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La via Tuscolo Fidene

La via Tuscolo Fidene
Luglio 12
22:00 2011

La via Tuscolo-Fidene, o meglio quel che ne resta, è un bellissimo tratto di basolato romano riemerso qualche tempo fa nei pressi di Tor Vergata, in occasione di uno degli innumerevoli scempi edilizi che devastano la Campagna Romana. Sul principio ci s’illuse che un destino meno inclemente di quello riservato a tante altre testimonianze del nostro passato avrebbe potuto risparmiare questo gioiello, tanto accattivante si mostrò il progetto, esposto in bella mostra, che ne illustrava il restauro nell’ambito della realizzazione di un sontuoso parco archeologico; ma quel sogno si andò sbriciolando, come i disegni che lo rappresentarono, nelle intemperie e nell’incuria, mentre intorno cemento e asfalto ribadivano il primato della loro “civiltà”. Per ricercare le origini del tracciato bisogna rincorrere un tempo nel quale il Latium Vetus, patria delle genti latine, si estendeva a tutta la bassa valle dell’Àlbula (Tevere) comprendendo ambo le sponde del fiume, connesse dai guadi posti all’isola Tiberina ed alla confluenza dell’Aniene. Due tracciati collegavano i monti Albani, cuore della terra latina, con i due attraversamenti strategici; entrambi li ritroveremo in tempi storici rispettivamente come la via Latina e la via Tuscolo/Fidene, appunto. Parallela all’Àlbula decorreva la via Salaria che, costeggiandone la sponda sinistra, consentiva ai cugini Sabini, stanziati più a monte, l’accesso alle preziose saline poste alla foce del fiume. Fu sul finire del II millennio a.C. che detto equilibrio fu messo in crisi dall’inesorabile progredire degli Etruschi verso il sud, in uno scenario che vedeva l’esordio lungo il litorale laziale di genti provenienti dall’area egea (Micenei, Arcadi, Troiani…). Tali eventi, dai quali scaturirono aspri contrasti e “ferree” alleanze, furono narrati, velati da un’aura leggendaria, da storici e poeti che si occuparono di ricostruire a distanza di secoli le origini della Città Eterna. Mentre Virgilio pare lasciarsi trasportare dalla fantasia nel rievocare lo scontro tra Turno ed Enea mettendo in campo alleanze quanto meno improbabili, più verosimile compare il racconto di Livio che evidenzia come gli Etruschi di Cere, alleati dei Rutuli di Ardea, si confrontino con i Latini supportati dai Troiani. Tale scontro, che in qualche modo avvenne, fu scaturito dalla smania degli Etruschi di assicurarsi il controllo dell’isola Tiberina e dei colli adiacenti, e di espandere la propria egemonia di là dell’Albula lungo il litorale laziale. Lo scontro tra Latini ed Etruschi si risolse in un primo compromesso che pose l’Àlbula a confine tra i due popoli: La pace era stata conchiusa in modo che fosse confine tra Etruschi e Latini il fiume Àlbula, detto ora Tevere (Livio, I, 3, 20). Mentre a livello del guado tiberino gli Etruschi di Cere vengono in qualche modo neutralizzati, più a monte gli Etruschi di Veio occupano il guado alla confluenza Tevere-Aniene attestandosi sulla riva sinistra nella città di Fidene. Le notizie sull’origine di Fidene sono controverse: Virgilio (Eneide, VI, 773) e Dionigi d’Alicarnasso (Storia di Roma, lib. II, 116) propendono per la sua latinità mentre Tito Livio (I, 15, 1) e Strabone (V, 2, 9) optano per una origine etrusca. Sta di fatto che Fidene costituirà la testa di ponte della via che incuneandosi tra monti Albani e monti Prenestini (odierna via Casilina) permetterà ai Veienti di raggiungere le valli del Sacco e del Liri e attraverso queste la Campania ove sul Volturno fonderanno Capua (IX sec. a.C.). Considerato che i 180 Km del percorso si snodavano all’interno di territori ostili, compare palese come gli Etruschi dovettero salvaguardarlo realizzando lungo di esso insediamenti fortificati posti su alture strategiche. Per limitarci al primo tratto, Tibur e Preneste sorsero a presidio del fianco sinistro del percorso, mentre per il lato destro, risalendo l’antico tracciato latino diretto alla confluenza dell’Aniene, gli Etruschi s’inoltrarono ad occupare uno dei rilievi dei monti Albani tra i più adeguati alle loro esigenze: il monte che da loro prenderà il nome di Tuscolo, sul cui vertice verrà realizzato l’omonimo insediamento. Va detto che mentre per Tibur e Preneste la presenza etrusca è archeologicamente ben documentata, riguardo Tuscolo la suggestiva ipotesi andrebbe verificata tramite ricerche mirate. Le origini di Tuscolo si perdono nella leggenda che giunge a riferirle a Telegono, figlio di Ulisse e della maga Circe, mitico fondatore anche di Preneste; ma se è vero che tre indizi costituiscono una prova, allora la via Tuscolo Fidene, il nome della città chiaramente riferito ai Tusci e l’asilo concesso dai Tuscolani all’ultimo re di Roma, l’etrusco Tarquinio il Superbo, dovrebbero bastare a definire il Tuscolo un avamposto etrusco in terra latina. Riguardo Fidene, legata indissolubilmente a Veio, rappresenterà una perenne spina nel fianco di Roma sin delle sue origini e i violenti scontri originati al tempo di Romolo si protrarranno per secoli lungo alterne vicende che solo successivamente alla caduta di Veio vedranno l’epilogo. E testimone non disinteressata delle controversie fra le due città fu Crustumeria, posta lungo il Tevere poco a monte di Fidene, che legò le sue fortune al controllo di un tracciato per Roma che sfruttando il guado sul fiume Aniene (Ponte Nomentano) rappresentava una valida alternativa alla via Salaria ed alla via fluviale tiberina oramai sotto il controllo dei Fidenati. A tale proposito si può ricordare la notizia, riferita ai tempi di Romolo, secondo la quale i Fidenati, lungo il Tevere, intercettarono e distrussero le imbarcazioni con le quali i Crostumini avevano inviato provviste a Roma in occasione di una carestia. Da questo viaggio che, iniziato da un breve tratto di basolato, ha attraversato alcuni secoli del nostro trascorso storico, potrebbero ricavarsi innumerevoli spunti per una diversa analisi che potrebbe anche sintetizzarsi così: «Gli Etruschi non furono un grande popolo ma una civiltà enorme…». E le vicende di Cere e Veio sembrano ribadire questa tesi; due metropoli dell’Etruria laziale, dai territori confinanti, accomunate da obiettivi apparentemente analoghi e che pure paiono ignorarsi se non addirittura osteggiarsi. Simultaneamente si apprestano al Tevere decise a scavalcarlo per procedere verso i fiorenti empori della Magna Grecia, ma mentre Veio lo fa d’un balzo e con un netto fendente incide il Latium Vetus fin giù, dentro il cuore campano, per Cere la sorte è diversa; i Latini si oppongono ostinatamente al suo progresso lungo il litorale, tanto da indurla al compromesso che la vorrà relegata sulla “sponda etrusca” del fiume. Ma di contro Cere è padrona del mare, di quel mare che a Veio appare precluso; almeno tre sono i suoi porti (Alsio, Pyrgi e Punicum) tramite i quali incontrerà tra gli altri i Puni ed i Graikoi, gli Euboici attestati a Pitecusa (Ischia) ed a Cuma, il cui nome per i Romani designerà le genti elleniche. E quando Veio, costretta ad inseguire il suo sogno lungo terre ostili, si logorerà nello scontro fatale con i Romani, Cere assisterà indifferente all’agonia della città sorella come se un patto inviolabile la legasse, oramai indissolubilmente, a Roma.

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