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La straordinaria ordinarietà del creato

Gennaio 09
21:36 2013

Nel numero precedente di «Controluce» (dicembre 2012), compare, a pagina 18, un interessante articolo di Luca Nicotra (Scienza, fantascienza e paranormale), le cui tesi trovo convincenti e desidero qui ampliare con ulteriori argomentazioni. Vorrei partire dalla distinzione – che dovrebbe essere scontata, ma che per i più risulta impervia – fra scienza e natura, cui l’estensore dell’articolo in parte accenna, citando sul finale Bruno de Finetti: «Non sono più i fatti che hanno bisogno di una causa per prodursi: è il nostro pensiero che trova comodo d’immaginare dei rapporti di causalità per spiegarli, coordinarli e renderne possibile la previsione».

Questi e altri pregevoli sforzi messi in campo dalla filosofia della scienza tendono oggi a rendere più elastica la ricerca scientifica, e ciò è encomiabile oltre ogni dire. Non riescono tuttavia, tali sforzi, a sbloccare fino in fondo lo schematismo della ricerca, ed è impossibile che ciò avvenga, data l’esigenza formulatoria della stessa, che tende comunque a schematizzare, sia pure in forme mobili, il mutevole flusso della vita. Bisogna distinguere nettamente il dinamismo libero e vivo degli eventi dal rigido atto mentale che tenta di afferrarlo, sia pure per un solo istante. Il nostro raziocinio (idealistico o empiristico che sia) non fa che cristallizzare il corso fluente e misterioso delle cose entro schemi mentali utili nella vita pratica, ma rischiosi in quanto rigidi per loro stessa natura. Lo scorrere della vita è e resta imprevedibile per la mente deduttiva e induttiva, nonostante un certo grado di prevedibilità relativa. Più attendibile è la veggenza (se allo stato puro, ovviamente), in quanto non nasce dal fallibile intelletto dell’uomo, bensì dall’ascolto del fluire stesso della vita. Nessuno toglie, intendiamoci, l’utilità pratica dello schematismo, purché si resti consapevoli dell’arbitrio che con esso si compie nei confronti del dinamismo della natura e della vita. La realtà è sfuggente, aschematica e la consapevolezza di ciò rende il nostro intelletto elastico, pronto ad abbandonare il noto per proiettarsi verso sempre nuove e fresche avventure. Altrimenti la vita ci sopravanza e noi restiamo arroccati in pregiudizi insostenibili. La filosofia della scienza ha oggi compreso questa lezione, condividendo il fondamentale assunto che la natura è e resta un mistero. I ricercatori più avveduti sanno bene che la scienza non è che una configurazione imperfetta, seppure perfettibile, delle leggi che governano l’immensa realtà in cui siamo immersi e da cui siamo circondati.
La natura non è conoscibile nel suo essere profondo e intrinseco (nella sua inseità, diceva Kant, e aveva ragione). Va tuttavia chiarito che il conoscere è solo un particolare ambito della vita, la quale si svolge a prescindere dalla scienza o conoscenza che di essa noi possiamo avere. L’uomo non conosce la natura nella sua essenza, ma la vive direttamente, in quanto egli stesso natura. Che cosa sa l’uomo, ad esempio, dell’amore? Poco o nulla, perché l’amore è un mistero. Ciò gli impedisce forse di viverlo e sperimentarlo in prima persona? Sarebbe ben triste se, non potendo conoscere l’essenza dell’amore, noi dovessimo rinunciare a compiere questa esperienza meravigliosa. L’essere è molto più importante del conoscere, del sapere. E questo è soltanto un esempio delle tante cose inspiegabili e prodigiose che esistono in natura. La lucertola si fa ricrescere la coda. Cos’è, un fatto ordinario o straordinario (normale o paranormale, potremmo anche dire)? È tutte e due le cose insieme, perché il miracolo è la regola della vita e l’errore sta tutto nel voler etichettare, classificare. Si dirà che è inesatto affermare che la lucertola si fa ricrescere la coda, e che sarebbe più esatto dire che alla lucertola ricresce semplicemente la coda. Ma questa precisazione chiarisce ancor meglio il fatto che nella lucertola agisce una volontà inconsapevole, un’intelligenza ultrarazionale e ultraempirica che dà vita a fatti inspiegabili e misteriosi. Il sovrannaturale sta nel naturale, e viceversa. Ho voluto ascoltare, in merito, il parere del medium Mario Silvestrini, già noto ai lettori di Controluce, per averlo io intervistato recentemente. «Non c’è cervello, egli dice, che si limiti ai cinque sensi conosciuti, perché in esso è inserito un altro cervello, superiore, con sensi più sottili che gli consentono di affrontare gli ostacoli e di superare le difficoltà della vita». Indubbiamente esistono fatti che stupiscono più di altri, perché sono rari o unici, ma la cosiddetta quotidianità è forse meno portentosa? Non è strepitoso che il sole rinasca ogni mattina, o che l’albero si rinnovi sempre a primavera, o che dal grembo materno sgorghi in continuazione la vita? Tutto ciò che è normale, in realtà è straordinario (e viceversa) per cui è il prodigio la vera regola della natura e della vita. Purtroppo l’abitudine ci porta a considerare meccanici questi e altri fenomeni che in se stessi hanno del prodigioso. Certo, non accade tutti i giorni che un bambino diriga orchestre e crei musiche meravigliose, ma quel che accade nel quotidiano non è meno mirabile, anche se noi lo misconosciamo. Ci fa comodo pensare che determinate cose siano acquisite, ma esiste davvero il conosciuto? Quel che si conosce – e lo si conosce in forma sempre approssimativa – non è che il come del fenomeno, la sua modalità di apparizione. Il perché rimane ignoto, e come tale portentoso. Potremmo chiederci: come mai, se tutto è un miracolo e se i fatti straordinari rientrano nell’ordinarietà del creato, soltanto alcuni riescono a fare cose prodigiose? Ebbene, questo è un luogo comune. C’è chi per nascita può restituire la vista ai ciechi e c’è il buon padre di famiglia che, a furia di sforzi sovrumani, porta a termine il proprio mandato di genitore. Fanno miracoli entrambi, ciascuno secondo il proprio potenziale, perché entrambi danno il meglio di sé, dando fondo alle risorse latenti e nascoste chiuse nel proprio scrigno interiore. «Tutti attingono al sesto senso nel momento del bisogno, e anche al settimo e all’ottavo», dichiara Mario Silvestrini. Poi aggiunge: «Gli eletti non esistono. Ciascuno ha il proprio potenziale di nascita, da lui stesso liberamente e democraticamente scelto nella pre-nascita, al fine di portare avanti le esperienze che ama compiere nella vita. Non ci sono favoritismi divini, né tanto meno possessioni diaboliche. Ciascuno ha il proprio bagaglio di intelligenza arcana e, nella diversità, nessuno è migliore dell’altro. Siamo tutti alla pari, proprio in quanto diversi tra di noi. Quello che conta è allearsi con il mistero di se stessi, è credere nella propria forza, nella propria sorgente di vita. Non ci sono diavoli né santi che possano aiutare. Io ho sempre cercato di stimolare in chi mi cerca le sue proprie risorse, nascondendo me stesso. Bisogna diffidare di chi si pone sul piedistallo per primeggiare. Si tratta di mestieranti da cui si rimane puntualmente delusi. Nel migliore dei casi si tratta di mistici di se stessi che non sono mai scossi da dubbi, non si interrogano, non conoscono macerazioni. È gente pericolosa. E non voglio neppure considerare i cialtroni che imbrogliano sapendo di imbrogliare, i cosiddetti maghi che danno soltanto la forma rituale, senza alcun contenuto (anche se ciò esiste purtroppo in qualunque professione). Ma perché la gente va dal mago? Chi ci va è un vile che non ha rispetto di se stesso. Che si va a fare dal mago quando la scienza ha diagnosticato un tumore? Bisogna dire a chi è colpito dal male che è lui il capitano del vascello e che deve essere presente a se stesso, senza ipocrisia e senza paura. Nessun uomo, indubbiamente, è un Padreterno e ciascuno ha i suoi limiti, ma rafforzando la personalità non è escluso che il miracolo possa fare capolino».

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