“La Zattera della Medusa” di Théodore Géricault
La salvezza là in fondo. Un piccolo punto all’orizzonte, quasi invisibile tra le onde dell’oceano. Ma lì, in quel piccolo pezzo di legno, solo morte, disperazione e terrore per una salvezza che forse non arriverà mai. Théodore Géricault trae il soggetto per “La Zattera della Medusa” da un fatto di cronaca: nel 1816 la nave francese Medusa salpa con la missione di riconquistare il Senegal, caduto in mano agli inglesi, ma a largo della costa africana naufraga. Dopo dodici giorni di stenti si salvano solo una manciata di uomini su un totale di centoquarantanove passeggeri. Géricault ha impiegato più di trent’anni di lavoro e svolto una tenace indagine sul campo per intervistare superstiti, approfondire lo studio sul corpo umano esaminando i cadaveri all’obitorio, tutto questo per dipingere la tela che verrà ricordata come il suo capolavoro e come il vero e proprio atto di nascita della corrente romantica. Il quadro è scisso in due gruppi ben distinti: quello in basso rappresenta la morte, con il padre meditabondo che abbraccia il corpo senza vita del figlio. Quello più in alto invece, culminante nel giovane che sventola degli stracci, rappresenta la salvezza. Che Géricault abbia posto alla sommità di questa ideale piramide umana assetata di vita un giovane mulatto è un gesto di indicibile audacia per la società francese apertamente razzista e che aveva appena reintrodotto lo schiavismo e la tratta dei neri. È anche per questo che al Salon di Parigi del 1819 il dipinto suscitò più critiche che pareri favorevoli?
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