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La Triade capitolina al Museo di Palestrina

La Triade capitolina al Museo di Palestrina
Settembre 01
02:00 2006

Visitando il museo nazionale archeologico di Palestrina si ha l’occasione di incontrare un reperto di età romana molto importante che suscita grande interesse e suggestione; si tratta del gruppo marmoreo detto: ‘Triade Capitolina’ che comprende le statue di 3 tra le maggiori divinità della protostoria italica: Giove, Giunone e Minerva che si presentano sedute sullo stesso scanno, alla stessa altezza, e complete dei loro attributi canonici. Il gruppo marmoreo risulta essere una copia del II sec. dopo Cristo rinvenuta in una villa dell’alto Lazio che si ritiene ispirata al monumento originale ossia alla Triade religiosa realizzata ed esposta dai Tarquini nel VI secolo a.C. nel Campidoglio e conosciuto dai posteri come il tempio di Giove Capitolino. Del monumento originale rimangono solo parti mal ridotte conservate nei musei capitolini che non è possibile vedere perché oggetto di studi e restauri in corso; perciò la copia conservata a Palestrina, discretamente integra, acquista notevole interesse e costituisce un documento storico quasi unico. Come è noto i reperti archeologici non vanno considerati semplici pezzi di materia inanimata ma bensì vive espressioni e testimonianze di storia vissuta e, per chi sa ascoltare, hanno un loro linguaggio e possono raccontare vicende importanti di altri tempi. Contemplando la Triade e immedesimandosi nella realtà temporale della Roma monarchica, se ne deduce subito che il monumento non fu certo opera della fantasia e iniziativa di un qualsiasi scultore privato ma venne sicuramente deciso dalla volontà delle massime autorità politiche e religiose, ossia dai re e dai pontefici massimi di quel tempo; quindi il monumento doveva avere rilevanza e significato religioso e politico insieme ed era, probabilmente, una soluzione ideologica finalizzata a problemi reali, forse collegati alla stessa origine di Roma. Riflettendo su queste prime deduzioni affiorano allora precisi interrogativi:
– Perché nella Triade vennero riunite tre delle principali divinità religiose (Giove, Giunone e Minerva) in atteggiamento concorde ed egualitario e poste quindi sullo stesso livello di dignità mentre altre divinità altrettanto importanti come Diana, Apollo, Marte Silvano e altre furono escluse?
– Perché le tre divinità furono poste tutte insieme alla pubblica venerazione mentre fino ad allora era valsa la regola di un dio per ogni tempio e un tempio per ogni dio?
Nell’intento di trovare una risposta adeguata a questi interrogativi ha preso corpo, via via, la seguente inedita e spontanea ricostruzione del primo periodo storico di Roma che sembra dettata proprio dalla Triade e che pur non possedendo una completa conferma bibliografica antica, può però contare su diversi riferimenti indiscutibili che là rendono probabile e, comunque, degna di considerazione:
* La città di Roma si affermò nell’VIII secolo a.C. sulla riva sinistra del Tevere in prossimità dell’Isola Tiberina la quale rendeva facile e possibile l’attraversamento del fiume da parte dei commercianti etruschi che conferivano al baratto i prodotti della loro industria siderurgica di primaria importanza per l’Italia centrale e meridionale. In breve si formò un mercato permanente dove venivano scambiati sale e prodotti agricoli e pastorali con manufatti di ferro etruschi e anche con prodotti artigianali greci, fenici e sardi che spesso vi confluivano. Per il funzionamento del mercato, però, occorrevano magazzini e servizi vari; perciò il mercato incominciò ad attrarre, dalle regioni limitrofe, molti giovani ardimentosi in cerca di lavoro e di fortuna che si stabilirono in capanne costruite sui colli circostanti determinando, in conseguenza, il sorgere della nuova città. All’inizio la prima comunità in formazione era di gran lunga composta da Latini (proprietari terrieri, organizzatori, trasportatori, magazzinieri e vigilanti) ma, molto presto, per far fronte alle necessità di operai manuali vi confluirono anche i Sabini considerati ottimi lavoratori. Le etnie latina e sabina però non si mescolarono tra loro abitando su colli diversi (Palatino per i Latini e Campidoglio e Quirinale per i Sabini) e mantenendo proprie tradizioni, propria lingua e propria religione nonché differenti abitudini di vita; così, all’inizio, la Roma primitiva fu un aggregato urbano abitato da due popoli diversi e uno dei problemi più grossi dei primi governanti fu, certamente, quello di ottenere buona convivenza e integrazione tra le due popolazioni. Questa situazione trova riscontro storico con il periodo nel quale Roma venne governata contemporaneamente da due Re ossia Romolo per i Latini e Tito Tazio per i Sabini. Per ottenere l’integrazione etnica il sistema migliore e più rapido era quello di promuovere i matrimoni incrociati ma questo veniva impedito dall’esistenza di forti incompatibilità e grosse barriere culturali. I Latini, popolo tendenzialmente guerriero, erano condizionati dalle loro tradizioni sociali imperniate sulla figura essenziale del Pater Familias che accentrava in sé un potere vasto e assoluto sui figli, la moglie ed i servi. Nell’ambito religioso, poi, la principale divinità venerata, naturalmente maschile, era Giove che in cielo tra gli Dei rispecchiava bene l’autorità terrena del Pater Familias; essi avevano, perciò una mentalità patriarcale che in termini moderni potremmo definire maschilista. I Sabini, invece, conservavano ancora tradizioni e mentalità derivate dalla preistoria dominata dal culto della Magna Mater in seguito evolutosi nella venerazione di Giunone Regina divinità abbastanza simile; perciò le tradizioni sabine erano fondamentalmente matriarcali o femministe. Le incompatibilità culturali e, insieme, la differenza del ceto sociale erano ostacoli forti sulla via dell’integrazione e, per aggirarli, i maschi latini ricorsero, talvolta, al rapimento violento delle ragazze sabine; questa può essere la giusta chiave di lettura per comprendere meglio la leggenda conservata e idealizzata nel ‘Ratto delle Sabine’.
Mentre il tempo scorreva Roma prendeva consistenza ma per il suo sviluppo bisognava anche di operatori commerciali esperti e ben preparati e così attrasse anche gli Etruschi che vi immigrarono numerosi affermandosi con successo e dei quali, alcuni, arrivarono anche a ricoprire la dignità reale. Gli Etruschi, dal canto loro, erano un popolo progredito e spregiudicato che aveva ormai superato le ristrette tradizioni matriarcali o patriarcali e nella religione essi si riconoscevano soprattutto in Minerva divinità femminile simbolo dell’ingegno e delle arti. Quindi anche gli Etruschi tendevano a conservare la loro identità culturale abitando appartati ed erano ritrosi verso la fusione con le altre popolazioni. Così nella giovane Roma si formò una situazione particolare che sembra fotografata e confermata dalla suddivisione della popolazione, avvenuta alla fine dell’VIII sec. a.C., in tre importanti tribù ossia quella dei Ramni (Latini), dei Tities (Sabini) e dei Luceres (Etruschi). Questa situazione appare anche ulteriormente confermata dall’adozione del Fascio Littorio con la scure, come importante segno del potere, che stava a indicare simbolicamente come la forza della legge e dello stato romano erano basati sulla unione stretta di tutte le componenti popolari intese non come componenti sociali ma bensì etniche. Ragionevolmente si può ritenere che il problema dell’integrazione – anche se il passare del tempo contribuiva a ridurre le differenze tradizionali – sia stato un nodo da sciogliere per gran parte del periodo monarchico e che diversi provvedimenti siano stati presi a tal fine dalle autorità di governo ultimo dei quali la costruzione e l’esposizione alla venerazione pubblica della solenne Triade Capitolina. Il messaggio, magico e misterioso che la Triade trasmetteva al popolo era quello di una divinità unica anche se espressa in 3 personalità diverse e di pari dignità ed era un implicito invito alla unione considerando come immotivati e superati gli antagonismi religiosi. Il fatto, poi, che nella Triade comparissero solo 3 divinità escludendone altre parimenti importanti, in quel tempo, stava a significare che Giove, Giunone e Minerva erano le più rappresentative e quelle che più distinguevano e dividevano l’anima dei diversi popoli. Probabilmente la Triade contribuì molto all’avvicinamento delle varie popolazioni che poterono finalmente pregare insieme nello stesso tempio sul Campidoglio accelerando quell’integrazione dalla quale si originò, poi, l’unico e grande popolo romano. *
Come si vede la ricostruzione storica soprariportata può fornire risposte e significati interessanti alle domande concernenti l’origine del monumento marmoreo; a questo riguardo non si può neppure escludere l’ipotesi che vi sia stata influenza reciproca con altre famose Triadi religiose antiche come quella egiziana (Osiride, Iside e Oru) o quella induista (Siva, Brahma e Visnù). Potrebbe essere anche possibile che la Triade Capitolina abbia rappresentato un avvicinamento verso una nuova e avanzante visione religiosa monoteista allontanandosi in tal modo dalla concezione profondamente politeista ereditata dalla preistoria. A Roma l’importanza della Triade Capitolina si protrasse a lungo contribuendo, tra l’altro, ad esaltare la perfezione e la magia che gli antichi attribuivano al numero 3; inoltre, pur senza addentrarsi in problemi teologici, non possiamo neanche escludere una sua qualche influenza indiretta nel concepimento, avvenuto sei o sette secoli più tardi, del mistero della Santissima Trinità diventato dogma ufficiale nel concilio di Nicea e colonna portante della nuova e rivoluzionaria religione cristiana. Queste le molte riflessioni e le relative deduzioni politiche e religiose suggerite dalla Triade Capitolina e utili, forse, per rileggere in modo nuovo una antica pagina di storia italica.

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