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LA TOSCA COMPIE MEZZO SECOLO

LA TOSCA COMPIE MEZZO SECOLO
Febbraio 09
19:59 2023

23 Marzo 1973/2023 cinquant’anni dall’uscita nelle sale di uno dei capolavori firmati da Gigi Magni

LA TOSCA COMPIE MEZZO SECOLO

Monica Vitti nel ruolo di Floria Tosca ricevette il Globo d’oro come migliore attrice protagonista la Fondazione Magni /Mirisola sta progettando una serie di iniziative per celebrare l’importante ricorrenza che si unisce a quella del decennale della scomparsa del maestro Magni

 

Il 23 Marzo del 1973, usciva nelle sale “La Tosca”, il terzo film da regista del maestro Luigi Magni, destinato a segnare la storia del cinema italiano, sia per il coraggio di Magni, di rileggere un’opera lirica come Tosca in chiave romana e romanesca dandole quasi un taglio di commedia musicale. Questo grazie al determinante contributo musicale di Armando Trovajoli che con le sue note ha eternato alcuni testi di Magni consegnando al patrimonio della musica romana brani che oggi sono delle vere e proprie colonne portanti.

Tosca è stata girata gran parte nei luoghi di Tosca, Castel S. Angelo, Palazzo Farnese, la sola differenza che essendo stata negata per le riprese Sant’Andrea Della Valle è stata sostituita con Sant’Agnese in Agone a Piazza Navona, che venne concessa volentieri dagli allora proprietari i Pamphili che con il compenso della produzione finanziarono i restauri del complesso di Piazza Navona.

Scenografie e costumi di Lucia Mirisola, che per questo film ha fatto un vero capolavoro, disegnando abiti di scena realizzati dalla Tirelli di rara bellezza, determinante nell’arredo è stato il contributo della famiglia De Angelis che con le sue sculture a fatto si che la scenografa veneziana riuscisse a rendere visibili i riferimenti alla storia dell’arte che aveva in mente.

La Tosca presenta tre diversi livelli di comunicazione:

IL PRIMO lo identifichiamo nei dialoghi, come al solito ironici e divertenti che portano avanti la ricostruzione degli avvenimenti e delineano la psicologia dei personaggi, sostenuto dalla sua mimica eccezionale Aldo Fabrizi, nei panni del governatore di Roma non risparmia allusione ironiche nemmeno alla regina di Napoli. Proietti fa vivere Cavaradossi nella spensieratezza di toni e battute umoristiche. Floria Tosca nei suoi abitini di paliettes fa ridere solo a guardarla… figuriamoci quando apre la bocca per esprimere i suoi pensieri confusi e appannati dall’impulsività del suo carattere.

Oltre ad illustrare l’intreccio, i dialoghi rappresentano la lettura divertente della vicenda, l’anticamera della tragedia che si consumerà veramente solo negli ultimi due minuti del film.

IL SECONDO lo si trova attraverso le musiche del maestro Armando Trovajoli che enfatizza i sentimenti dei protagonisti: molto brechtianamente, Magni ferma la narrazione e coinvolge emotivamente lo spettatore ora esaltando il romanticismo di Tosca con il ritornello che l’innamorata canta appassionatamente ma con un tono oscurato dal brutto presentimento “Mi madre è morta tisica, tu me farai morì de crapacore”. Un velato omaggio del maestro a sua mamma Assunta morta proprio tisica nel 1941. Rivelando anche la bramosia di potere di Scarpia, che, guardandosi allo specchio canta prima fra sé e sé per poi arrivare con un crescendo incontenibile, ad urlare a squarciagola. “chi può saper che cavolo ci sia nel cuore di un solerte funzionario dell’alta polizia?”; ora commuovendo quando Cavaradossi ormai condannato, saluta Roma dalle mura di Castel S. Angelo, intonando sulla melodia popolare dei “fiori romani” l’addio doloroso di un cittadino fedele alla sua città.

IL TERZO lo si individua nel coro, la voce del popolo, dei disgraziati, che ringraziano il Signore con una lagnosa ma divertentissima litania, degli impauriti coinvolti in una marcetta da Circo durante il giro intimidatorio di Scarpia e i suoi sgherri.

Le ritondanti ripetizioni trovano giustificazione nel crescendo di musica e coralità e si concludono con una sferzata sonora per il lapsus di due poveracci che a forza di ripetere lo stesso versetto cantano confusi e allibiti “Tremamose addosso Cacamo lo stesso”. Il coro è la voce delle speranze del Governatore di Roma che impone ai suoi frati di cantare per scongiurare una vittoria di Napoleone ma che anche gli ideali segreti di Cavaradossi e Angelotti che fanno del loro duetto uno dei momenti più significativi del film.

Anche quando sono presi direttamente dalla storia, i personaggi aderiscono alla struttura teatrale ed i luoghi reali adibiti a set quasi mai sono delle ricostruzioni ad uso del cinema. Non si riproduce quindi più o meno esattamente un’ambientazione ma le concordanze misteriose fra realtà storica ed immaginazione.

Per questo nello spazio teatrale delle ricostruzioni di Magni si accettano tratti inverosimili, le rovine di Scipione, i ruderi risorgimentali sono realistici per un film attuale e sarebbero inaccettabili in un tradizionale film storico se non creassero una duplice contradittoria funzione: quella di rappresentare la Roma antica pur rappresentando nello stesso tempo anche se stessa.

Non si ricostruisce ma si propone un altro ambiente, diverso autonomo, che diventa allegoria e che suggerisce allo spettatore un numero indefinito di associazioni e di richiami che condensano un’epoca sola una serie di numerose altre epoche da quelle più remote a quelle presenti. Così le immagini non solo mostrano ma significano.

MAGNI – TROVAJOLI – LA TOSCA

La collaborazione tra Gigi Magni e Armando Trovajoli, inizia con il debutto alla regia del maestro, perché il grande autore romano, firma le musiche del primo film “Faustina” per poi scrivere per “Nell’Anno del Signore” quel capolavoro che la letteratura musicale italiana, conosce come “il tema di Giuditta” legato indissolubilmente alla figura di Claudia Cardinale che interpretava il ruolo della bella ragazza ebrea. Per La Tosca, Trovajoli, porta in musica alcuni testi di Magni che sono parte integrante della narrazione.

Come non pensare alla celebre “Nu je da retta Roma” nata come brano conclusivo del film e grazie a Gigi Proietti è entrata nel patrimonio della tradizione musicale romana. Brano che compie 50 anni proprio in questo 2023 essendo il film uscito nelle sale il 23 Marzo del 1973, è un chiaro riferimento attraverso una storia passata ad una contemporanea, ovvero la dubbia morte di Giuseppe Pinelli alla questura di Milano nel 1969.

L’anarchico pestato a morte dalle forze dell’ordine, venne gettato morto da una finestra per coprire il “fattaccio” e Cesare Angelotti fucilato perché reo di evasione da Castel S. Angelo viene impiccato morto ad una forca appositamente preparata alla mole adriana.

Questa è una caratteristica predominante nella filmografia di Luigi Magni, un riferimento all’attuale raccontando il passato. Il primo riferimento lo si trova con “Nell’Anno del Signore” dove raccontando la storia di Targhini e Montanari, presenta il tentativo da parte della Carboneria di rovesciare il potere costituito, la stessa cosa tentata con la contestazione del 1968, anno in cui il maestro scrive il film.

Un riferimento ancora più preciso lo si trova ne “In nome del Papa Re” quando si accenna alla strage compiuta dagli zuavi pontifici al Lanificio Ajani in Trastevere dove venne sfigurata Giuditta Tavani Arquati e la conseguente rappresaglia di Monti e Tognetti con la bomba alla caserma Serristori a Borgo. Nient’altro quello che sarebbe successo sessantanove anni dopo a Via Rasella e alle Fosse Ardeatine.

Sul tema musicale de i titoli di testa de La Tosca, la notizia della sconfitta di Bonaparte dilaga con un passa parola che trasforma lo scambio di battute in un coro di frati e popolani diretti simbolicamente dal governatore di Roma e il ritornello “un ave, un pater e un gloria può far cambiar la Storia”, dopo la vittoria inaspettata dei francesi si ripete musicalmente identico ma con la piccola modifica nel testo “… non fa cambiar la storia”

La Tosca è il più particolare esempio di commistioni di generi diversi, in quanto la musica che integra i dialoghi, contamina lo stornello romano popolaresco con la strimpellata folk o con il ritmo innovativo del “beat” e le armonizzazioni tipiche del repertorio bandistico si dissolvono in accordi chiaramente ripresi dalla quinta sinfonia di Beethoven. Non sarà così per gli altri film di Magni dove la musica rispecchierà il periodo al quale si riferiscono i fatti e il liet motiv sarà costruito su una attenta rilettura degli inni e ritornelli tipici e connotativi di una precisa ambientazione storica.

Cristina, al piano forte suona e canta una marcetta musicalmente del tutto simile, agli inni risorgimentali, gli accordi tenebrosi di “In nome del Papa Re” ricordano i crescendi dell’inconfondibile enfasi verdiana e gli stornelli popolari di Cavaradossi sono la riarmonizzazione dei già ricordati “fiori” della tradizione romana.

Magni mette in risalto la musicalità delle espressioni dialettali facendo spesso parlare i suoi personaggi in rima e fa talvolta riferimento all’opera del poeta Giuseppe Gioacchino Belli, il quale dichiarò i suoi intenti nell’introduzione ai sonetti:

“Io ho deliberato di lasciare un monumento di quello che è oggi la plebe di Roma: in lei sta un certo tipo di originalità; e la sua lingua, i suoi concetti, l’indole, il costume, gli usi, le pratiche, i lumi, la credenza, i pregiudizi, le superstizioni, tutto ciò insomma che la riguarda, ritiene una impronta che assai per avventura si distingue da qualunque altro carattere di popolo. Il popolo non ha arte e non ha poesia, ha invece una rozza e potente fantasia”

continua

 

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