L’Accademia di Roma – 1
Percorrendo via di Ripetta da piazza Augusto Imperatore, proprio appena imboccata la stretta via che costeggia il lungotevere fino a Piazza del Popolo, sulla sinistra si apre un piccolo emiciclo contornato da un edificio ottocentesco, costruito alla fine degli anni Quaranta del secolo XIX e denominato, per la sua forma, “Ferro di cavallo”. Al centro dell’emiciclo si apre un imponente cancello in ferro, sulla cui sommità si legge: Accademia delle Belle Arti. Guardando il cancello, sulla sinistra l’ingresso al Liceo Artistico mentre, sulla destra, l’ingresso all’Accademia. Mi dirigo verso quest’ultimo.
Al cellulare il professor Michele de Luca mi indirizza verso la sua aula: devo salire fino all’ultimo piano, percorrendo una scalinata imponente protetta da una artistica ringhiera in ferro battuto. Salendo le scale il mio sguardo è catturato da statue e altorilievi disposti nei pianerottoli. Sono copie di capolavori ottenute con calchi in gesso eseguiti sugli originali nel secolo XIX. Sono esse stesse delle rarità – come mi spiegherà più tardi Michele – proprio perché i calchi sono stati fatti sulle opere originali. Una tecnica che ora non si usa più, troppo dispendiosa e pericolosa. Sembrano quasi gli originali stessi! Il Laocoonte, la Porta dei Leoni di Micene, altorilievi di Luca della Robbia. Queste alcune soltanto delle preziose riproduzioni che è dato ammirare al visitatore lungo le scale e i corridoi dell’Accademia. Arrivato all’ultimo piano, mi soffermo a guardare fuori del grande finestrone delle scale che si apre su un cortile interno. Giù un caffè con tavolini occupati da studenti con i loro fogli da disegno, uno spazio ricreativo integrato nel contesto culturale dell’Accademia, dove ancora una volta è l’incontro fra allievi e maestri ad essere protagonista della scena. «Un luogo aperto in senso ideale, cioè scevro di pregiudizi, di etichette e di dogmi, quasi come se il fare pittura insieme in bottega sia la scusante per elaborare il dialogo, il rifugio della libera mente» . Questa è, e appare al visitatore, l’Accademia di Roma, come molto efficacemente la definisce il suo direttore, Gerardo Lo Russo. Accanto al caffè la Scuola Libera del Nudo, una istituzione affiliata all’Accademia, ma autonoma, nata per dare l’opportunità a qualunque cittadino di apprendere l’arte del disegno del nudo dal vero. L’iscrizione prevede un corso di disegno per la pittura e di disegno per la plastica di 300 ore annuali ciascuno. Inoltre, gli iscritti possono, facoltativamente, frequentare all’interno dell’Accademia i corsi di Anatomia artistica, Tecniche dell’incisione, Disegno, Elementi di morfologie e dinamiche della forma. Non viene rilasciato un diploma ma un semplice attestato di frequenza. Per l’iscrizione, invece, è necessario superare un esame d’ammissione. Finalmente giungo all’ultimo piano e mi ritrovo in un labirinto di grandi aule affollate da studenti e studentesse di ogni nazionalità, intenti alle loro opere di pittura, di incisione, di disegno. All’improvviso si entra in un mondo molto diverso da quello appena lasciato fuori delle grandi vetrate delle aule. Sembra di essersi catapultati in una grande soffitta da bohemien, quasi un enorme palcoscenico dove si sta allestendo uno spettacolo ambientato nella Parigi ottocentesca degli artisti: uno spazio caoticamente occupato da decine di cavalletti con tele coloratissime di tutte le dimensioni, da tavoli colmi di disegni e tavolozze di colori, da tanti giovani di razze diverse ma dei quali non si notano le differenze etniche, perché tutti amalgamati dalla stessa passione per l’arte. Cinesi, iraniani, israeliani, americani, italiani: una vera torre di Babele dove, però, tutti si comprendono, perché parlano la stessa lingua: il linguaggio dell’arte. Mi sono smarrito, non riesco più a trovare la strada per raggiungere l’amico Michele. Chiedo a una ragazza dove posso trovare il professor De Luca. Gentilissima mi accompagna da lui, attraversando altre sale e sguizzando a destra e sinistra fra tavoli e cavalletti. Eccolo, Michele, al centro della sua aula e tutt’intorno i tavoli di lavoro dei suoi allievi, intenti a disegnare. Gira fra i tavoli soffermandosi qualche minuto su ognuno a dare consigli, a correggere un modo di tenere la matita, di impostare il disegno. L’atmosfera non è la solita del rapporto professore-studente, è diversa, è quella del dialogo amorevole fra maestro e allievo, è quella della bottega d’arte rinascimentale, dove l’arte viene insegnata al discepolo dalla viva mano del maestro. (Continua)
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