrie (dal nome della pacifista americana morta a Gaza sotto un bulldozer israeliano nel tentativo di fermarlo mentre procedeva demolendo le abitazioni palestinesi) si trovava una delle anime dell’iniziativa Free Gaza, l’ottantacinquenne Hedy Epstein sopravvissuta ad Auschwitz, militante femminista e pacifista impegnata da decenni a fianco del popolo palestinese. Sulla stessa nave si trovava anche il premio Nobel per la pace 1976, la nordirlandese Meiread Maguire di 66 anni. Ben tre navi (di cui la Mavi Marmara) erano state messe a disposizione dalla “Ihh” (Fondazione per l’aiuto umanitario), un ente caritatevole islamico ben visto dal premier turco Erdogan. Le tre navi erano partite da Istanbul a metà maggio per raggiungere il resto della flotta a Cipro e proseguire poi per Gaza. La nave irlandese Corrie, a causa dei controlli tecnici sull’isola di Cipro, aveva ritardato la partenza e quindi al momento dell’attacco israeliano era distante dalla nave Mavi Marmara. Invece la nave greca Ottomila, con a bordo anche la rappresentanza italiana, si trovava nei pressi della nave turca Marmara, dove era stivato il carico di aiuti più grosso: materiali da costruzione, 100 case prefabbricate, oltre ad un centinaio di carrozzelle per invalidi, medicine, acqua e cibo. Portavano acqua perché l’arida terra di Gaza è inquinata dal fosforo delle bombe ed è imbevibile.
La notte del 30 maggio i passeggeri delle cinque navi vengono raggiunti dagli annunci della marina militare che il governo israeliano ha confermato la sua volontà di bloccare la flotta e quindi intima lo stop. La flotta filopalestinese, invece, è decisa ad andare avanti. Da parte israeliana viene messa in azione una unità speciale della Marina, appoggiata da elicotteri trasporto truppe. Verso l’una di notte le comunicazioni radio e satellitari vengono schermate dagli israeliani. I passeggeri della flotilla non si aspettano, comunque, di poter essere aggrediti militarmente in acque internazionali. Invece a 75 miglia marittime dalla costa vedono dagli elicotteri calarsi le squadre d’assalto con delle funi, i soldati piombano sulle navi e ne prendono il controllo in pochi minuti. Sulla nave Marmara dei 600 volontari presenti qualcuno tenta una reazione con spranghe e bastoni. Alle ore 4,30 i marines ricevono dal Governo israeliano l’autorizzazione a sparare. Ed è strage! Il numero dei morti è incerto: secondo i testimoni vengono uccisi 19 volontari (di cui almeno 4 con un colpo in testa mentre fuggono verso i bagni) ed alcuni corpi inermi vengono gettati in mare. Decine sono i feriti. Alle ore 5 la Marina israeliana conduce le navi nei porti israeliani di Ashdod e di Haifa. I volontari vengono tenuti in detenzione, con maltrattamenti e percosse. Anche gli italiani vengono detenuti nella prigione di Beersheva nel deserto del Negev. Ecco il racconto del reduce italiano Joe Fallisi: «Noi italiani eravamo sulla “Ottomila”, come il numero dei prigionieri palestinesi. Gli israeliani sono saliti a bordo in un lampo, tutti con il volto coperto da una maschera nera, armati fino ai denti, con giberne piene di caricatori e giubbotti antiproiettili, ci hanno puntato i loro mitragliatori…ci hanno sequestrato milioni di euro di aiuti, ci hanno rubato i bagagli, i soldi, i computer, i telefonini e i passaporti… Era una flotilla storica perché il carico di aiuti per i palestinesi era straordinario! Di questo carico non si è saputo più nulla, né si sa che fine abbia fatto la Mavi Marmara… (il racconto completo si può vedere su internet)». Nei giorni seguenti anche la nave Rachel Corrie viene sequestrata dalla Marina israeliana e portata al porto di Ashdod, dove i passeggeri vengono fatti rimpatriare senza incidenti. Anche del carico della Corrie destinato ai palestinesi non si è saputo più nulla. A Gaza è presente l’organizzazione pacifista International Solidarity Movement a cui spettava ricevere gli aiuti stivati nelle navi. L’unico attivista italiano è Vittorio Arrigoni, che ci ha tenuto a dire che “l’organizzazione di cui fa parte è autonoma, non ha rapporti né con il governo palestinese di Hamas, né con gli iraniani, che sono sciiti mentre i palestinesi sono sunniti. I finanziamenti che arrivano sono quelli delle persone che ritengono utile la presenza a Gaza di attivisti per i diritti umani“. Questo è quanto il volontario italiano ha spiegato. Ciò che fa preoccupare è che questo attacco israeliano è stato rivolto a quanti nel mondo vogliono essere solidali con il popolo palestinese, che continua a morire anche a seguito delle quotidiane incursioni militari. Dopo il violento attacco, mentre nelle piazze di Tel Aviv si svolgevano manifestazioni di solidarietà nei confronti dei palestinesi di Gaza e dei volontari della pace, l’avvocato ebreo Cohen, esperto di diritto internazionale e umanitario, depositava presso la Corte Costituzionale a Tel Aviv, insieme ad altri colleghi ebrei, un documento durissimo contro l’assalto israeliano alla Freedom Flotilla, perché “ha ucciso e ferito civili in una zona di mare a oltre 70miglia marittime dalla costa, cioè molto distante dalle acque territoriali sotto la giurisdizione israeliana (fissate a 12 miglia), e questo costituisce una grave violazione del diritto internazionale. Perché i controlli a bordo si spingono al massimo a 24 miglia“. Anche per il premier turco Erdogan “l’attacco in acque internazionali contro civili che conducono attività pacifiche è inaccettabile“. La Santa Sede, dal canto suo, ha chiesto un’inchiesta internazionale (al pari di Francia e Inghilterra) e la fine dell’embargo israeliano imposto alla Striscia di Gaza. A Roma le associazioni pacifiste, raccolte nella “Rete Romana di Solidarietà con il Popolo Palestinese” (che comprende anche “Ebrei contro l’occupazione“), hanno manifestato il 4 giugno scorso, ribadendo che i volontari delle navi della solidarietà sono da considerare non soltanto pacifisti, in quanto contrari a tutte le guerre, ma anche partigiani antifascisti, in quanto lottano contro l’oppressione dei popoli e per il rispetto dei loro diritti umani. Nel libro “Ancora una volta, Palestina ai palestinesi” edito da Prospettiva Edizioni di Fabio Beltrame, esperto di questioni mediorientali, viene affrontato in modo documentato (per la prima volta da un italiano) la questione israeliana, accanto alla più nota questione palestinese. Vale la pena di leggerlo per capire molte cose!
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