LA VITA MALEDETTA di BENVENUTO CELLINI
LA VITA MALEDETTA di BENVENUTO CELLINI
La recente straordinaria opera di Alessandro Masi
“Noi non abbiamo altri libri che ci insegnino l’arte, oltre ciò che ci offre la natura”: queste sono parole di Benvenuto Cellini, che noi troviamo a pag. 222 del bellissimo libro di Alessandro Masi, celebre storico dell’Arte, scrittore e Segretario Generale della Società Dante Alighieri, il quale ci ha abituati ormai a godere delle sue pagine, che illuminano grandi personaggi da lui a lungo e meticolosamente studiati (ricordo al proposito il testo su Giotto, che ha avuto ampia diffusione e particolare attenzione tanto dagli addetti ai lavori quanto dai fruitori quotidiani; un interessante saggio sul libro è stato tradotto e pubblicato in lingua russa da Nataliya Nikishkina e Ekaterina Spirova, edito da Controluce diretta da Armando Guidoni, nella prestigiosa “Collana Internazionale”).
“Vita maledetta di Benvenuto Cellini” (Neri Pozza ed., ottobre 2023, pp. 240, E. 19,00) è la rilettura della travagliata esistenza del Cellini, resa in un linguaggio ricco di sfumature e di atmosfere liriche miste a un realismo che prende a viva forza, diviene storia di un uomo e di un’epoca: e in questo speciale “accordo strumentale” consiste la bellezza e la novità del volume. Infatti, se il protagonista è l’orafo, il musico, lo scultore Cellini, autore di una
autobiografia alla cui lettura si rimane coinvolti come fra “L’asino d’oro” di Apuleio e il “Viaggio sentimentale” di L. Sterne, con l’aggiunta dei colori avventurosi dell’epistolario di Filippo Sassetti; la coprotagonista è l’epoca, direi “un’epoca”, che Alessandro Masi ha saputo descrivere nei minimi particolari, sì che noi veniamo trasportati come per incantesimo nei luoghi molteplici abitati da Cellini e nelle società da lui visitate. Inoltre – e qui sta uno dei pregi rari a trovarsi oggi – il gusto spiccatissimo della lingua ci immerge nei tempi, con una padronanza del dettato narrativo che mette questo libro ai primi posti della letteratura contemporanea, poiché uno scrittore si qualifica e si riconosce per lo stile, che è “impulso biologico inconscio” come il Dna. Tanti romanzi odierni – se non conosci l’autore – li puoi scambiare per questo o quello scrittore; Masi è riconoscibile dall’impronta, come gli accordi del Parsifal di Wagner o la drammaticità potica dell’Otello di Verdi.
Ciò detto, appare l’uomo Benvenuto Cellini, irrefrenabile nel suo dinamismo contraddittorio e visionario, nella sua generosità, nella violenza d’una vita “maledetta” dalla fortuna, perché c’è sempre qualcosa a guastare i suoi piani, anche nella Roma dei Papi, anche alla corte mantovana di Federico II Gonzaga. Egli è un figlio riconoscente, un amante ambiguo che, tuttavia, ha una figlia, fratelli che lo precedono nella morte, affetti infranti, traditi da coloro ai quali aveva messo in mano i piccoli tesori del ricavato del suo lavoro. Ma Cellini conosceva il suo mestiere di orafo, che lo portò a creare capolavori, e pure un interessantissimo, basilare doppio Trattato, uno sull’oreficeria e l’altro sulla scultura (preziosi scrigni di antiche tecniche manuali che fanno luce ancora oggi sull’arte raffinatissima del cesellatore e dell’orafo). Ma quello che più coinvolge è la capacità (direi la sapienza) narrativa, la quale fa d’una vita maledetta e sfortunata quale quella di Benvenuto Cellini, un’occasione per dipingere un fondale storico di rara bellezza e conoscenza. I personaggi sono tutti vivissimi, anche le comparse e le folle, laddove esse esprimono i momenti più pericolosi (i coltelli e le morti non mancano nel contesto) e sono funzionali come la tessiturta stessa delle pagine, calibrate a misura, quasi che un metronomo interiore battesse il tempo alla mano del narratore: così ne deriva una scrittura polisemantica, ricchissima di significati e di moti interiori, che si legano alla perfezione con gli ambienti, gli stati d’animo, il Caso (o la Fortuna), le speranze e la forza di agire d’un uomo armato contro il destino e sorretto dalla passione di lasciare ai posteri il simulacro del meglio di sé: l’Arte che non muore.
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