L’adorazione dei pastori e l’adorazione dei magi
L’adorazione dei pastori (o l’omaggio degli umili) e l’adorazione dei magi (o il riconoscimento dei potenti della terra) opere di Lucas de La Haye (detto fra Luca Fiammingo) del sec. XVII a Monte Compatri nel Convento S. Silvestro
Per chi nel periodo Natalizio decidesse di fare una bella passeggiata artistica si consiglia di visitare Monte Compatri, paese dei Castelli Romani distante appena una ventina di km dalla vicina Roma e precisamente di andare a vedere, tra le tante bellezze storico- artistiche e culturali che offre il paese, il Convento di San Silvestro. Il primo insediamento del Convento risale al ‘400, ma fu nel 1604 che Papa Clemente VIII Aldobrandini accolse la richiesta del Venerabile Padre Pietro della Madre di Dio, Commissario apostolico della Congregazione d’Italia dei Carmelitani Scalzi, destinandolo ad eremo.
Perché si consiglia questo Convento per le festività natalizie?
È presto detto: in questo Convento sono custodite molte opere sia all’interno della Chiesa sia nella retrostante pinacoteca con collezione, quasi interamente seicentesca, di scuola caravaggesca e manierista, (un tempo custodiva anche il dipinto di Gherardo delle Notti rappresentante San Giuseppe falegname e Gesù bambino, trafugato pochi anni fa), ma qui in particolare si vuole porre l’attenzione su due opere poste ai lati dell’altare maggiore che rappresentano due storie di Cristo: l’Adorazione dei pastori (o l’omaggio degli umili) e l’Adorazione dei Magi (o il riconoscimento dei potenti della terra) entrambe opere di Lucas de La Haye ( detto Fra Luca Fiammingo) del sec. XVII (Nivelles 1612- Roma 1682), maestro dalle doti raffinate attivo in Italia nel corso del Seicento.
Essendo un frate carmelitano scalzo le sue opere furono assai richieste dal suo ordine, nonché da nobiluomini e ricchi mercanti del tempo. Si tratta di due dipinti su tela con pittura a olio, considerati due beni storico/artistici per il Ministero dei Beni Culturali.
L’adorazione dei pastori ( l’omaggio degli umili) è un evento della vita di Gesù descritto nel Vangelo di Luca (2,8-20[1]): al momento della sua nascita a Betlemme alcuni pastori vengono avvertiti dell’avvenimento da un angelo e si recano ad adorare il neonato. Il Vangelo di Luca è l’unico dei Vangeli canonici a narrare l’episodio. Mentre alcuni pastori vegliavano all’aperto sorvegliando il gregge, un angelo gli appare ed essi si spaventano. L’angelo li tranquillizza e dice loro che a Betlemme è nato un Salvatore, Gesù; gli dà anche un segno, che a Betlemme avrebbero trovato un bambino avvolto in fasce e adagiato in una mangiatoia. Subito dopo appare un gruppo di angeli, che cantano le parole “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama”. Dopo che gli angeli sono spariti, i pastori decidono di recarsi a Betlemme a visitare Gesù e ritornano al loro gregge pieni di gioia, lodando Dio. Le persone che ascoltavano i pastori si meravigliavano di quello che dicevano. Di solito l’adorazione dei pastori rappresenta l’omaggio degli umili, della povera gente più vicina a Gesù, i pastori infatti erano una delle categorie più basse della scala sociale. C’è inoltre un parallelo con Davide: il grande re d’Israele da ragazzo era un pastore, mentre Gesù nacque tra i pastori. Infine, l’episodio prefigura la missione di Gesù, che diventerà un pastore di uomini.
Nell’arte molti hanno dipinto “L’adorazione dei pastori” ricordiamo tra gli altri: Andrea Mantegna, Correggio, Tiziano Vecellio, Domenichino, Luca Giordano, Francesco De Mura, Caravaggio, Daniele Crespi, Peter Paul Rubens, El Greco, Cima da Conegliano, Jusepe de Ribera, Fabrizio Santafede, Niccolò de Simone, ecc.
L’Adorazione dei Magi ( il riconoscimento dei potenti della terra) è un tema artistico biblico, che raffigura i Re Magi presso la grotta di Betlemme con Gesù bambino, Maria e Giuseppe. L’episodio compare nel Vangelo di Matteo (Mt 2:1-12[1]) nel libro del Nuovo Testamento. Rifacendosi come tema all’epoca delle scoperte, rappresenta anche l’allegoria dei diversi mondi conosciuti: Baldassarre è raffigurato come un giovane africano (un Moro), Gaspare spesso ha una fisionomia chiaramente orientale e Melchiorre i tratti europei. L’Adorazione dei Magi, cioè la celebrazione della festa dell’Epifania in cui, secondo Sant’ Agostino, tutti i popoli rispondono alla chiamata di Cristo.
Nella Bibbia (1Pietro 5) leggiamo: “Rivestitevi tutti di umiltà gli uni verso gli altri, perché Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili”.
Ma chi sono gli umili?
La storia da sempre ci mostra gli umili, come derelitti, oppressi emarginati dalla società e ignorati dal potere costretti ad esistere e non più a vivere. Li abbiamo visti trasportare massi sotto le frustate, nel periodo egizio e ridotti a schiavi in quella Grecia che sarebbe diventata la culla della nostra civiltà. Erano loro che divertivano i potenti nel grande Impero Romano e quelli che morivano di malattie, maltrattati, derisi e abbandonati da tutti, forse anche da quel Dio in cui credevano ciecamente.
Nella società di oggi, l’umiltà è considerata un difetto, una “mancanza” di stima e fiducia in sé stessi, di affermazione personale e capacità di iniziativa. Ma la realtà è che è vero esattamente il contrario. Al punto che l’umiltà viene inserita dagli addetti ai lavori tra le potenzialità imprescindibili di un leader di successo.
Perché l’umiltà è una qualità da coltivare e praticare?
Nel pensiero comune, essere umili vuole dire essere privi di ambizione, deboli, sottomessi e arrendevoli. Tutti “disvalori” che impediscono di trovare, esprimere e realizzare sé stessi e la propria visione. Questa lettura è una interpretazione travisata della “modestia” predicata dal cristianesimo ed è – soprattutto – una visione parziale.
Con una piccola ricerca si può presto verificare che la parola “umiltà” ha un significato molto più complesso e che una definizione che ricorre sempre riguarda la capacità di riconoscere i propri limiti. Ben lontano dall’essere un imbelle destinato a una vita nell’ombra, l’umile è – al contrario – un individuo che ha consapevolezza di sé – di chi è e non è, di cosa ha e non ha – e da questo presupposto parte per crescere, migliorare e realizzare sé stesso. Ma non solo.
L’umiltà intesa come “capacità di riconoscere i propri limiti” porta con sé anche un’apertura nei confronti degli altri priva di invidia e pregiudizio e un’attitudine positiva nei confronti della realtà che permette di imparare da ogni esperienza. Inoltre mette al riparo dalla trappola della ricerca di accettazione e benevolenza a ogni costo e permette di pensare e agire in maniera libera e coerente con sé stessi.
L’umiltà in quanto consapevolezza di sé e dei propri limiti è una potenzialità di enorme valore tanto nella sfera privata che in quella professionale. La capacità di riconoscere e accettare le proprie mancanze e i propri errori non è solo il primo e fondamentale presupposto per imparare ed evolvere come persona e lavoratore, ma anche per instaurare e coltivare relazioni costruttive e arricchenti.
Essere umili vuole dire riconoscere a ciascuno qualità peculiari e competenze specifiche e collaborare per raggiungere uno o più obiettivi condivisi. Un comportamento che porta con sé la capacità di ascoltare con rispetto, in maniera imparziale e partecipata le idee e i punti di vista di chi sta intorno e di comunicare con chiarezza, trasparenza ed equità.
L’umiltà alimenta l’empatia e svolge un ruolo cruciale nello sviluppo dell’intelligenza emotiva e della mentalità aperta e flessibile che sta alla base della capacità di abbracciare il cambiamento e dell’abilità di diventare più forte e migliore dopo un evento destabilizzante.
Come coltivare l’umiltà?
L’umiltà è una potenzialità e può essere appresa, coltivata e accresciuta. Ma in che modo? Il primo passo consiste nell’uscire dalla comfort zone e prendere atto in maniera oggettiva e realistica dei propri fallimenti. Nascondere le sconfitte o fingere che non ce ne siano mai state non solo impedisce di cogliere una preziosa opportunità di crescita, ma fa vivere l’illusoria convinzione di essere migliori e di non avere nulla da imparare dagli altri. Avere l’onestà intellettuale di ammettere di avere sbagliato e fare tesoro dei propri errori è un requisito fondamentale dell’umiltà.
In maniera analoga lo è anche riconoscere le competenze e le capacità degli altri e celebrare i loro successi. Essere invidiosi e svalutanti è un comportamento distruttivo, che non porta valore aggiunto a nessuno e consuma tempo ed energia che – al contrario – possono essere dedicati a una emulazione costruttiva.
Ammettere di avere bisogno di aiuto, evitare di giudicare, condividere informazioni, risorse e successi sono altre “buone abitudini” utili a imparare e sviluppare l’umiltà. Così come riconoscere che la perfezione non esiste e agire in maniera rispettosa e gentile.
Quanto diventa allora attuale il tema che ci ha voluto mostrare nell’Adorazione dei pastori (o l’omaggio degli umili) e nell’Adorazione dei Magi (o il riconoscimento dei potenti della terra) Lucas de La Haye? Davanti al Signore siamo chiamati tutti, umili e potenti. Quindi l’altare con le sue due pale avvolge tutti senza distinzione di nessun tipo perché siamo tutti uomini uguali di fronte al Signore. Cosa vogliono insegnarci queste opere del ‘600 già allora come messaggio simbolico valido ancora oggi?
In una società competitiva e unicamente concentrata sulla performance. Se non fai figli, non vai bene; se non ottieni determinati risultati sul lavoro, sei un perdente; se non arrivi alla laurea, non vali a nulla. Chi riesce a soddisfare ogni criterio imposto dal pensiero comune, è considerato in linea con le aspettative; chi no, a volte è spinto a ricorrere a imbrogli per mettersi in pari; altre invece si annienta (sono recenti gli episodi di giovani ragazzi che hanno deciso di togliersi la vita, perché si sentivano dei falliti rispetto al loro percorso universitario). Si scambia l’autostima con il livello di realizzazione. Tendiamo a idealizzare le persone con i risultati che riportano in qualsiasi ambito, tutto viene ridotto a un numero, ricalcando il modello dei social, che misurano il valore e il potere di un «profilo» sulla base del bacino di follower a disposizione. E trattiamo chi «nella vita riesce» come fosse un sovrumano, dimenticandoci invece che nessuno è perfetto, e se nessuno lo è, allora tutti lo siamo. Allora bisogna riportare l’umanità al centro, il Gesù al centro della natività. Come? Rispolverando un valore, una virtù che spesso non viene presa in considerazione, perché piccola piccola come la parte di fiato che occorre per pronunciarla: l’umiltà.
L’umiltà è il valore di partenza che può aiutare a ritrovare la prospettiva e a non dare la priorità al successo personale rispetto ad altre virtù essenziali, come l’integrità, l’onestà e il servizio. Conta ciò che siamo, non cosa abbiamo, non l’apparenza. Siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio.
Dal Vangelo secondo Matteo abbiamo: “Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero”.
E ancora sempre dal Vangelo di Matteo troviamo scritto: “Il più grande tra voi sia vostro servo; chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato”.
Nella Bibbia (Giacomo 1) troviamo scritto: “Il fratello di umili condizioni si rallegri della sua elevazione e il ricco della sua umiliazione, perché passerà come fiore d’erba. Si leva il sole col suo ardore e fa seccare l’erba e il suo fiore cade, e la bellezza del suo aspetto svanisce. Così anche il ricco appassirà nelle sue imprese”.
Ma rendiamolo più attuale, ricordate la lezione del filo d’erba di Zerocalcare? «Ma non ti rendi conto di quant’è bello? Che non ti porti il peso del mondo sulle spalle, che sei soltanto un filo d’erba in un prato? Non ti senti più leggero?», diceva Sarah al protagonista. Ecco, questo pensiero tanto semplice quanto potente, costringe a essere intenzionali con il proprio tempo limitato su questa terra e a concentrarsi su ciò che conta davvero. Siamo ciò che siamo, possiamo essere meglio, a patto di concentrarci sull’essere, appunto.
Non ci sono commenti, vuoi farlo tu?
Scrivi un commento