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L’amore vince su tutto

Settembre 18
23:00 2008

Ester era una ragazza sensibile ed intelligente che amava più di ogni altra cosa leggere. Soleva trascorrere gran parte del suo tempo libero leggendo qualsiasi cosa le capitasse tra le mani. Che un libro trattasse di Scienza, Storia o Botanica non aveva importanza per lei; le piaceva acculturarsi, conoscere cose nuove e soprattutto lasciarsi trasportare dalle ali della fantasia in luoghi immaginari, tra personaggi valorosi e situazioni verisimili. Attraverso la lettura curava il suo spirito: non mancavano, infatti, nella sua vasta collezione, dei testi di natura spirituale che le facevano espandere l’animo fino a farle desiderare fortemente di poter realizzare qualcosa di buono per gli altri e di poter, in questo modo, divenire interiormente ricca. Nonostante possedesse numerose cose materiali, non era pienamente soddisfatta di se stessa e anelava a liberarsi dalle vanità della vita, così opprimenti e dannose per il suo giovane carattere. Se ne avesse avuto la possibilità, avrebbe volentieri rinunciato al caldo letto in cui dormiva ogni notte e offerto i suoi denari al primo bisognoso che avesse incrociato per la strada. Finora, purtroppo, a fronte di tutti i suoi buoni propositi, aveva prevalso in lei l’aspetto egoistico del cuore umano: la quotidianità, con le sue pressanti necessità e incombenze, l’aveva distolta dal suo obiettivo e, così, la sua vita trascorreva come quella della maggior parte delle persone, tra preoccupazioni, affanni di ogni genere e acquisti di oggetti superflui che, una volta entrati in suo possesso, non avrebbero più avuto alcun’attrattiva. Assorta com’era dagli impegni giornalieri, dimenticava quello che si celava nel suo cuore e rivolgeva il pensiero altrove, cercando sempre nuove distrazioni che potessero distoglierla dal riflettere su se stessa. Prendere coscienza di essere insoddisfatta non era semplice. In fondo, cos’altro poteva desiderare? Viveva in una bella casa, sebbene non fosse eccessivamente spaziosa, possedeva un’intelligenza profonda e penetrante, il suo aspetto era gradevole all’occhio, gli elogi non le mancavano…eppure c’era qualcosa che la assillava, qualcosa di inspiegabile. A volte le sembrava di sprecare la raffinatezza del suo carattere e la profondità del suo percepire gli avvenimenti esterni e di disperdere tutti gli aspetti positivi della sua indole in piccinerie di poco conto.
Aveva il presentimento di essere destinata a qualcosa di grande per cui tutto ciò che le serviva era la bontà, la forza d’animo e il coraggio; di tanto in tanto questa percezione le si palesava in tutta la sua prepotente chiarezza e sembrava mostrarle una strada, una via irta e faticosa da percorrere: quella della condivisione. L’occasione per realizzare le sue più intime aspirazioni le si presentò durante una fredda giornata di dicembre; camminando in una zona periferica piuttosto isolata, nella quale si era imbattuta per sbaglio, intravide in un angolo una donna che se ne stava rannicchiata: indossava un logoro cappotto nero, poco indicato per quel periodo piovoso e gelido dell’anno, e un paio di guanti bacati con i quali tentava invano di coprirsi le mani arrossate. L’aspetto esteriore di quella donna non dovette sembrarle dei migliori, poiché, quasi in preda alla paura, fece per andarsene, ma si bloccò quando poté scorgere meglio il volto della barbona; rimase incantata dalla bellezza del viso, dal colore degli occhi così come dalla delicatezza dei tratti somatici. Subito si domandò per quale ragione una così bella donna versasse in condizioni talmente miserevoli e le si accostò a piccoli passi, guardandola con fare circospetto. Quale fu il dialogo che le due intrattennero non è dato sapere ma quello che è certo è che da quel momento in poi la ragazza si recava ogni giorno in quel luogo isolato e buio, alla stessa ora del pomeriggio, con una cesta di viveri sotto il braccio e un libretto nella tasca destra del cappotto dal titolo “L’Ave Maria”.
Lì, tra il fetore dell’immondizia e il sudiciume dei cartoni, trascorreva le ore più belle del giorno e le pareva di toccare il cielo con un dito, tanto si sentiva felice e appagata; soltanto lì poteva essere realmente se stessa, libera dalle convenzioni sociali e dall’ipocrisia che spesso domina i rapporti umani.
Dopo un lauto pasto che tutti i giorni, inclusa la domenica, Ester si preoccupava di portare alla sua ormai amica barbona, seguiva la lettura di alcune preghiere ad alta voce da parte della ragazza, che sapevano suscitare un vivo interesse nella donna la quale, dal canto suo, non le aveva mai udite recitare da nessuno con quel tono melodioso e pacifico quale apparteneva alla sua giovane benefattrice.
Trascorsero dei giorni, il periodo natalizio si avvicinava rapidamente e i decori delle strade, i lumi nei negozi, le richieste pretenziose dei bambini che, con il naso schiacciato contro le vetrine, reclamavano indicandolo il loro regalo, facevano sorridere Ester: ormai questi segni esteriori non la toccavano più, era diventata insensibile a qualsiasi dono ed oggetto, ad eccezione del presepe, e quando camminava per le strade e le capitava di incrociare lo sguardo altrui, aveva l’impressione che le stessero leggendo negli occhi il gran segreto che portava dentro. Per molti sarebbe stata una perdita di tempo, ma per lei era tutto. Le visite alla barbona la rendevano soddisfatta e avevano un effetto benefico per tutta la sua persona.
Aveva portato già da qualche tempo tre statuine dipinte a mano raffiguranti la Sacra Famiglia – un regalo che aveva ricevuto da una zia – presso la donna; le aveva sistemate, insieme ad una candela votiva, sopra un pezzo di stoffa decorato a festa. Non mancavano, ovviamente, quotidiani dolcetti e pasti. Da quando riceveva le sue visite, la dolce signora dal bel viso, come amava definirla Ester tra sé e sé, aveva acquistato un nuovo e vivace colorito sulle gote e un accenno di sorriso le compariva talvolta sulle labbra. Spesso la stava ad ascoltare mentre le leggeva un brano della Bibbia o una storia, o ancora delle belle frasi sagge da tenere in mente o un raccontino spiritoso, e allora dimenticava la sua condizione, il freddo, la dignità calpestata.
Un giorno Ester ebbe l’ardire di chiederle cosa le fosse accaduto, cosa l’avesse spinta a condurre una vita tanto grama; seppe che un tempo la donna, il cui nome era Rosa, era stata innamorata. Purtroppo l’uomo non volle più saperne di lei e le spezzò il cuore: la ferì a tal punto da non lasciarle più speranza in nulla, da costringerla a vagare senza meta con la pena come unica compagnia. Commossa, la ragazza non aveva parole di consolazione. Si limitò a trascorrere tutta la serata accanto alla sua amica, la quale dava mostra di una grande compostezza, nonostante il dolore. Le confidò, oltre alla propria storia, che le faceva un immenso piacere ricevere le sue visite e che era molto cara nei suoi confronti. Non era mai stata trattata con tanto amore come le accadeva ora, nessuno l’aveva più guardata con interesse e tutti le passavano accanto ignorandola; lei l’aveva fatta sentire un essere umano pieno di dignità, una donna come tutte le altre, degna di ricevere affetto e cure.
Ester aveva finalmente capito cosa fosse veramente importante nella vita di una persona. Al termine dell’esistenza – pensava – non porterò con me averi e ricchezze ma l’Amore puro, rivolto senza esclusione ad ogni essere umano. Questa è la più grande conquista che una persona possa fare, e lei lo sapeva. Le preoccupazioni e le ansie si erano allontanate dal suo cuore. “L’amore vince su tutto”, pensava.

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