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LA VITA MALEDETTA  di BENVENUTO CELLINI

LA VITA MALEDETTA  di BENVENUTO CELLINI
Aprile 28
18:43 2024

LA VITA MALEDETTA  di BENVENUTO CELLINI

La recente straordinaria opera di Alessandro Masi

“Noi non abbiamo altri libri che ci insegnino l’arte, oltre ciò che ci offre la natura”: queste sono parole di Benvenuto Cellini, che noi troviamo a pag. 222 del bellissimo libro di Alessandro Masi, celebre storico dell’Arte, scrittore e Segretario Generale della Società Dante Alighieri, il quale ci ha abituati ormai a godere delle sue pagine, che illuminano grandi personaggi da lui a lungo e meticolosamente studiati (ricordo al proposito il testo su Giotto, che ha avuto ampia diffusione e particolare attenzione tanto dagli addetti ai lavori quanto dai fruitori quotidiani; un interessante saggio sul libro è stato tradotto e pubblicato in lingua russa da Nataliya Nikishkina e Ekaterina Spirova, edito da Controluce diretta da Armando Guidoni, nella prestigiosa “Collana Internazionale”).

“Vita maledetta di Benvenuto Cellini”  (Neri Pozza ed., ottobre 2023, pp. 240, E. 19,00) è la rilettura della travagliata esistenza del Cellini, resa in un linguaggio ricco di sfumature e di atmosfere liriche miste a un realismo che prende a viva forza, diviene storia di un uomo e di un’epoca: e in questo speciale “accordo strumentale” consiste la bellezza e la novità del volume. Infatti, se il protagonista è l’orafo, il musico, lo scultore Cellini, autore di una

 autobiografia alla cui lettura si rimane coinvolti come fra  “L’asino d’oro” di Apuleio e il “Viaggio sentimentale” di L. Sterne, con l’aggiunta dei colori avventurosi dell’epistolario di Filippo Sassetti; la coprotagonista è l’epoca, direi “un’epoca”, che Alessandro Masi ha saputo descrivere nei minimi particolari, sì che noi veniamo trasportati come per incantesimo nei luoghi molteplici abitati da Cellini e nelle società da lui visitate. Inoltre – e qui sta uno dei pregi rari a trovarsi oggi – il gusto spiccatissimo della lingua ci immerge nei tempi, con una padronanza del dettato narrativo che mette questo libro ai primi posti della letteratura contemporanea, poiché uno scrittore si qualifica e si riconosce per lo stile, che è “impulso biologico inconscio” come il Dna. Tanti romanzi odierni – se non conosci l’autore – li puoi scambiare per questo o quello scrittore; Masi è riconoscibile dall’impronta, come gli accordi del Parsifal di Wagner o la drammaticità potica dell’Otello di Verdi.

Ciò detto, appare l’uomo Benvenuto Cellini, irrefrenabile nel suo dinamismo contraddittorio e visionario, nella sua generosità, nella violenza d’una vita “maledetta” dalla fortuna, perché c’è sempre qualcosa a guastare i suoi piani, anche nella Roma dei Papi, anche alla corte mantovana di Federico II Gonzaga. Egli è un figlio riconoscente, un amante ambiguo che, tuttavia, ha una figlia, fratelli che lo precedono nella morte, affetti infranti, traditi da coloro ai quali aveva messo in mano i piccoli tesori del ricavato del suo lavoro. Ma Cellini conosceva il suo mestiere di orafo, che lo portò a creare capolavori, e pure un  interessantissimo, basilare doppio Trattato, uno sull’oreficeria e l’altro sulla scultura (preziosi scrigni di antiche tecniche manuali che fanno luce ancora oggi sull’arte raffinatissima del cesellatore e dell’orafo). Ma quello che più coinvolge è la capacità (direi la sapienza) narrativa, la quale fa d’una vita maledetta e sfortunata quale quella di Benvenuto Cellini, un’occasione per dipingere un fondale storico di rara bellezza e conoscenza. I personaggi sono tutti vivissimi, anche le comparse e le folle, laddove esse esprimono i momenti più pericolosi (i  coltelli e le morti non mancano nel contesto) e sono funzionali come la tessiturta stessa delle pagine, calibrate a misura, quasi che un metronomo interiore battesse il tempo alla mano del narratore: così ne deriva una scrittura polisemantica, ricchissima di significati e di moti interiori, che si legano alla perfezione con gli ambienti, gli stati d’animo, il Caso (o la Fortuna),  le speranze e la forza di agire d’un uomo armato contro il destino e sorretto dalla passione di lasciare ai posteri il simulacro del meglio di sé: l’Arte che non muore.

 

               

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