L’arte ribelle dell’orto
Durante l’ultimo conflitto mondiale erano definiti gli “orti di guerra” ai quali provvedevano tutti i cittadini «od i giovani delle organizzazioni del P.N.F». Adesso li chiamano “orti sociali” od “orti di pace”. Comunque ed in qualsiasi caso si parla di uno spazio di «alcuni metri quadri con la possibilità di avere ortaggi e piante aromatiche di propria produzione con un piccolo risparmio economico ed una grande soddisfazione nel poter mangiare cibi non trattati con pesticidi e conservanti vari». Lungo tutto l’italico stivale è scoppiata una moda viva e vegeta-le od un ritorno a boomerang per niente nostalgico di zappe, sementi, guanti, zucchine, patate, pomodori, lattuga e quant’altro ancora. L’orgogliosa comunità degli “ortisti” difende a spada tratta, pardon a suon di pacifiche rastrellate, zolle ed erbette, stabbi e spaventapasseri. La nobile vanga e l’accessoriato sudore della fronte sono tornati in auge, dal Nord Italia sino alle assolate appendici meridionali, tra le mani di un popolo senza noiose differenze sociali, economiche e di età. Dai bambini agli anziani passando per casalinghe, disabili e manager, tutti a controllare con orgoglio genitoriale la crescita di melanzane, carote, broccoli e cavolfiori. Numerose sono le cooperative sociali senza finalità di lucro, Ipab, similari e consorziali che avvalendosi di terreni agricoli privati, in donazione o genericamente demaniali cercano così di combattere il carovita della tragica quarta settimana o lo stress di un’esistenza moderna altamente intossicata. Horticultural Therapy anche ed infatti è od almeno sarebbe il termine con il quale «si designa quello stato di benessere prodotto dalla coltivazione di fiori, patate e zucchine» con effetti taumaturgici sia a livello fisico che umorale. «Zappare allunga la vita – riportano i mezzi di informazione on line -. Lo rende noto uno studio dell’Università svedese di Uppsala. Chi fa giardinaggio guadagna un anno di vita rispetto a chi rimane ozioso. Ben due anni in più per chi, invece, raggiunge un livello medio di operosità». La Coldiretti, dal canto suo, si sfrega le mani ipotizzando, in statistiche, un ben quasi 40% di italiani dediti a questa vigorosa attività e con un risparmio di circa 300 euro sul bilancio familiare annuo. Sia che il terreno a disposizione si presenti in proprietà od in “affitto” a modiche cifre con la contropartita dei servizi di innaffiamento, custodia e sosta per i mezzi di trasporto. Sembra così che il sogno di una rinata vita oltre rurale ed a dimensione dell’uomo del XXI secolo si possa realizzare pian piano, senza luci da palcoscenico e sconquassi roboanti. Certo bisogna mettere da parte tutte quelle sofisticate tecnologie senza le quali non si è più in grado nemmeno di lavarsi i denti o preparare il caffé. Stabilito a priori che necessario è il piegarsi, sporcarsi, sudare, farsi venire calli ed ispessimenti cutanei a mani e piedi. Garantito che è determinante usare quelle “profumate” concimazioni e quei poco eleganti fertilizzanti. Ma cos’è tutto ciò in confronto all’attuale ed amorfa spersonalizzazione dell’essere umano? Forse forse che Ernst Jünger, nell’azione del suo soggetto/individuo di andata nel Der Waldgang (“Passaggio al bosco”) ed auspicabile ritorno, volesse riferirsi proprio od anche e nella battuta d’inizio al primitivo, semplice, sano ed ineguagliabile vangare/dissodare? Proprio in quelle sue potenti parole: «Il ribelle è l’uomo concreto che agisce nel caso concreto… Tutto diventa semplice… L’incontro con il proprio io, con il nucleo inviolabile, l’essenza di cui si nutre il fenomeno temporale e individuale… l’essere umano, la comunanza… l’identità»? O che mia nonna, birbantella, lo avesse segretamente letto Il Trattato del Ribelle tanto, quanto e quando da portarmi, bimbetta, usualmente a far cicoria nei prati con un vecchio coltello storto ed arrugginito ed insegnandomi così ad essere, nella nuda ripetizione del gesto silenzioso e concentrato nella sua essenziale nervatura, perfettamente allineata all’asse della lucidità mentale e fisica in rapporto all’universo terra ed al suo oltre meridiano zero? «Bisogna essere liberi per volerlo diventare perché la libertà è esistenza» e se per giungere a «la libertà di dire no», alle «mete vicine e lontane» senza che «l’essere venga distrutto nell’uomo… lo spirito intaccato…» è indispensabile il ri-uso di un attrezzo agricolo e come referente zucchine e cetrioli, ben vengano tutto e tutti. Non ci sarà nulla da perdere ma alfine e nell’in-sicurezza qualcosa nondimeno da guadagnare. Foss’anche, all’inizio, una sola ed eterea cipollina, splendidamente armonica nel suo pur sempre arcano effluvio…
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