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La stretta fatale

Agosto 27
08:51 2010

La politica è di per sé dialogo, accordo, compromesso. Attenuatosi il periodo ideologico (pur mantenendo le basi di tale crescita), la politica italiana non è stata in grado di mantenere le aspettative di dialogo, ricambio e stabilità sociale. La famosa discesa in campo di Berlusconi ha innescato un “personalismo partito-politico” il cui obiettivo è divenuto la difesa del ceto di appartenenza. L’illusoria Seconda Repubblica è un fantasioso spot della classe politica. I personaggi politici, in modo particolare le seconde figure, hanno cavalcato il nuovo personalismo per garantirsi un posto nell’èlite parlamentare del capo.

La mancanza di un bipolarismo reale (possibile solo in condizioni politiche normali) ha innescato il “bipolarismo di accordo legislativo”. Si tratta dell’individuazione di azioni primarie atte a garantire gli interessi dei firmatari, che nel ‘matrimonio’ forzato hanno continuamente espresso litigi ed incomprensioni. Questo è valido nel centro-destra come nel centro-sinistra. Il personalismo, gli interessi di casta sono il fallimento della politica italiana. La crescita sociale, le problematiche del lavoro, il ricambio generazionale sono condizioni collaterali legate alla risoluzione dei problemi individuali.

La necessità di una legge elettorale con sistema maggioritario ha, nel tempo, partorito accordi ed unioni fallimentari sin dall’istituzione, ma con un identico obiettivo: essere maggioranza per istituzionalizzare interessi ed obiettivi strettamente individuali. Il cosiddetto “berlusconismo” è sicuramente il modello più significativo degli ultimi venti anni. La politica ad uso e consumo strettamente personale. Dovendo ottenere una maggioranza elettorale (non degli elettori) si è reso necessario stringere accordi con diverse formazioni politiche. La nascita del PDL non è stata l’affermazione di un nuovo partito politico, bensì la somma politica per ottenere la maggioranza relativa. Realizzata la condizione dell’accordo, la fase successiva doveva condurre l’eventuale partito verso il dibattito politico-sociale. Questo non è concesso in un’alleanza con Berlusconi, considerando la non discutibilità del leader e la completa accettazione degli obiettivi necessari allo stesso. In queste condizioni forti personalità, provenienti dalla storia dei partiti, non possono che produrre lo strappo. Il fallimento del PDL altro non è che il personalismo di Berlusconi che non può accettare segreterie o posizioni diverse nella sua organizzazione puramente aziendale.

Il divorzio con Fini è solo l’ennesimo fallimento berlusconiano di stringere a sé la politica italiana. Le varie alleanze avviate da Berlusconi sono miseramente fallite in tempi brevi. Prima di Fini è stata la volta di Casini, e prima ancora con i Radicali. Anche nel campo imprenditoriale la necessità e di relativa sudditanza, si guardino i vari direttori televisivi o di testate giornalistiche, dove solo personalità come Montanelli o Mentana hanno mantenuto la loro indipendenza fino alle dimissioni. Anche Bossi si trova nella posizione di indipendenza, con adattamento di alleanza per l’ottenimento degli interessi della Lega. Un’unione con Berlusconi si rivela una stretta fatale dove soccombere o accettarne sudditanza passiva. La politica italiana non guarda nella direzione della società, ha gli obiettivi di consolidare i privilegi acquisiti nella società. Il passaggio tra la prima e la seconda Repubblica, altro non è che il passaggio del testimone tra i partiti ed il personalismo di magnati o burocrati di Stato.

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