L’acqua va al mare. Altro che svolta ecologica, le multinazionali dei veleni prosperano
Gli operatori delle ditte appaltatrici arrivano di notte, zitti zitti come la Befana; poi fiuuu, un soffio leggero. Dopo qualche giorno ogni filo d’erba è riarso, lumache e altri abitanti dell’ecosistema (sic) cotti a puntino senza bisogno di sughetti. In compenso, per un naturale effetto di mitridatismo, sopravvivono o spuntano a dispetto erbacce-arbusto dure come legno.
Direte: ma è tutto in regola, prodotti permessi, contratti regolari, operazioni compiute su terreno di competenza Anas. No, forse non è proprio così. A parte che molte cose apparentemente regolari quando vengono analizzate da giudici di buona volontà mostrano qualche incrinatura, ci sono diverse altre ‘sfumature’, per così dire, che nascondono problemi o danni, o pericolo di danni.
Qualche anno fa l’attività velenifera era così sfacciata da aggredire anche parti delle proprietà a confine con danni diretti inequivocabili a piante, viti ecc. Ora viene prestata maggiore attenzione, ma i guasti restano, diretti e indiretti. Riguardo ai primi va segnalato il cedimento di molte scarpate o pendii, che, non essendo più inerbiti, senza il freno delle radici si sbriciolano. I danni indiretti, diciamo meno invasivi a una constatazione superficiale, sono forse i più violenti e indegni in relazione a quello che si chiama (forse solo si chiama) il Bel Paese.
Non ci incarteremo sul discorso giuridico di interessi o diritti, ma certamente esiste un’esigenza della persona a godere dello spazio con il quale viene a contatto nella maniera esteticamente più favorevole. E non c’è dubbio che percorrere o vedere strade, o spazi contigui, brulli o verdi incide significativamente sulla qualità della vita – altra locuzione ‘dissociata’, sempre ripetuta e pochissimo praticata. Esistono norme che impediscono che dalle proprietà private vi siano emissioni nocive (di fumi, rumori…) che danneggino altre proprietà e persone. Perché non un illecito di ‘visione nociva’? Ma c’è di più.
È vero che l’Anas opera su terreno formalmente di sua proprietà, ma in realtà si tratta, a ben vedere, di una sorta di proprietà limitata, di una proprietà ‘per conto terzi’. E chi sono i terzi? Tutti i cittadini che hanno pagato o pagano per la realizzazione del patrimonio pubblico. Ergo l’intervento lesivo, nella speciale accezione sopra indicata, viene effettuato nella proprietà di ognuno di noi. Sofismi? Ognuno valuti; certamente, occhi aperti.
Ancora due note. Perché non tornare all’antico (spesso viene prudentemente fatto: per esempio il ritorno al classico voto a scuola) con una ragionata e ragionevole rete di dipendenti, gli ex ‘cantonieri’ o ‘stradini’, che curino costantemente e tempestivamente il territorio? Si realizzerebbe il doppio obiettivo di creare posti di lavoro stabili e di operare in maniera ecosostenibile. Certo salterebbero appalti volanti e ‘acqua’ che va al mare delle multinazionali.
Infine, perché la stessa solerzia e puntualità nell’irrogare veleni, magari con il crisma della legalità, non si verifica nella pulizia dai copiosissimi rifiuti incivilmente abbandonati? Pulizia adesso rimessa alla diligenza dei proprietari confinanti più civili ma forse, per colmo di controsenso, irrisi nel nome del comune senso dell’indecenza.
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