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L’Armata del Sud

Aprile 12
12:15 2010

Nel secolo XIX la città di Napoli era una capitale europea con circa quattrocentocinquantamila abitanti. Era solare e piena di vita. Le strade erano sempre piene di gente ottimista che tirava a campare. Certo c’è la miseria, ma c’è anche a Londra, a Parigi e a New York, ci sono gli accattoni ma c’è tanta abbondanza di frutta e verdura e per chi ne ha voglia ci sono le telline fra gli scogli per cui alla fine qualcosa da mangiare a casa si porta. Gli antichi vicoli dei quartieri spagnoli non sono consigliabili ma a Parigi e a Londra succede anche di peggio. La gente lavora e vi sono molti artigiani, l’economia è prevalentemente agricola ma si stanno sviluppando le industrie tessili e meccaniche. La colonna sonora di questo quadro è la tarantella. Un momento di festa importante sono le parate militare a Campo di Marte. Il fiore all’occhiello di questo regno è l’esercito, il re Ferdinando II ha resistito agli attentati, alle congiure, alle rivolte, ai mazziniani e al quarantotto. Quando era ancora principe ereditario poco più che diciottenne ne divenne comandante dopo la partenza degli austriaci in seguito ai moti del 1820-1821. Per celebrare le nozze con Maria Cristina di Savoia ha organizzato una grande rivista militare. Salito sul trono riorganizza l’esercito. La formazione degli ufficiali avviene presso il real collegio militare della Nunziatella, quella dei sottufficiali avviene presso la scuola militare di San Giovanni a Carbonara. L’esercito è formato da volontari stranieri svizzeri e bavaresi, da volontari e coscritti provenienti dai comuni del Regno tra i 18 e i 25 anni. La ferma di fanteria dura cinque anni, per l’artiglieria, la cavalleria, il genio e la gendarmeria la ferma è di otto anni. Sono esentati dal servizio i figli unici, i coniugati, gli ecclesiastici, coloro che fanno parte delle scienze e delle arti liberali e i criminali. È vietato non solo battersi a duello ma prendervi anche parte come padrini e assistenti. Ne emerge un esercito moderno e ben organizzato. L’organico in tempo di pace si aggira intorno ai sessantamila uomini, tra gli ottantamila e i centomila in tempo di guerra. Nel regno sabaudo e fino alla prima guerra mondiale solo gli aristocratici possono intraprendere la carriera da ufficiali, mentre nell’esercito delle Due Sicilie sono molti gli ufficiali di estrazione borghese o contadina e possono raggiungere gli alti gradi. I migliori ufficiali sono quelli dell’artiglieria e del genio mentre l’ufficio topografico è tra i primi in Europa. I sottufficiali possono avanzare di grado. Le paghe per gli ufficiali però sono basse rispetto agli altri eserciti europei. Il Regno delle Due Sicilie secondo Ferdinando II è protetto su tre lati dall’acqua salata e per un lato dall’acqua santa, in questa situazione l’esercito interverrà solamente per risolvere problemi di ordine pubblico dentro i propri confini. Per esempio interverrà durante l’epidemia di colera a Penne e in Sicilia, nelle insurrezioni di Cosenza, Reggio Calabria e Gerace e nell’insurrezione del 15 maggio 1848 a Napoli. Al di fuori dei confini l’armata napoletana combatterà a Goito, a Curtatone e a Montanara contro gli austriaci e poi metteranno in fuga i mercenari di Garibaldi a Palestrina e Velletri durante l’effimera Repubblica Romana. Ma l’esercito per Ferdinando II sarà anche fonte di amarezze. Vito Romano, Francesco Angellotti e Cesare Rossarol saranno promotori di un attentato contro il re. Il primo morirà suicida mentre gli altri due condannati a morte verranno graziati. L’8 dicembre 1856 un soldato calabrese di nome Agesilao Milano ferì il re con un colpo di baionetta. Il colpevole venne arrestato subito mentre il re resta a cavallo fino alla fine della rivista per non creare il panico. Per celebrare i venti anni di regno di Ferdinando II viene pubblicato Tipi militari dei differenti corpi che compongono il reale esercito e l’armata di mare di S. M. il Re del Regno delle Due Sicilie di Antonio Zezon. Per l’immaginario collettivo napoletano l’esercito napoletano è legato alla riconquista. I vecchi raccontano ai nipoti del giorno in cui don Carlo di Borbone figlio di Elisabetta Farnese che una volta acclamato re dal popolo si inginocchia di fronte a San Gennaro, è il 10 maggio 1734. Due settimane dopo le forze borboniche sconfiggono le forze austro-russe a Bitonto e l’anno dopo gli austriaci a Velletri. Per celebrare la vittoria don Carlo istituisce l’ordine militare di San Carlo ma deve accantonare il progetto di un esercito nazionale per il parere contrario del ministro Tanucci. Per sistemare la flotta, Ferdinando IV chiama il comandante inglese John Francis Edward Acton che riorganizza la flotta. Il generale Parisi nel 1787 trasforma la scuola degli ingegneri militari della Nunziatella in accademia militare. Per riorganizzare l’artiglieria viene chiamato il colonnello Pomereul e per il genio viene chiamato il generale Duportail. Nel 1793 durante l’assedio di Tolone a fianco degli inglesi vi saranno ufficiali borbonici. Durante le guerre napoleoniche vi saranno molti napoletani che combatteranno in Spagna da ambo i fronti e in Russia e non pochi seguiranno Murat fino alla sconfitta di Tolentino. Nel 1820-1821 l’esercito napoletano al comando di Guglielmo Pepe sarà coinvolto nei moti, ma l’esercito austriaco del generale Frimont sconfiggerà i ribelli a Rieti e ad Antrodoco. Un luogo comune della storia dei vincitori è l’esercito di Franceschiello, presentato dalla storiografia come una sorta di armata Brancaleone. L’esercito di Francesco II, a differenza di quello venuto fuori dall’unità d’Italia che collezionerà batoste su batoste, era una macchina militare efficiente. Passino per esempio gli accordi sottobanco tra il contrammiraglio piemontese Persano per il passaggio alla marina sabauda della flotta e di tutti gli ufficiali, passi che l’impresa di Garibaldi e dei suoi mercenari sia stata sottovalutata, passi la decisione del generale Landi che a Calatafimi fece ritirare i Cacciatori pressoché imbattuti, passi lo strano comportamento dei generali Briganti e Vial che a Soveria Mannelli si arresero, passi la scelta di non bloccare Garibaldi e i suoi mercenari sulla linea Salerno-Avellino che ha praticamente spianato la strada a Garibaldi per Napoli. Tutto questo ha mostrato un esercito allo sbando ma non è così. Francesco II abbandonò la capitale per evitarle ulteriori lutti e rovine. I soldati, gli ufficiali e i sottufficiali fedeli a re Francesco II si batteranno con coraggio sul Volturno, a Gaeta, Messina, Civitella del Tronto. Una volta finita la guerra questi eroi che non si rassegnano alla resa si daranno alla macchia per proseguire la guerra e il nuovo governo liquiderà la cosa come atti di brigantaggio. L’Esercito napoletano era una macchina da guerra valida ed efficace. La “Reale Accademia Militare” (attuale scuola militare della Nunziatella) era una fucina di comandanti ed eroi. A questa accademia si affiancavano la Reale Accademia della Marina, le scuole di tiro, di ginnastica, di scherma, di equitazione, di artiglieria e del genio. Si trattava di uno strumento ben organizzato e serio. Una storiografia risorgimentale faziosa fatta di luoghi comuni e poco seria purtroppo non ha approfondito il giudizio. Purtroppo anche il miglior esercito può essere soggetto di sfortune per molti fattori che sono da imputare alla mancanza di uno stato maggiore autorevole e all’incapacità di perseguire un obiettivo chiaro. Con questo lavoro non voglio restaurare i Borboni sul trono di Napoli ma voglio dare quell’onore delle armi negato a questi soldati, che sono stati tacciati ingiustamente di codardia e di scarso spirito combattivo. Concludendo voglio aggiungere una cosa sui Savoia. Durante la seconda guerra mondiale, Vittorio Emanuele III aveva conservato i suoi conti nei depositi della Hambros Bank di Londra. Una banca di una nazione in guerra contro l’Italia. Si trattava di ben 3 miliardi di lire dell’epoca, frutto di un’assicurazione sulla vita stipulata da Umberto I, padre di Vittorio Emanuele III. Dopo l’assassinio del padre per mano dell’anarchico Gaetano Bresci, Vittorio Emanuele III intascò un milione di sterline. Le lasciò in deposito a Londra anche dopo l’inizio della seconda guerra mondiale. Il governo inglese che aveva congelato tutti i beni italiani lasciò quel credito privato libero come se si fosse trattato del deposito di un normale cittadino britannico. Soldi che i Savoia e gli eredi poterono utilizzare durante l’esilio per vivere di rendita. Mussolini a proposito di quel deposito disse «Il re desidera la vittoria inglese, del Paese dove deposita i suoi ingenti capitali». Segnalo che sessanta anni dopo il giovane rampollo di casa Savoia Emanuele Filiberto ricordato più per le sue comparsate a Sanremo e “ballando con le stelle” e per la pubblicità dei sottaceti ha avuto il coraggio di chiedere un risarcimento allo stato italiano per l’esilio.

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