La Via Sacra dei Latini a Rocca di Papa
Se il maltempo di questa stagione ci dovesse lasciare una tregua, e magari concederci di assaporare a pieno qualche giorno di sole, senza vento e con temperature miti, con la complicità di un weekend, potremmo ritornare su passi antichi, atavici, e puntare su Rocca di Papa alla riscoperta della Via Sacra dei Latini. Basterà raggiungere l’amena cittadina dei Castelli, giungere ai Campi D’Annibale, zona panoramica del borgo, lasciare l’automobile ed incamminarci dalla salita Via Montecavo-Campagna, verso la gloriosa storia di queste località. Qualche centinaio di metri e rapidamente si abbandona la civiltà, fatta dalle case di oggi per come le conosciamo, ed entriamo nell’antica Via Trionfale che collegava Via Appia con il Monte Cabo, sito del Tempio di Giove Laziale, lì dove gli antichi Latini celebravano le Feriae che riunivano i popoli confederati della Lega Sacra. Senza neanche accorgercene i nostri passi procedono ora su di un basolato vulcanico, coperto dolcemente dal manto di foglie secche dell’inverno, mentre tutt’intorno la potente natura del bosco ci avvolge, accongliendoci nella sua incredibile bellezza. Già l’aria è cambiata, divenendo più sottile e morbida al respiro, d’intorno la cornice è uno sfoggio di castagni, agrifogli, biancospini e pungitopo brillanti nei colori dell’inverno. Ecco che una grossa pietra, seminascosta dalle edere, nella quale riconosciamo da un lato un volto umano e dall’altro quello d’un cinghiale sacro, si erge a testimonianza della grande cultura dispersa per queste alture, mentre poco avanti un’edicola più recente, conserva una Madonna, simbolo della devozione del nostro tempo. Continuiamo la nostra salita, lungo il basolato a tratti mancante o diroccato, ma pur sempre solido e lineare, verso la vetta del Monte Cavo, tra un’area pic-nic ed un’incantevole ringhiera, che vale il sacrificio della salita, dalla quale, nelle giornate più terse, si può ammirare in tutta la loro bellezza il Lago Albano e quello di Nemi, eterni gemelli custodi di queste valli, e con lo sguardo perdersi oltre Sabaudia, al Circeo fino a scrutare all’orizzonte le isole pontine, e procediamo sino alla cima, in cerca delle vestigia del tempio. Eccoci ancora più avanti, curva dopo curva, e il nostro sogno si ferma purtroppo su un muro di cemento ai cui lati ci sovrasta la potenza della modernità. Un mare di antenne dentro fortificazioni militari, questo è quello che rimane del glorioso tempio di Giove Laziale, insieme a qualche muretto di confine lungo il piazzale della base militare. Sembra che in questi ultimi tempi qualcosa si stia muovendo, e che la Regione Lazio sia intenzionata a delocalizzare queste antenne, liberando la cima del monte, che credo meriterebbe di vivere una seconda vita, con l’imposizione di vincoli archeologici, il totale abbattimento delle strutture militari e con l’intrapresa di una nuova sessione di scavi, ma la nostra gita ci ha già comunque ampiamente ripagati, nel riappropriarci sia della natura troppo spesso smarrita dietro i puzzolenti fogli degli uffici, sia della storia, che, seppur umiliata dalle moderne sovrastrutture, ci sussurra nelle orecchie il suo canto, che sembra provenire direttamente dalle viscere della terra. Non a caso era proprio questa la Via dei Canti Latini, che oggi senz’altro avrebbe necessità d’un imponente restauro, dopo l’ultimo eseguito nel lontano 1975, per ravvivare la sua antica imponenza e preservarla ai posteri. Andrebbero restituiti ai turisti i luoghi pic-nic così come le piccole edicole che ci informano sulla storia dei luoghi, troppo spesso dimenticata dalle nuove generazioni, andrebbe ricostituito l’originario complesso archeologico riassettandone la struttura, andrebbero demoliti gli orribili manufatti moderni che ne scempiano il perimetro. Dovremmo riappropriarci della storia di questi luoghi e ritornare a farla nostra in qualche modo, dovremo, come comunità, fare davvero tante, tante cose, ma oggi comunque va bene così, torniamo a casa, non senza aver fatto un salto al vicino e bellissimo santuario della Madonna del Tufo, specchio di gesta medioevali, avendo rinvigorito i pensieri con la consapevolezza di appartenere ad una grande, infinita storia, che giace ai nostri piedi, e alla quale dovremo spesso guardare nel cammino di tutti i giorni, nei nostri passi moderni, per costruire progetti più razionali, in sintonia con il nostro territorio, ricordandoci a volte, in questa folle nevrotica corsa verso l’avvenire, quali sono le nostre radici, quali le nostre nobili origini.
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