La terra trema ancora
«La città dell’Aquila fu, non è; le case sono unite in mucchi di pietra, li remasti edifici non caduti stanno cadenti. Non so altro cosa posso dire di più per accreditare una città rovinata». Non si tratta di un tentativo bislacco di descrivere la città dopo il sisma del 6 aprile 2006, ma di uno stralcio della lettera che Marco Garofalo, Marchese della Rocca, inviò al viceré del regno di Napoli all’indomani del terremoto del 2 Febbraio 1703, giorno della Candelora. Il terremoto dell’Aquila del 1703 conosciuto come il Grande Terremoto è consistito in una serie di eventi sismici verificatisi nell’Alta Valle dell’Aterno e nell’intera parte settentrionale della provincia dell’Aquila. La sequenza di terremoti, il cui epilogo si ebbe a cavallo tra il 1702 e il 1703, rappresenta uno dei più grandi disastri sismici per estensione geografica ed entità delle distruzioni. In pochi mesi l’Abruzzo settentrionale e l’Umbria meridionale vennero investiti da una serie di scosse delle quali almeno cinque oltrepassarono il 7° grado della scala Mercalli, mentre due di esse furono distruttive. La prima, violentissima e stimata di magnitudo 6,8, si verificò il 14 Gennaio 1703, circa 30 km a nord dell’Aquila, nella zona tra Amatrice e Montereale, che venne completamente devastato: 800 morti su un totale di circa 1000 abitanti. Crolli e morti si ebbero pure nei comuni di Accumoli, Amatrice, Antrodoco, Borbona, Cascia, Cittareale, Leonessa e Norcia. La seconda scossa, di magnitudo stimata 6,7, si verificò il 2 Febbraio 1703 con epicentro a nord dell’Aquila che, già danneggiata dalle scosse precedenti, venne quasi completamente rasa al suolo con oltre 6000 vittime. Da questi dati emerge come le due scosse disastrose del 1703, verificatesi a distanza di pochi giorni, ma i cui prodromi duravano da tempo, ebbero due diversi epicentri originando da due faglie distinte: la prima, probabilmente, da quella che conosciamo come faglia dei Monti Reatini, l’altra, forse dalla faglia di Paganica, origine pure del sisma del 2009. Come faglie distinte gravitanti nella vasta area prospiciente il Gran Sasso siano soggette a una sorta di risonanza reciproca, lo evidenzia il terremoto dell’Aquila del 6 aprile 2009 che ha innescato una serie di eventi sismici ancora in essere. I ricercatori affermano che il terremoto dell’Aquila ha inflitto mutamenti di tensione ad altre faglie vicine determinando il perdurare di rischio sismico in tutta l’area e in particolare nella zona compresa tra Amatrice e Montereale (Moretti), che è stata vittima di una serie ininterrotta di migliaia di scosse. Secondo gli studiosi le faglie quaternarie in questione possono istantaneamente rilasciare energie centinaia di volte superiori al terremoto dell’Aquila (magnitudo 5,9). Sul territorio in questione gravitano centinaia di piccoli borghi privi di ogni presidio antisismico: mura per lo più di pietra e fango sulle quali i moderni restauri non han fatto che condurre ulteriore aggravio andando a soppiantare i leggeri solai in quercia o castagno con gravose colate di cemento armato. Case dai più etichettate di “vacanza”, poiché vuote la più parte dell’anno, ma in realtà semplicemente “dimore del ricordo”, giacché d’estate rivivono della vita intensa dei figli che tornano nella terra dei padri emigranti. Non voglio immaginare cosa sarebbe se il dramma accadesse in una notte d’agosto. La natura è ingovernabile e imprevedibile: possiamo solo anticiparla con la conoscenza e con la prevenzione. Vanno studiati e adottati sistemi che mettano in sicurezza i nostri paesi antichi e, quando ciò non sia attuabile, vanno progettate nuove dimore che possano garantire la sicurezza. Non possiamo aspettare ogni volta che la natura, sia essa in veste di terremoto o di pioggia o di fango, giunga a indicarci ove abbiamo errato. Dobbiamo muoverci nella direzione giusta prima che avvenga l’irreparabile. Nel nostro Abruzzo, sulle ferite ancora sanguinanti, ci si azzuffa su come intervenire e come sanare l’emergenza, dimenticando che in fondo il sisma del 2009, pur nel dramma di tante vittime, è stato di minor entità rispetto a quanto già accaduto in passato e ai sismi che potrebbero accadere in futuro.
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